30 gennaio 2007

Intelligenza

Il caro m1979 (http://m1979.blogspot.com/2007/01/test-dinteliggenza.html) mi segnala alcuni test d'intelligenza a cui si è sottoposto. Anch'io mi ci sono sottoposto e invito chi mi legge a farlo, senza magari prenderli per nulla di più di un gioco interessante. I miei risultati saranno comunicati solo su richiesta. Ecco i link: http://digilander.libero.it/maxdll/testserio.html, http://www.sitopreferito.it/html/test_d_intelligenza.html, http://www.webdomus.it/tao/test_intelligenza_mensa.html, http://www.giorgiotave.it/quoziente_intellettivo/quiz.php, http://www.sitozero.it/indagini/srv_indagine.php, http://mensa.it/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=6.

29 gennaio 2007

Il dibattito è aperto. Forse...

Dalla tomba della storia il comunismo colpisce ancora la Chiesa cattolica

ROMA, venerdì, 19 gennaio 2006 (
ZENIT.org).- La nomina ad Arcivescovo di Varsavia e le successive dimissioni di monsignor Stanislaw Wielgus, accusato di aver collaborato con i servizi segreti del passato regime comunista polacco, hanno suscitato scalpore e perplessità.

Per cercare di chiarire la storia e i retroscena dell’intricata vicenda, ZENIT propone una dettagliata analisi scritta dal giornalista polacco Wlodzimier Redzioch, che verrà pubblicata in lingua inglese sul numero di febbraio del mensile “Inside the Vatican”.

* * *


Un po’ di storia per capire il presente

I mass media, analizzando tutto quello che succede oggi nella Chiesa polacca troppo spesso dimenticano che non si può capire il “caso Wielgus” senza ricordare che cosa è stato il comunismo. In Europa occidentale molti intellettuali e politici tacciono sugli orrori del totalitarismo comunista perché diversi tra loro sono simpatizzanti dell’ideologia marxista e leninista.
Per rendere l’idea di cosa significasse vivere sotto il regime comunista sovietico vorrei citare Peter Raina, uno dei massimi specialisti della storia contemporanea della Chiesa polacca. Ecco la sua breve analisi: “Uno degli scopi principali del totalitarismo comunista era la distruzione psicologica o l’eliminazione fisica degli oppositori”.
La persecuzione fisica consisteva nell’uso della violenza, compreso l’assassinio. Il terrore psicologico serviva a distruggere la personalità dell’uomo. A questo serviva la reclusione per lunghi anni nelle prigioni, spesso in completo isolamento. Ogni cittadino poteva trovarsi in una situazione “senza uscita”. Tutti dovevano essere coscienti che la loro vita privata, la carriera professionale e il futuro dipendevano dai Servizi di Sicurezza (in polacco Służby Bezpieczeństwa o SB).
L’apparato di sicurezza faceva parte della struttura del Ministero degli Interni (MSW), dove esisteva un dipartimento speciale, il cosiddetto Dipartimento IV, che si occupava specificamente della lotta contro la Chiesa (allora si parlava della lotta contro il “clero reazionario“). Esisteva anche uno speciale ufficio investigativo (biuro “C” ), che raccoglieva tutte le informazioni riguardanti le persone “sospette”.
I Servizi di Sicurezza usavano due metodi. Il primo metodo era la politica antiecclesiale delle autorità, per esempio: l’abolizione delle lezioni di religione nelle scuole, i divieti di organizzare delle cerimonie religiose, l’ostacolare l’uso dei mass media da parte della Chiesa. Il secondo metodo era molto più perfido, e consisteva nel terrorismo psicologico. I modi di terrorizzare i sacerdoti erano molteplici e vale la pena elencarne alcuni:

a) I sacerdoti più zelanti venivano accusati di attività contro lo Stato e di servizio al nemico imperialista. Successivamente venivano processati in spettacolari processi farsa che finivano con la pena capitale o lunghe pene di detenzione.

b) Si cercava di compromettere il sacerdote per poterlo ricattare. Era una prassi comune raccogliere tutte le informazioni possibili circa le abitudini di ogni sacerdote: se gli piacevano gli alcolici, le donne o se provava frustrazione nel suo lavoro. Spesso, s’impiegavano gli agenti-donne per creare qualche situazione compromettente per il sacerdote. Allora, potendo ricattare il sacerdote, gli si faceva una proposta di collaborazione con i Servizi. La collaborazione con gli SB consisteva nel fornire le informazioni circa la situazione in parrocchia, l’attività del parroco, il comportamento e le convinzioni del Vescovo ecc.

c) In ogni provincia funzionavano gli Uffici per le Confessioni Religiose (Urzad ds. Wyznań) legati ai Servizi Segreti, che controllavano le attività delle organizzazioni ecclesiastiche. Ogni qualvolta l’Episcopato Polacco pubblicava una Lettera pastorale contenente una critica del sistema comunista, ogni Vescovo locale veniva chiamato dal Presidente della provincia per un incontro durante il quale doveva dare spiegazioni e chiarimenti circa tale Lettera. In quelle occasioni i funzionari statali usavano il metodo della “carota e del bastone”: passavano dalle minacce alle offerte di aiuto, per esempio offrivano aiuto nella costruzione di una nuova chiesa, se il Vescovo avesse promesso di prendere le distanze dal Primate. Di solito i Vescovi rifiutavano qualsiasi collaborazione e per questo motivo le chiese non venivano costruite, la Guardia di finanza controllava con cattiveria i conti e le tasse delle parrocchie; i seminaristi venivano maltrattati durante il servizio militare obbligatorio.

d) La censura di Stato di solito limitava la tiratura delle riviste ecclesiastiche. L’aumento della tiratura dipendeva dalla decisione dell’impiegato dell’Ufficio per le Confessioni Religiose, che collaborava con i Servizi Segreti. Con i preti direttori o segretari delle riviste si usava il metodo che chiamerei: “Qualche cosa per qualche cosa”. Si prometteva di dare il permesso per aumentare la tiratura o di fornire più carta (allora la distribuzione della carta era completamente nelle mani dello Stato), se i responsabili delle riviste si impegnavano a fornire le informazioni riguardanti i membri della redazione. Certi responsabili, con il permesso verbale dei superiori, accettavano tali ricatti perché la possibilità di aumentare la tiratura della stampa religiosa veniva percepita come prioritaria.

e) Una delle armi di ricatto più usate dai Servizi Segreti era la concessione di un passaporto per poter viaggiare all’estero. Ogni cittadino che faceva richiesta di passaporto veniva invitato per un incontro presso gli uffici degli SB. Anche in questi casi valeva la regola “Qualche cosa per qualche cosa”: al cittadino veniva dato il passaporto se prometteva di fornire delle informazioni, e i Servizi volevano sapere tutto sulla gente. Ovviamente questa regola valeva anche per i sacerdoti che per poter andare a studiare all’estero (tanti sacerdoti sognavano di visitare Roma e di continuare gli studi nelle Università Pontificie) o per fare i missionari dovevano richiedere il passaporto. Di solito i sacerdoti raccontavano fatti senza nessun significato tanto per soddisfare in qualche modo gli ufficiali dei Servizi, che prendevano nota di tutto.

Raina sottolinea che malgrado le persecuzioni che si protraevano per lunghi anni, le autorità comuniste non sono riuscite né a distruggere la Chiesa cattolica, né a rompere i suoi legami con la nazione e il popolo, come hanno fatto con tante altre organizzazioni non comuniste. La ragione di questo fallimento era il radicamento profondo della Chiesa nella società polacca. I comunisti hanno fallito anche perché a capo della Chiesa in Polonia in questi anni difficili c’era il Cardinale Stefan Wyszyński, un grande pastore. Il suo atteggiamento verso il totalitarismo è diventato il simbolo della lotta contro il comunismo.

L’analisi del professor Raina aiuta a capire il meccanismo totalitario che cercava di fare dei sacerdoti polacchi (gli storici parlano del 10% del clero) “spie dei comunisti”. Ma bisogna richiamare anche un altro fatto che segna la fine del comunismo in Polonia e che in grande misura ha influenzato la vita politica del Paese nel periodo successivo. Nel 1989 il passaggio dal totalitarismo comunista alla vita democratica è avvenuto senza spargimento di sangue grazie all’accordo tra l’ala “riformista” del partito comunista e il movimento di “Solidarność”. Gli incontri patrocinati dalla Chiesa polacca si svolgevano intorno ad una grande tavola rotonda, cosicché accordi stipulati allora passeranno alla storia come gli “accordi della tavola rotonda”.

I comunisti cedevano il potere in cambio dell’impunità per i membri del partito e di tutto l’apparato dei Servizi di Sicurezza. Gli “accordi della tavola rotonda” hanno assicurato l’intoccabilità ai veri organizzatori e carnefici dello Stato totalitario ed anche ai fedeli servi del regime comunista: giudici, giornalisti, professori, gente di cultura ecc. Questa politica introdotta dal governo del Premier Tadeusz Mazowiecki è stata chiamata la politica della “grossa linea” (in polacco “gruba kreska”), che stava a simboleggiare la rottura con il passato. La regola d’impunità veniva rispettata anche quando si è deciso di aprire gli archivi dei servizi di sicurezza per dare la possibilità alle vittime del regime di consultare i loro dossier. A questa assurda situazione alludeva il Primate Josef Glemp quando nell’omelia del 7 gennaio diceva che, mentre un sacerdote è sottoposto al giudizio sommario, rimangono impuniti “decine di migliaia di membri dei vecchi servizi segreti, che oggi hanno buoni impieghi”, e anche il Cardinal Tarcisio Bertone il quale ha auspicato che si faccia la verifica del passato anche dei politici.

Il linciaggio mediatico

I primi che hanno “approfittato” della possibilità di accedere agli archivi dei servizi di sicurezza non sono stati i perseguitati e gli storici ma alcuni giornalisti. E stranamente questi giornalisti si sono interessati soltanto delle carte riguardanti il clero. Per questo motivo l’opinione pubblica, non soltanto in Polonia ma in tutto il mondo, invece di sentire le storie dei carnefici e dei fedeli servi del regime comunista ha cominciato ad essere informata circa la presunta collaborazione del clero polacco con i servizi di sicurezza. E’ stata così capovolta la prospettiva storica e i sacerdoti polacchi, le prime vittime del regime, sono stati presentati come spie e collaborazionisti. La Chiesa martire polacca, per 50 anni baluardo della libertà contro il comunismo, è stata additata come traditrice. Per di più analizzando i fatti si ha l’impressione che tutto sia stato orchestrato da molto tempo e che il piano di attacco venga eseguito con un’impressionante precisione.

Veniamo allora ai fatti: il primo attacco contro un sacerdote è stato sferrato subito dopo la morte di Giovanni Paolo II e ha colpito un domenicano polacco Konrad Hejmo, il responsabile dell’accoglienza dei pellegrini polacchi in Vaticano, associato nell’immaginario collettivo al Santo Padre. Il secondo attacco è legato alla visita di Benedetto XVI in Polonia; subito dopo un sacerdote di Cracovia Isakowicz-Zaleski ha tirato fuori, con una grande amplificazione mediatica, le sue accuse contro un gruppo di sacerdoti della diocesi vicini a Karol Wojtyła e al Cardinale Stanisław Dziwisz ed ha annunciato la pubblicazione di un libro su questo argomento.

Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un altro capitolo della vicenda: questa volta l’attacco è legato alla nomina del nuovo Arcivescovo della capitale polacca, la più prestigiosa carica ecclesiastica del Paese. La scelta di tirar fuori dai milioni di documenti conservati negli archivi quelli che possono colpire di più la Chiesa polacca, proprio quando tutta la nazione si stringe intorno ad Essa e cresce lo spirito religioso (morte di Giovanni Paolo II, visita di Benedetto XVI, nomina dell’arcivescovo di Varsavia), sembra ben calcolata.

A questo proposito il comunicato del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede contiene un frase inequivocabile: “A tanti anni di distanza dalla fine del regime comunista, venuta a mancare la grande e inattaccabile figura di Papa Giovanni Paolo II, l’attuale ondata di attacchi alla Chiesa cattolica in Polonia, più che di una sincera ricerca di trasparenza e di verità, ha molti aspetti di una strana alleanza fra i persecutori di un tempo ed altri suoi avversari e di una vendetta da parte di chi, nel passato, l’aveva perseguitata ed è stato sconfitto dalla fede e dalla voglia di libertà del popolo polacco”. Successivamente, padre Federico Lombardi ha commentato realisticamente: “E’ bene osservare che il caso di monsignor Wielgus non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo caso di attacco alle personalità della Chiesa in base alla documentazione dei servizi del passato regime”.

Il Papa non sapeva

Tutti gli osservatori dei fatti ecclesiastici si chiedono: perché Benedetto XVI non è stato informato prima del passato dell’arcivescovo Wielgus? A tale proposito bisogna fare qualche precisazione. Il dossier riguardante monsignor Wielgus, già vescovo di Płock, è stato preparato in primavera. Allora la Nunziatura Apostolica a Varsavia non aveva nessuna possibilità di fare le sue verifiche presso gli archivi dei vecchi servizi di sicurezza: la legge polacca prevedeva che solo gli interessati potevano consultare i loro dossier conservati presso l’IPN (Istituto della Memoria Nazionale). Per poter effettuare le ricerche negli archivi storici dell’IPN l’Episcopato polacco ha fondato una speciale commissione storica che ha cominciato a funzionare nell’autunno del 2006. Ma la commissione non ha fatto niente per verificare le carte del monsignor Wielgus, malgrado le voci apparse in Polonia circa il suo passato, perché il vescovo ha assicurato tutti, Santo Padre compreso, che non aveva collaborato con i servizi comunisti e non aveva fatto del male a nessuno. Fidandosi della parola del vescovo la Santa Sede, tramite la Sala Stampa vaticana, ha fatto sapere in un comunicato del 21 dicembre che monsignor Wielgus godeva della piena fiducia del Papa, tenendo conto anche del suo passato. Il problema è apparso di nuovo due settimane prima della presa di possesso della cattedrale di Varsavia, quando la rivista polacca “Gazeta Polska” ha annunciato la pubblicazione di documenti che avrebbero attestato la collaborazione del vescovo con i servizi comunisti.

Il 2 gennaio monsignor Wielgus ha chiesto alla Commissione Storica dell’Episcopato di fare la verifica dei suoi dossier conservati negli archivi, confermando la sua estraneità al lavoro di spionaggio; lo ha giurato davanti all’arcivescovo Jozef Kowalczyk, Nunzio apostolico in Polonia. Ecco il testo del solenne giuramento firmato da Wielgus: “Giuro su Dio, Uno e Trino, che durante i miei incontri e conversazioni con i rappresentanti della polizia e dell’intelligence, che ho avuto in occasione dei miei viaggi all’estero negli anni ‘70 e ‘80, non mi sono mai messo contro la Chiesa e non ho fatto, né detto niente di male contro il clero e le persone laiche”.

Nel comunicato della Commissione diffuso già il 4 gennaio (soltanto 1 giorno di lavoro per analizzare 90 documenti!) si dice che i documenti attestano che monsignor Wielgus aveva collaborato con i servizi di sicurezza e la sua attività avrebbe potuto nuocere a certe persone dell’ambiente ecclesiale. Il giorno seguente l’arcivescovo Wielgus, che nel frattempo aveva preso possesso della diocesi, ha scritto una commovente lettera penitente alla “Chiesa di Varsavia” nella quale ammetteva i suoi contatti con i servizi segreti, si scusava per aver taciuto su tali contatti, assicurava di nuovo che la sua collaborazione con i comunisti non aveva fatto male a nessuno, chiedeva il perdono per il suo comportamento di 30 anni fa e si metteva a disposizione del Santo Padre. La sera del 6 gennaio, si sono quindi avuti febbrili contatti e consultazioni tra la Nunziatura Apostolica e la Segreteria di Stato. Alla fine il Papa ha preso la decisione di accettare le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus e lo annunciato a sorpresa prima della cerimonia della presa di possesso della cattedrale da parte del nuovo vescovo.

Al cardinale Josef Glemp, primate della Polonia, Benedetto XVI ha chiesto di amministrare temporaneamente l’arcidiocesi. Durante la santa messa il cardinale Glemp ha pronunciato a braccio una appassionata omelia (cfr.
ZENIT, 10 gennaio 2007). Con questo atto sembrava che Roma locuta causa finita, ma il caso Wielgus ha troppi risvolti per dichiarare il caso chiuso.

Perché monsignor Wielgus ha taciuto?

Il cardinale Glemp ha sottolineato nella sua omelia nella cattedrale di Varsavia che “non sappiamo quale pressione veniva esercitata su di lui (mons. Wielgus), quali metodi siano stati usati per costringerlo a firmare un atto, non valido legalmente, perché fatto sotto minacce ed intimidazioni”. Il Primate della Polonia voleva dire in questo modo che la firma estorta sotto minaccia non ha nessun valore legale. Questo è vero. Ma perché monsignor Wielgus non ha ammesso le sue responsabilità fin dall’inizio? Si presume che ritenesse quella sua firma sul documento di 30 anni fa non valida, né dal punto di vista legale né da quello morale. Probabilmente per monsignor Wielgus dietro a quella firma estorta non c’era nessun impegno morale per adempiere agli obblighi di collaborazione richiesto dai servizi dello spionaggio polacco. In questo contesto i media non hanno evidenziato un fatto molto importante di tutta la vicenda: monsignor Wielgus, prima di andare a studiare in Occidente, ha firmato un documento per l’intelligence della Polonia, e non per i servizi segreti che erano i guardiani del totalitarismo comunista all’interno del Paese!

L’atteggiamento dell’allora padre Wielgus riflette un atteggiamento di tanti sacerdoti nei Paesi comunisti che per il bene maggiore (possibilità di praticare il culto, costruzione delle chiese, pubblicazione dei testi religiosi, formazione dei fedeli e seminaristi, ecc.) pensavano di scegliere quello che sembrava il male minore, e cioè certi compromessi con il potere comunista. Era una tattica, un gioco che si è rivelato poi molto pericoloso. Padre Wielgus ha intrapreso questo “gioco” perché riteneva, come ha dichiarato, che le sue preziose ricerche scientifiche e la possibilità di studiare all’estero per il bene della Chiesa in Polonia valevano questo rischio.

C’è chi facilmente condanna questo tipo di atteggiamento dei semplici sacerdoti, ma a questi odierni “giudici” va ricordato che anche la Santa Sede per anni ha coscientemente proseguito la politica del “compromesso” con i governi comunisti per il bene delle Chiese locali o più realisticamente per farle sopravvivere. Allora, infatti, si riteneva che il comunismo sarebbe durato ancora delle generazioni. Si accettavano le nomine dei vescovi concordate con i regimi ritenendo che un vescovo gradito anche ai comunisti era meglio che una diocesi senza pastore. Questa era la famosa “Ostpolitik” del Vaticano. Chi non si ricorda i viaggi di monsignor Agostino Casaroli e le sue foto con i membri della nomenclatura comunista? Un “compromesso” tanto pericoloso da far dire al cardinale Stefan Wyszyński ad uno dei diplomatici vaticani che trattava con le autorità comuniste in Polonia: “Non ci tradite!” Anche i singoli vescovi e il segretariato dell’Episcopato polacco, volenti o nolenti, dovevano trattare certe faccende con il Ministero degli interni. Per anni si è incaricato di questi contatti il memorabile vescovo Bronisław Dąbrowski aiutato da mons. Orszulik. In questo contesto è più facile capire anche i piccoli compromessi individuali.

Documenti o carta straccia

Qualche giorno dopo la rinuncia dell’arcivescovo Wielgus i media polacchi hanno dato la notizia che Malgorzata Niezabitowska, (vecchia attivista di “Solidarnosc” e, dopo il 1989, portavoce del premier Mazowiecki), è stata assolta dalle accuse di essere stata una spia dei servizi comunisti. In questo modo è finito l’incubo della vittima di comunisti che per qualche anno ha vissuto con l’infamante marchio di traditrice. I giudici hanno potuto constatare, grazie alla testimonianza dell’ex-ufficiale dei servizi, che i documenti trovati negli archivi comunisti erano stati falsificati. L’allora ufficiale dei servizi segreti, per far vedere ai superiori che riusciva ad “adescare” dei collaboratori, scriveva rapporti di incontri mai avvenuti con dichiarazioni di persone che non hanno mai collaborato.
La triste storia che ha cercato di infangare la signora Niezabitowska ha fatto capire all’opinione pubblica che le carte conservate negli archivi dei servizi segreti non sono i veri documenti. Sono piuttosto le carte dove i veri rapporti dei collaboratori sono mischiati con i rapporti “gonfiati” degli stessi ufficiali dei servizi e con carte falsificate ad arte. Per questo motivo il comunista Leszek Miller, l’ex Primo ministro polacco, ha detto che non possiamo verificare l’autenticità del materiale raccolto negli archivi. “Per gonfiare i loro curricula – ha aggiunto Miller – i funzionari dei servizi non avevano scrupoli. Un contatto occasionale con una persona o una banale conversazione registrata all’insaputa dell’interlocutore, erano sufficienti per farne un informatore. Senza parlare dei dossier prefabbricati, fatti su ordine dei superiori”.
E’ paradossale che questa realtà venga spiegata da un ex dirigente comunista e membro del Politburo del partito comunista, mentre se a dirlo sono i sacerdoti non vengono creduti.
A questo proposito l’arcivescovo Wielgus ha dichiarato che le carte che lo riguardano documentano le aspettative dei servizi segreti e dell’intelligence verso la sua persona, non certo i suoi atti.

Giornalisti o sciacalli?

Probabilmente il “caso Wielgus” non sarebbe scoppiato se non ci fossero stati alcuni giornalisti a farlo scoppiare. Ma questo non vuol dire che questi giornalisti hanno dato prova di professionalità e di onestà. Prima di tutto bisogna sottolineare che qualcuno ha messo nelle mani dei giornalisti le carte riguardanti Wielgus. Era qualcuno dei vecchi servizi di sicurezza, non è infatti un segreto che tanti ufficiali tengono a casa loro delle copie dei documenti d’archivi. Le autorità ecclesiastiche non sono riuscite ad avere prima i dossier che qualcuno voleva sfruttare per i propri interessi utilizzando i giornalisti. In seguito la maggior parte dei giornalisti ha assunto il ruolo non di informatori sui fatti, ma di giudici arroganti. Nessuno di loro ha messo in dubbio il contenuto dei dossier riguardanti l’arcivescovo, come se si trattasse di documenti al 100% veritieri e non le carte preparate e manipolate dai servizi segreti. Nessuno ha ricordato che i servizi segreti in questione sono stati la più spietata e criminale organizzazione dello Stato comunista.
E poi, la maggior parte dei giovani giornalisti che ha preso parte ai dibattiti non conosceva la realtà del totalitario mondo comunista e non ha mostrato di possedere la preparazione storica per poter valutare correttamente il contenuto degli archivi. Per di più, nei dibattiti televisivi, pur di screditare monsignor Wielgus, i membri dei servizi segreti sono stati difesi e nobilitati, confondendo il ruolo di carnefice con quello della vittima. Va detto che questo tipo di attacchi contro la Chiesa cattolica non è nuovo per i media anticlericali polacchi, ma stupisce il coinvolgimento in questa aggressione di certi giornalisti, che si sono presentati come cattolici.
Il Primate Glemp parlando di loro ha detto che da cattolici dovrebbero sapere anche che cosa è “il pentimento, la penitenza, il perdono, la riconciliazione”. Lucio Brunelli, vaticanista della RAI, ha scritto che quello che lascia più sbigottiti nelle reazioni al “caso Wielgus” è l’assoluta mancanza del primo sentimento che distingue il cristiano dai suoi simili: il sentimento della pietà, più precisamente il sentimento del perdono. In conclusione, la presunta ricerca della verità e il dichiarato tentativo di “purificare la Chiesa” sono stati i pretesti “politicamente corretti” per linciare, tramite i media, la persona che stava per occupare la più prestigiosa carica nella Chiesa polacca.
ZI07012113


Ringrazio F.A. per questo contributo

22 gennaio 2007

Strategia della tensione, servizi segreti deviati, stragi di stato: cose che possono succedere solo in Russia...

ORGANI[1] DI RICAMBIO
I servizi segreti hanno creato strutture parallele per le esecuzioni extragiudiziali
Come vengono compiuti omicidi negli interessi dello stato. Istruzioni segrete

Dopo la morte di Aleksandr Litvinenko a Londra è successo qualcosa in Russia. Non tutti hanno chiaro in se di cosa precisamente si tratti, ma a livello di percezioni hanno colto qualcosa, a causa di cui tutti hanno una tensione interiore in attesa di un pericolo ignoto…
Tutto questo nonostante che la nostra grande potenza non abbia niente a che fare con questo omicidio. Così dichiarano i rappresentanti ufficiali. Ma
per qualche motivo non gli crediamo. Forse uno delle cause è che ricordiamo che ben poco tempo fa gli stessi rappresentanti ufficiali avevano assicurato il mondo: gli uomini dell’ambasciata russa arrestati in Qatar non hanno niente a che fare con l’omicidio dell’ex presidente della Cecenia Zelimchan Jandarbiev. E poi è venuto fuori che in una videoregistrazione è stato documentata per intero la collocazione di esplosivi sulla macchina di Jandarbiev da parte dei nostri diplomatici.
E’ probabile che l’omicidio di Litvinenko sia divenuto quella goccia di informazione che fa traboccare il vaso delle nostre conoscenze e che abbiamo capito qualcosa del nostro paese che ci fa sentire come se fossimo nudi nello spazio cosmico.
Si è aggiunto un tratto molto importante a quella grande esperienza di vita dei russi, che si stratifica nell’esperienza storica del paese. (In effetti ora sappiamo come e per ordine di chi furono uccisi il politico russo Trockij, lo scrittore bulgaro Markov[2], il nazionalista ucraino Bandera[3].)

I “lupi mannari”[4] della GRU[5]
Ebbene cos’è questa esperienza personale? Ognuno
ha la sua. Io racconto con cosa mi è capitato di imbattermi, con che cosa hanno a che fare i miei dubbi e le mie paure.
Nel 1995 stavo scrivendo un articolo sulla banda dei fratelli Larionov, che aveva terrorizzato Vladivostok all’inizio degli anni ‘90. La banda era stata scoperta. L’istruttoria fu portata avanti dalla Procura Generale. Apparve chiaro che quella banda criminale era qualcosa di strano. Ricordava molto un reparto militare con una struttura ben organizzata, una dura gerarchia e una ferrea disciplina. Si scoprì che di essa facevano parte ottimi ex allievi dei corsi di combattimento e di preparazione politica delle VDV[6] e della fanteria della Marina, un brillante ufficiale dei reparti scelti e uno dei migliori uomini al servizio della procura locale.
Gli stessi membri della banda non la chiamavano “banda”. La chiamavano Sistema e il loro testo guida era il libro dell’ex agente della GRU Rezun dal titolo “Acquario”.
Il Sistema era fornito di mezzi all’avanguardia per poter ascoltare ogni tipo di conversazioni – telefoniche, a distanza, attraverso muri e finestre; era risultato essere in possesso di apparecchiature per la codificazione delle proprie comunicazioni. Il Sistema era armato di tutto punto e disponeva di qualche decina di covi. Con l’aiuto di una fitta rete di agenti raccoglieva informazioni sui boss della criminalità organizzata, gli uomini d’affari e gli uomini delle istituzioni dello stato. La
banda uccideva. Pezzi grossi della criminalità organizzata e uomini d’affari legati al mondo criminale divennero loro vittime. Durante queste azioni si verificarono, come usa dire nell’ambito delle forze dell’ordine, abusi di potere – insieme ai bersagli furono uccise persone che passavano di lì per caso.
Si potè chiarire che con la banda lavoravano due colonnelli della GRU: il direttore della rete di agenti dell’intelligence della flotta dell’Oceano Pacifico Zubov e l’ex direttore del centro operativo-analitico dello stessa agenzia di intelligence Polubojarinov. Polubojarinov aveva direttamente formato la banda e anche all’interno di essa dirigeva il centro analitico.
Il
Sistema agiva con sicurezza di se e sfacciataggine. Dopo ogni crimine compiuto una qualche forza invisibile frenava le indagini, mandava a rotoli le istruttorie, metteva in salvo i criminali su cui stavano per giungere gli uomini della polizia. Uno di questi, la cui attività professionale era una minaccia per la stessa esistenza della banda, era il capo della GUVD[7] di Vladivostok, il colonnello Sljadnev. Perciò l’organizzazione prese la decisione di uccidere il colonnello. L’operazione per la sua eliminazione fu affidata a un ex soldato dei corpi speciali della Marina e fu chiamata “Barracuda”.
Quando l’ho incontrato Slajdnev mi ha raccontato che, ascoltando le conversazioni telefoniche tra i membri della banda, è venuto a sapere chi stava dietro l’organizzazione. “Chi dunque?” – mi sono interessato. “Non posso dirlo, – ha risposto il colonnello. – Ma non può neanche immaginare a che livello sono queste persone”.
Oggi sono convinto: il colonnello intendeva la GRU.
Ma che banda era questa, formata da ottimi combattenti, ottimamente equipaggiata e in azione sotto il patronato di ufficiali della Direzione Generale dei servizi segreti del Ministero della Difesa della Federazione Russa? A questa domanda la Procura Generale non ha saputo rispondere. Più probabilmente non ha neanche cercato di farlo, perché nessuno glielo avrebbe permesso.
Entrambi i colonnelli si sono rivelati “lupi mannari”. Zubov è stato cacciato dalla Marina, ma Polubojarinov è stato ucciso. Hanno
eliminato anche i fratelli Larionov. Il minore, che comandava la banda, è stato ucciso in cella dopo che, una volta capito che lo avevano tradito, aveva dichiarato: racconterò ai mass media la verità sul ruolo della GRU nella creazione della banda. Fu uccisa anche l’avvocato del giovane Larionov, che aveva preparato un articolo sulla vicenda.
Più o meno ai tempi della banda dei Larionov a Vladivostok, a Nachodka[8] agiva la banda di Vèps[9]. Alcuni feroci criminali erano stati scarcerati anticipatamente. Li avevano armati e li avevano aizzati contro la cosiddetta mafia cecena, che in realtà a Nachodka non esisteva. La banda aiutava semplicemente a ridistribuire la proprietà. Ne persero il controllo e questa cominciò a far fuori non solo le persone che le venivano indicate, ma anche quelle che essa stessa riteneva necessario far fuori.
L’ufficiale dell’FSB[10], che per primo comprese che la banda era stata creata dal comando della Direzione generale per la lotta al crimine organizzato (GUBOP[11]) del ministero degli Interni della Russia, fu ucciso da alcuni agenti di polizia come dire per errore. Come fu chiarito, la banda agiva non solo con il supporto del ministero degli Interni, ma anche delle autorità di allora della regione del Primor’e[12]. L’inquirente della Procura Generale, che aveva iniziato a indagare sulla vicenda di Vèps, a quanto ho capito dalle conversazioni che ho avuto con lui, aveva paura di chi stava dietro alla banda. Probabilmente
per questo beveva incessantemente.

Specialisti in affari sporchi[13]
Il giornalista Dima Cholodov fu ucciso nell’ottobre 1994 – nel periodo in cui nell’estremo oriente[14] venivano scoperte le due bande, le cui tracce conducevano alla GRU e al ministero degli Interni. Le indagini sull’omicidio di Dima nei primi mesi si sovrapposero a quelle su entrambe le organizzazioni. Tra i sospetti comparvero i militari del 45° reggimento delle VDV, che apparteneva al GRU. Durante le indagini si chiarì che questo gruppo non rispondeva al comandante del reggimento. Era possibile questo in un normale reparto militare? Si capisce che è impossibile. Ma il fatto è che il 45° reggimento non era un normale reparto militare. Di cos’era in realtà parleremo un po’ più tardi. Ma per ora cerchiamo di far chiarezza su come si presentavano i militari, che si trovavano in una situazione particolare in quel reparto.
Durante il processo si è chiarito che gli ufficiali della GRU erano utilizzati in operazioni speciali in Abkhazia[15], Transnistria[16] e Cecenia. Che
tipo di operazioni erano? Come si è visto, i militari compivano missioni assai delicate – eliminavano fisicamente le persone che venivano loro indicate. Per esempio uno dei militari del reggimento uccise un pilota georgiano, che durante l’insurrezione dell’Abkhazia avrebbe bombardato un’imbarcazione con civili a bordo.
Già questo fatto da solo merita un’indagine: un ufficiale dell’esercito russo, evidentemente, su ordine del proprio comando si reca all’estero e là uccide un cittadino di un paese straniero. Da qualunque parte la si giri, ha commesso un crimine. Proprio lo stesso che hanno commesso anche quelli che gli hanno dato l’ordine. Ma nel corso delle indagini sull’omicidio di Cholodov a questo episodio ad esso collegato non si fece attenzione.
Non fu sviluppato nel corso del processo neanche questo fatto: uno degli ufficiali imputati a suo tempo aveva piazzato astutamente una bomba magnetica sotto l’automobile dell’allora vice ministro delle finanze della Russia Vavilov. L’esplosivo funzionò, ma per una fortunata casualità il vice ministro restò in vita. Su questo episodio ci sono testimonianze dettagliate nel processo per l’omicidio di Cholodov, ma anche queste furono trascurate. Eppure queste confermavano le conversazioni tra gli imputati registrate su nastro. Da queste conversazioni risultava che il reparto speciale del 45° reggimento era specializzato in omicidi, per i quali pagavano bene.
I risultati dell’inchiesta fornivano tutte le basi per supporre che il gruppo di militari non fosse altro che una brigata di killer che lavorava su ordini speciali.
Purtroppo la Procura Generale non ha investigato sull’intero complesso di questioni che sono sorte a seguito della vicenda di Cholodov. Penso che non l’abbia fatto per lo stesso identico motivo, per cui non ha approfondito il ruolo della GRU e del ministero degli Interni nella creazione delle bande di Vladivostok e Nachodka: nessuno glielo avrebbe permesso.
La Procura Generale è convinta: la complicità di ufficiali della GRU all’omicidio di Cholodov è provata. Ma, come suppongono i suoi uomini, le persone coinvolte nelle indagini su questo crimine, i presunti assassini di Cholodov, potrebbero essere salvati dalla prigione dai loro protettori nelle alte sfere, di cui, probabilmente, hanno eseguito gli ordini.
Ricordavo che, studiando la vicenda di Cholodov, gli inquirenti, oltre alla GRU, avevano indicato il GUBOP del ministero degli Interni. Questo è un fatto enormemente importante, su cui torneremo ancora e che ci aiuterà a comprendere le dimensioni di ciò che è avvenuto in Russia. In possesso dei militari del 45° reggimento arrestati furono trovati dei cosiddetti documenti di copertura preparati dal ministero degli Interni. In particolare su di essi c’era la firma dell’allora vice direttore del GUBOP Baturin. Nel corso delle indagini sull’omicidio di Cholodov, a cui prese parte anche il comandante generale della polizia, si è chiarito che proprio da là è partita una fuga di notizie sul corso delle indagini, che furono comunicate agli accusati. Tutto questo ha portato indirettamente a pensare che il gruppo di militari
группа del 45° reggimento nell’eseguire le loro missioni particolari lavorassero fianco a fianco con il comando del GUBOP. Guardando a tutto questo, l’improvvisa morte di Baturin non si può considerare qualcosa di casuale. Avrebbero potuto eliminarlo in quanto anello più debole della catena che univa due strutture che operavano illegalmente.

I guastatori dell’FSB
A metà degli anni ‘90 a Mosca si verificò una serie di atti terroristici. Il più tragico fu l’esplosione in un filobus nel viale Strastnoj[17]. Si parlò di un ben coordinato attacco di militanti contro Mosca. Ma ben presto si chiarì che l’autobus[18] alla VDNCh[19] non era stato fatto esplodere da militanti ceceni, ma… da un ex colonnello del KGB. Il processo dimostrò la sua colpevolezza.
A parte questo, si chiarì che a cercare di far saltare il ponte ferroviario sulla Jauza[20] non era stato un militante, ma un ex ufficiale dell’FSB. Evidentemente ce l’avrebbe fatta, se non fosse saltato in aria egli stesso mentre piazzava l’ordigno.
Risultò che entrambi gli ex agenti dei servizi segreti avevano rapporti diretti con la banda di Maksim Lazovskij. Come minimo otto ufficiali al servizio dell’FSB lavoravano a stretto contatto con la banda. Questo riuscì a stabilire il capo della 12.a sezione del MUR[21], il tenente colonnello della polizia Vladimir Cchaj. Non appena apparve chiaro, che la Petrovka[22] non si sarebbe fatta scappare la preda di mano, Lazovskij e gli uomini a lui più vicini furono eliminati. Morì anche Cchaj, di cirrosi epatica. Nessuno dei colleghi del tenente colonnello ha mai creduto alla morte naturale di una persona, il cui sobrio stile di vita era un esempio da imitare. Gli amici sono convinti: Cchaj è stato avvelenato.
Per quel che riguarda le esplosioni, di cui sono risultati colpevoli gli ufficiali degli organi di sicurezza dello stato, che lavoravano con la banda di Lazovskij, non si può evitare di parlare anche delle esplosioni dei condomini, che si verificarono a Mosca alla vigilia della seconda guerra cecena. E’ stato dichiarato che le esplosioni furono opera dei ceceni. Ma uno dei testimoni chiave di questa storia mi ha dichiarazione con tanto di registrazione che nonostante quanto è stato affermato dagli inquirenti non ha dato in affitto la cantina sotto casa sua in via Gur’janov al militante Gočijaev. L’uomo in questione era certamente un’altra persona. Nell’identikit, creato sulla base della descrizione del testimone, l’ex tenente colonnello dell’FSB Michail Trepaškin ha riconosciuto un agente dei servizi segreti…
A parte questo, il comando dell’FSB non ha saputo neanche spiegare chiaramente che tipo di esercitazioni portasse avanti a Rjazan’[23] con un carico di sacchi contenenti esogeno[24] e meccanismi a orologeria. E dove sono finiti gli ufficiali dei servizi segreti che hanno fatto questo carico e le conversazioni dei quali con il loro comando sono state registrate dalla centrale telefonica cittadina?
Dopo lo scandalo scoppiato a causa delle “esercitazioni”, l’indagine sui fatti ad esse legati è stata coperta dal segreto.

Gli interessi dello stato esigono che si uccida?
Un
altro esempio ancora. A Kaliningrad[25] gli aganti del RUBOP[26] hanno scoperto una banda, dietro la quale stavano alcuni ufficiali dell’FSB locale. Un uomo che si occupava di rapimenti ed estrosioni è risultato essere un agente dei servizi segreti. Durante un interrogatorio videoregistrato ha raccontato di come ha ucciso a colpi di arma automatica un noto imprenditore della città. Nel frattempo ha affermato di averlo fatto su ordine del… capo della sezione per la lotta al terrorismo e la difesa dell’ordine costituzionale dell’UFSB[27] della regione di Kaliningrad. All’operazione per l’eliminazione fisica aveva preso direttamente parte un ufficiale degli organi di sicurezza dello stato.
E’ stupefacente, ma su questi fatti non si misero a indagare né l’FSB né la procura. Per di più furono perseguiti gli ufficiali del RUBOP, che avevano ricevuto informazioni su possibili attività criminali dei servizi segreti.
Cosa significano queste strane storie? Si dice che durante il processo l’ex colonnello degli organi di sicurezza dello stato Vorob’ëv, che aveva fatto saltare in aria un autobus alla VDNCh, abbia esclamato: “Questo è vilipendio dei servizi segreti!”. Cosa
intendeva dire con questo lex ufficiale? Perché, a suo modo di vedere il processo a una persona che ha compiuto un atto terroristico non è una cosa assolutamente naturale e regolare, ma un vilipendio? Non forse perché questi, eseguendo un certo ordine, era convinto di aver agito negli interessi dello stato e che poi lui, un professionista dedito al proprio lavoro, fosse stato mandato in cella come un banale terrorista? Se è così, immaginatevi che dissociazione ci sia nella coscienza di un ufficiale dei servizi segreti tra il concetto di ciò che è legale e quello di ciò che, come a lui sembra, è utile a uno scopo?
L’enigmatica frase del colonnello ha assunto un significato particolare quando mi è capitato fra le mani un documento, come a me pare, di enorme valore sociale. Questo, a giudicare dal suo contenuto, sono 70 pagine di istruzioni segretissime, che spiegano molto di ciò che sta accadendo nel nostro paese negli ultimi quindici anni. Queste uniscono decine di atti terroristici, compiuti sul territorio della Russia e all’estero, in un unico intento strategico.
Avevo pubblicato estratti di queste istruzioni nelle “Moskovskie novosti”
[28] già nel 2002, ma i fatti legati agli omicidi della nostra collega Anna Politkovskaja e dell’ex tenente colonnello dell’FSB Aleksandr Litvinenko e al tentativo di avvelenamento di Egor Gajdar[29] ci costringono a guardare di nuovo a questo documento e a dargli un nuovo senso.
“I processi in corso nell’ambiente criminale, – si dice nella parte introduttiva delle istruzioni, – in prospettiva di sviluppo hanno un’influenza diretta sulla sicurezza dello stato. Il crimine organizzato e il suo modo di manifestarsi – il terrorismo criminale – minano le basi del potere statale. …Adesso alla nostra società si contrappone una struttura ben organizzata, che si basa sul grande potenziale dell’economia illegale, che copre il proprio operato con l’aiuto di funzionari corrotti e che dispone di professionisti di alta qualità per liquidare tanto gli uomini d’affari, quanto i politici scomodi…
E’ estremamente necessaria una struttura che abbia la possibilità reale di decidere, sfruttando le capacità di intelligence, operative (dal punto di vista delle risorse umane) e tecniche, quali siano i compiti da svolgere per contrastare e neutralizzare i suddetti fenomeni negativi…
L’immediata infiltrazione di agenti segreti scelti nelle strutture economiche, commerciali, imprenditoriali e bancarie, negli organi dell’amministrazione dello stato e del potere esecutivo e la creazione di istituzioni e imprese di copertura permetteranno, attraverso i contatti all’interno di queste strutture… di creare un’ampia rete di agenti…”.
Il documento elenca dettagliatamente dove debbano infiltrarsi gli agenti: negli organi esecutivi, nel sistema bancario e finanziario, negli organi responsabili del fisco e delle imposte doganali, nella borsa e nei tribunali.
“Al momento della stesura dei materiali operativi è possibile la creazione e la neutralizzazione di bande armate con metodi operativi di tipo militare” – si dice nelle istruzioni.
“Viene creato un reparto speciale segretissimo… Oltre al reparto centrale, è utile allo scopo creare gruppi operativi regionali di tipo militare…”.
La forma organizzativa di questa struttura illegale “può essere una società privata di investigazioni o di addetti alla sicurezza. Il capo della società e i principali collaboratori… saranno persone liberate dai compiti operativi al servizio del ministero degli Interni, dell’FSB, dell’SVR[30], del GRU GŠ RA[31]”.
“Allo scopo di coprire tale attività di intelligence e di tipo militare… si ritiene utile la creazione di un’organizzazione sociale, per esempio l’“Associazione dei veterani dei gruppi speciali di Russia” ecc. I locali dell’associazione potranno essere utilizzati come basi segrete, dove si concentreranno i gruppi operativi di tipo militare e saranno accolti gli agenti che operano nell’illegalità”.
“Sulla base di tali strutture sarà possibile la creazione di effettive false bande, che entreranno direttamente in stretto contatto con OPG[32] della criminalità comune e OPG specializzati in omicidi su commissione e atti terroristici…”.
“Per una più efficace codificazione degli agenti illegali che prendono parte alle operazioni di temporanea infiltrazione in incognito nell’ambiente criminale e per l’innalzamento del livello di garanzia della loro sicurezza sorge l’assoluta necessità di organizzare nelle regioni e nel centro di falsi reparti con tutto l’equipaggiamento”.
E in seguito – fate attenzione!
In caso di estrema necessità… si potrà utilizzare la struttura di un reparto del servizio di intelligence illegale come corpo speciale… per la neutralizzazione o l’eliminazione fisica dei capi e dei membri attivi di gruppi terroristici di intelligence e di sabotaggio che muovono guerra all’autorità federale.
Di eliminazione fisica potrà trattarsi… solo nei confronti di persone condannate dagli organi giudiziari russi al massimo della pena – la pena di morte[33] o allo scopo di prevenire gravi conseguenze e comunque sulla base delle leggi vigenti della Federazione Russa…”.

I servizi segreti minacciano
Il documento riportato, naturalmente, è in contrasto con la Costituzione, con le norme del diritto penale e con i nostri concetti di uno stato in cui le esecuzioni extragiudiziali sono inammissibili. In ogni caso, proprio questo affermano instancabilmente gli uomini alla guida del nostro paese. Tuttavia si da il caso che nel nostro paese sia stato costruito un sistema integrato di servizi segreti proprio per le esecuzioni extragiudiziali.
Ma si può credere a un testo stampato senza firma e senza sigillo di segretezza? La persona che mi ha trasmesso il documento mi ha detto che è stato firmato da uno dei capi di allora del GUBOP, l’Eroe di Russia colonnello Selivërstov e che il sigillo di segretezza è stato tolto da lui al momento della fotocopiatura, perché, come si è espresso, “per i giornalisti non sorgessero eccessivi problemi”.
Mi
sono messo in contatto con il colonnello. Il fatto che le dichiarazioni segrete siano state messe a disposizione dei mass media, a quel che mi è parso, è stato uno shock per il colonnello. Selivërstov ha assicurato di non aver firmato alcunché di simile, ma ha dichiarato: “Chi le ha trasmesso il documento ha commesso un crimine di Stato”.
Al suo posto ha mandato a incontrarmi un uomo, che si è presentato come “agente degli organi competenti”. Questi ha cercato di convincermi del fatto che il documento di per se non è alcunché di criminale, così come un coltello, di principio, non è un’arma per uccidere. “La questione è come lo si utilizza: con esso si può benissimo anche tagliare il pane”, – ha spiegato lo sconosciuto. Si è raccomandato con insistenza che non pubblicassi il documento, altrimenti, ha dichiarato, per me “potrebbero sorgere gli stessi problemi di Pas’ko e Nikitin” (Ricordo che Pas’ko e Nikitin sono ex ufficiali di Marina accusati di rivelazione di segreto di Stato – nota dell’autore.).
La conversazione telefonica con il colonnello Selivërstov e l’incontro con il suo rappresentante mi hanno convinto del fatto che le istruzioni segrete esistono veramente. Inoltre gli esperti di servizi di intelligence a cui ho raccontato del documento segreto hanno fatto notare che questo documento non avrebbe potuto venire alla luce senza un documento direttivo più generale a livello governativo. Ciò coincide con quanto ha comunicato chi mi ha trasmesso le istruzioni: questi ha dichiarato che esiste una risoluzione segreta del governo, della quale le istruzioni sono parte integrante. E un’altra persona ha dichiarato che con la stesura della risoluzione ha a che fare il primo vice premier del nostro paese all’inizio degli anni ‘90 Jurij Skokov.
E’ chiaro che non una sola persona che abbia preso parte alla preparazione di documenti in contrasto con la legge e perciò soggetti ad azione penale lo ammetterà spontaneamente, e per di più pubblicamente. Ma ci sono non pochi indizi per cui si può stabilire con un alto grado di verosimiglianza se esista tale documento e sia ancora in vigore.
Per esempio, all’inizio degli anni ‘90 uno dei dirigenti del ministero degli Interni mi ha detto in privato che i metodi di lotta contro il crimine organizzato sono invecchiati, che sono necessari nuovi approcci. In particolare bisogna permettere legalmente di uccidere agli agenti infiltrati nelle bande criminali.
Nelle istruzioni segrete ho trovato un’eco delle riflessioni del generale sull’uso di metodi non tradizionali nella lotta contro il crimine.
“…I mezzi e i metodi di lotta dei servizi segreti e delle forze dell’ordine… lasciano a desiderare. La documentazione dell’attività criminale viene condotta con scarsa professionalità, su un livello materiale e tecnico scarso… sono necessari approcci, metodi e decisioni non tradizionali nella conduzione dell’attività operativa e di ricerca”.
Pare che il generale riflettesse su ciò che era già stato steso nelle righe della direttiva governativa e delle istruzioni per le istituzioni.
C’è anche un altro indizio che indica che il documento da noi riportato non è un’invenzione. E’ la vita reale. Molti crimini sono stati compiuti letteralmente secondo il copione previsto dal documento citato. Confrontiamo l’operato dei gruppi dei quali abbiamo raccontato con le istruzioni. Coincidono
totalmente. Ne risulta che le bande dei fratelli Larionov a Vladivostok, di Vèps a Nachodka e di Lazovskij a Mosca sono false bande create dai servizi segreti? E che il 45° reggimento dei corpi scelti fosse “un falso reparto militare con tutto l’equipaggiamento”? Se è così, diviene comprensibile perché un piccolo gruppo di militari non rispondesse al comandante del reggimento, ma fosse legato al capo dell’intelligence delle VDV.
Nelle istruzioni si parla della necessità “al fine di coprire tale attività di intelligence e operativa di tipo militare…” di creare “organizzazioni sociali, per esempio l’“Associazione dei veterani dei corpi speciali della Russia”, ecc.”. Guardiamoci intorno: di tali associazioni ce ne sono già decine.
Volgiamoci di nuovo alle istruzioni.
“E’ estremamente necessaria una struttura che abbia la reale possibilità di decidere, utilizzando le capacità di intelligence, operative (dal punto di vista delle risorse umane) e tecniche, quali siano i compiti da svolgere per contrastare e neutralizzare i suddetti fenomeni negativi…”.
E’ stata creata una struttura del genere? Penso
di sì. Probabilmente si tratta di una sorta di reparto segretissimo dell’FSB, creato all’inizio degli anni ’90, – la cosiddetta URPO. L’abbreviazione va decifrata così: Upravlenie razrabotki prestupnych organizacij[34]. La comandava il Generale Evgenij Chochol’kov. Il reparto contava 150 elementi, tra i cui compiti rientrava l’infiltrazione di agenti segreti nell’ambiente criminale. Sulla base di colloqui personali con il generale Chochol’kov ho avuto l’impressione che la URPO fosse stata creata proprio per gli scopi esposti nelle istruzioni.
Il nostro paese è venuto a conoscenza dell’URPO nel 1998, quando cinque agenti di questa istituzione convocarono una conferenza stampa e raccontarono che il reparto segreto si occupava di esecuzioni extragiudiziali. In particolare gli agenti affermarono che il comando di questa istituzione aveva elaborato dei piani per l’eliminazione fisica di Boris Berezovskij[35].
Le autorità ufficiali derisero la conferenza stampa. Allora mi parve che le autorità avessero ragione. Oggi non valuto più così gli argomenti delle autorità. E’ difficile immaginare che all’improvviso cinque ufficiali dell’FSB – tenenti colonnelli e colonnelli con ruoli importanti – siano impazziti e si siano messi a dire assurdità in pubblico, capendo bene, che non sarebbero rimasti impunti. (Uno dei partecipanti alla conferenza stampa è stato ucciso, un altro è stato gettato in prigione con un’accusa fabbricata ad hoc. Gli altri, pentitisi, hanno aiutato a “smascherare” i loro compagni che rifiutavano di pentirsi.)
Dopo quella conferenza stampa, in cui era emerso il vero ruolo dell’URPO, l’istituzione è stata in breve tempo riformata e l’allora direttore dell’FSB Kovalëv è stato destituito.

Come creare “vendicatori”
Quando già era a Londra, uno dei partecipanti alla famosa conferenza stampa, Aleksandr Litvinenko, mi raccontò questa storia. Fu invitato a un colloquio da uno dei vice direttori dei servizi segreti. La conversazione riguardava, come affermava Litvinenko, il suo passaggio al reparto che si occupava di affari “sporchi”[36].
- Al vice interessava, – mi raccontava l’ex ufficiale dell’FSB – come, a parer mio, bisogna organizzare l’eliminazione fisica di qualcuno. Io risposi che per questo si può utilizzare un condannato, che sta scontando la pena in una colonia penale. Una volta compiuta la missione, questi sarà accuratamente messo al sicuro da ogni indagine. Il vice era d’accordo al riguardo, ma mi parlò della sua variante. Mi fece notare che si può utilizzare un parente di una persona assassinata. L’uomo è pronto a vendicarsi e ci si può servire di questo sentimento: promettere di punire l’assassino del congiunto, ma in cambio chiedere di esaudire anche la nostra richiesta – togliere di mezzo la persona che gli indicheremo.
E poi Litvinenko accennò a una storia vecchia di dieci anni, legata alla banda dei fratelli Larionov, di cui ho parlato all’inizio. Occupandomi di questa vicenda, per molto tempo non potei trovare una spiegazione dell’omicidio del colonnello della GRU Valentin Polubojarinov. Sulla strada per l’aeroporto proprio i suoi uomini lo presero e lo strangolarono insieme al figlio. Ecco cosa raccontò Litvinenko:
- Il vice diretttore dei servizi segreti mi fece notare che nel loro sistema il tradimento è punito spietatamente. E portò come esempio il caso del colonnello Polubojarinov. “Il colonnello voleva tradirci e ha pagato per questo”, – disse.
Ne risulta che Polubojarinov intendeva aprire gli occhi a qualcuno a Mosca sull’attività criminale della GRU?
Perché, a che scopo nel nostro paese sono state create strutture segrete all’estero, gruppi operativi di tipo militare, false bande e falsi reparti militari, ogni sorta di consigli e di fondazioni dei servizi segreti, perché i loro agenti speciali sono stati infiltrati nelle strutture commerciali e statali?
Le istruzioni danno una spiegazione: per la difesa della sicurezza nazionale. Proprio con questa si giustificavano come necessarie le esecuzioni extragiudiziali.
Volevano fermare la criminalità, imbrigliare la corruzione. Probabilmente. Gli
è riuscito? La risposta è evidente.
Fin dagli inizi dell’attività dei gruppi operativi di tipo militare insieme ai pezzi grossi[37] del mondo criminale sono state uccise persone del tutto innocenti. Inoltre nessuno dei pezzi grossi della criminalità condannati a morte dai servizi segreti era stato formalmente accusato di alcunché. Nessuno di loro rappresentava una minaccia per la sicurezza sociale tale da causare gravi conseguenze come danni sostanziali o vittime. Eppure proprio con questi due motivi si giustificava come necessaria la loro eliminazione fisica.
E’ evidente che i creatori delle istruzioni segrete, basandosi in un certo modo sulle leggi della Federazione Russa per compiere esecuzioni extragiudiziali, facevano apertamente i furbi. Si garantivano semplicemente libertà d’azione[38].

Chi prende la decisione di uccidere?
La tecnologia delle esecuzioni extragiudiziali è stata elaborata alla perfezione in Cecenia. Migliaia di cittadini russi scomparsi senza lasciar traccia sono un esempio dei nuovi tipi di lotta per la salvaguardia della legalità. Un ex ufficiale dei corpi speciali che ha lavorato in Cecenia mi ha raccontato come scompaiono le persone senza che possono essere ritrovate né dai parenti né dalle forze dell’ordine. Le persone catturate vengono interrogate con l’utilizzo della tortura, poi vengono trasportate in un luogo disabitato, vengono “impacchettate” a gruppi di 3-5 persone e fatte saltare in aria con potenti cariche. Dei cadaveri non resta alcuna traccia. Si disperdono.
Nelle istruzioni da noi riportate non si dice una parola su chi e a quale livello prenda la decisione di compiere un’eliminazione fisica. Secondo la Costituzione solo un tribunale può valutare la colpevolezza di una persona e l’entità della pena da infliggerle. Ma fuori da un tribunale chi può farlo? Il
comandante di una sezione? Un dipartimento? I servizi? O qualcuno più in altro, a seconda dell’importanza del presunto criminale? E quali argomenti sono sufficienti per emettere una condanna?
Il metodo di lotta con la criminalità che sembrava facile e semplice e, cosa più importante, efficace, in realtà ha gettato il nostro paese in un ancor più grande abisso di illegalità. Per di più ha portato il crimine a un ben altro livello non solo organizzativo, ma anche politico. Nel nostro paese ha avuto luogo una serie di omicidi, gli indizi dei quali, direttamente o indirettamente, indicano che sono stati compiuti da specialisti che sono passati per la scuola dei servizi segreti. I bersagli da eliminare sono personaggi pubblici o persone, le cui possibilità e la cui influenza non sono note al grande pubblico, ma la posizione dei quali ha un’influenza significativa su determinati circoli di uomini d’affari e politici o rappresentano una minaccia per le informazioni di cui dispongono sugli affari sporchi di importanti funzionari statali. In questi crimini molte circostanze depongono contro le varie associazioni di veterani degli organi di sicurezza[39]: il metodo di esecuzione e il comportamento degli organi investigativi nel corso delle indagini sui crimini stessi.

Cepov è stato ucciso in Russia come Litvinenko a Londra
Ricordiamo la misteriosa morte del noto banchiere Ivan Kividili. Ho avuto un colloquio con il direttore dei laboratori dell’Istituto per l’evoluzione, la morfologia e l’ecologia animali Efim Brodskij, che ha scoperto la formula della sostanza velenosa posta nella cornetta del telefono del banchiere.
- E’ una sostanza velenosa ad azione paralizzante sul sistema nervoso simile al Sarin[40], – ha detto lo scienziato. – E’ una sostanza velenosa particolare. Poteva scoprirne la natura solo uno specialista che lavora con simili sostanze in un laboratorio. Determinare chi in particolare l’abbia sintetizzata non è molto difficile: i laboratori in cui si può lavorare con tali sostanze velenose sono pochi, le persone che hanno accesso ad essi sono pochissime.
Perché dunque non succede nulla? Non le cercano?
Due anni fa nel nostro paese ha avuto luogo un altro omicidio misterioso. Si tratta di Roman Cepov, direttore di un’impresa privata di servizi di sicurezza di San Pietroburgo. Cepov era un uomo molto ricco e aveva possibilità di azione quasi infinite grazie ai legami amichevoli con gli uomini più importanti a livello statale. Temevano la sua potenza.
In uno dei resoconti scritti, a quanto pare, da uno dei servizi segreti ancora alla fine degli anni ‘90 e di cui sono venuto in possesso, si afferma che Cepov si faceva pagare il pizzo da alcune strutture commerciali di San Pietroburgo, prima di tutto dai casinò e versava personalmente il denaro a un alto funzionario dell’FSB di Mosca.
Quando ho chiesto a un collega pietroburghese, amico di Cepov, se Cepov fosse come il portafoglio di un importante funzionario dello stato, il collega ha risposto così: “Era come la serratura del portafoglio di quell’uomo”.
Il medico curante di Cepov, direttore di un reparto del 32° ospedale di San Pietroburgo, Pëtr Perumov, mi ha raccontato assai dettagliatamente il decorso della malattia del suo paziente.
- Cepov aveva tutti i sintomi di un avvelenamento: forte vomito, diarrea, – raccontava Perumov. – Ma al contempo non aveva né tremito, né febbre. Ho chiamato a consulto specialisti di diverse cliniche della città, ma non siamo riusciti a capire, cosa stava accadendo al paziente. Penso che Cepov possa esser morto perché nel suo organismo era stata introdotta una dose mortale di colchicina – un preparato con cui si cura la leucemia.
Da una fonte della procura di San Pietroburgo sono venuto a sapere che una perizia ha stabilito la causa della morte di Cepov: lo hanno avvelenato con un elemento radioattivo. Nel suo organismo la dose di radiazioni superava un milione di volte il massimo consentito!
Chi ha osato uccidere un uomo così potente, vicino al Cremlino?
A differenza di come viene indagato l’omicidio di Litvinenko da parte di Scotland Yard, efficacemente, rapidamente e in ogni direzione, in Russia le indagini sull’omicidio di Cepov non vanno avanti in alcun modo. Di queste non si sa assolutamente niente. Proprio come delle indagini sull’omicidio di Kivilidi.
Sottolineo: quest’ultima circostanza è molto caratteristica per omicidi di questo tipo. Non appena le tracce di un crimine conducono alla GRU, all’FSB, all’SVR o al ministero degli Interni, proprio là si interrompono.
Così come si è interrotta ogni traccia nelle indagini sulle circostanze della morte del vice direttore della “Novaja Gazeta” e deputato della Duma di Stato[41] Jurij Ščekočichin, la cui misteriosa e improvvisa morte è giunta a causa di una malattia dai sintomi sorprendentemente simili a quelli del tenente colonnello Litvinenko. Nel 2003 non fu aperto alcun caso. Alla nostra richiesta, indirizzata alla Procura generale nel 2006, di indagare in qualche modo le circostanze della morte di Ščekočichin sulla base di altri fatti venuti alla luce, finora non è giunta risposta.
Finora non sappiamo con precisione chi ha ucciso Litvinenko e chi ha dato ordine di eliminarlo. Ma concorderete che, sullo sfondo di tutto ciò che accade oggi in Russia, è difficile respingere la versione, secondo cui a questo omicidio hanno preso parte proprio i servizi segreti. Tanto più che solo qualche mese prima della morte dell’ex ufficiale dell’FSB, su richiesta del presidente Putin, la Duma di Stato aveva concesso ai servizi segreti di compiere esecuzioni extragiudiziali anche all’estero.

Conclusione
I fatti riportati danno modo di supporre che a dispetto della Costituzione ai servizi segreti patri, e soprattutto le “fondazioni” imparentati con essi e affiliati, siano stati conferiti poteri speciali. Attraverso i loro reparti illegali e semilegali sono diventati una delle principali leve del potere del nostro paese. Hanno acquisito una forza, che rappresenta un pericolo tanto per la società nel suo complesso, quanto per ogni singolo cittadino del nostro paese in particolare. Fra di essi, anche per lo stesso presidente.
Come cittadino della Russia chiedo alla Procura Generale, al Consiglio della Federazione[42], al Consiglio di Sicurezza del presidente della Russia, allo stesso presidente:
1. Di indagare e accertare se esista una disposizione segreta del governo, che conferisce ai servizi segreti i pieni poteri per porre in atto i cosiddetti metodi non tradizionali di lotta con la criminalità?
2. Esistono istruzioni, stese dai servizi segreti e dal ministero degli Interni che sviluppano queste disposizioni?
3. Di accertare se esistano reparti creati sulla base della presunta disposizione segreta del governo e delle istruzioni segrete e quale sia il loro ruolo oggi.

Igor’ KOROL’KOV, osservatore della “Novaja Gazeta”

P.S. Mentre il numero andava in stampa, abbiamo ricevuto una qualche risposta dalla Procura Generale: il rifiuto di aprire un procedimento penale sulla morte di Ščekočichin Ju. P[43].

11.01.2007 (
http://2007.novayagazeta.ru/nomer/2007/01n/n01n-s00.shtml; traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] In Russia per “organi” si intendono gli organi del ministero degli Interni, cioè i servizi segreti.

[2] Georgi Ivanov Markov, scrittore dissidente bulgaro, fuggito in Inghilterra e ucciso là nel 1978 (probabilmente con una punta d’ombrello che lanciava piccoli proiettili avvelenati – il tristemente noto “ombrello bulgaro”).

[3] Stepan Andrijovič Bandera, leader dell’Unione dei Nazionalisti Ucraini che lottò per l’indipendenza dell’Ucraina tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ’50, ucciso a Monaco di Baviera nel 1959 da un agente del KGB.

[4] Nell’originale oborotni, figure mitologiche di uomini capaci trasformarsi in animali. In gergo con questo termine si indicano i poliziotti corrotti, che si sono messi al servizio dei criminali con cui dovrebbero combattere.

[5] Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie (Direzione Generale dell’Intelligence), l’intelligence militare.

[6] Vozdušno-Desantnye Vojska (Reparti Scelti Aviotrasportati).

[7] Glavnoe Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione Generale del Ministero degli Interni), in pratica la polizia.

[8] Altra città sulla costa del Pacifico.

[9] Abbreviazione di Vichrovoj Èlektromagnitnyj Preobrazovatel’ Ščëtčika (Trasformatore Elettromagnetico a Turbina da Contatore), soprannome del criminale andrei Vytirajlov

[10] Federal’naja Služba Besopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo, erede del KGB.

[11] Abbreviazione russa di questo dipartimento, Glavnoe Upravlenie po Bor’be s Organizovannoj Prestupnost’ju.

[12] Regione russa che comprende la costa pacifica della Federazione Russa ai confini con la Cina.

[13] Letteralmente “bagnati” (di sangue), modo gergale di definire gli omicidi su commissione.

[14] Sottinteso “della Federazione Russa”.

[15] Regione della Georgia che aspira all’autonomia da questa e i cui “combattenti per l’indipendenza” sono segretamente appoggiati dalla Russia.

[16] Regione della Moldavia ad est del fiume Dnestr autoproclamatasi indipendente con l’appoggio di Mosca.

[17] Per di più Strastnoj significa “di Passione” (l’aggettivo si riferisce alla Settimana Santa e soprattutto al Venerdì di Passione).

[18] Incoerenza dell’originale.

[19] Vystavka Dostiženij Narodnogo Chozjajstvo (Mostra dei Successi dell’Economia Nazionale), zona fieristica di Mosca.

[20] Piccolo affluente della Moscova.

[21] Moskovskij Ugolovnyj Rozysk, “Centro Moscovita per la Ricerca di Criminali”.

[22] La polizia moscovita, la cui sede centrale è in via Petrovka.

[23] Città della Russia centrale.

[24] Potente esplosivo.

[25] Città russa sulla costa del Baltico in posizione estremamente strategica in una regione separata dal restante territorio della Federazione Russa.

[26] Rajonnoe Upravlenie po Bor’be s Organizovannoj Prestupnost’ju, „Direzione Provinciale per la Lotta contro il Crimine Organizzato”.

[27] Upravalenie Federal’noj Služby Besopasnosti, “Sezione del Servizio di Sicurezza Federale”.

[28] “Notizie Moscovite”, giornale di Mosca.

[29] Egor Timurovič Gajdar, politico di centro-destra, già primo ministro ai tempi di El’cin e adesso oppositore di Putin.

[30] Služba Vnešnej Razvedki, “Servizio di Intelligence Esterno”, quello che si occupa delle azioni di intelligence all’estero.

[31] Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie General’nogo Štaba Rossijskoj Armii, “Direzione Generale dell’Intelligence del Quartier Generale dell’Esercito Russo”.

[32] Organizovannaja Prestupnaja Gruppa, “Gruppi Criminali Organizzati”.

[33] La Russia ha firmato una moratoria delle esecuzioni capitali e attualmente la massima pena è l’ergastolo.

[34] Direzione per l’Analisi delle Organizzazioni Criminali (il corsivo è mio).

[35] Boris Abramovič Berezovskij, discusso uomo d’affari che rivestì ruoli politici significativi sotto El’cin, poi caduto in disgrazia e fuggito in Gran Bretagna, dove gode addirittura dello status di rifugiato politico.

[36] Vedi nota 12.

[37] Letteralmente “le autorità”. In effetti le bande criminali russe sono organizzate come piccoli stati (vedi Sant’Agostino “cosa sono le bande di ladroni, se non piccoli stati?”).

[38] Letteralmente “si slegavano le mani”.

[39] O meglio “gli organi”. Vedi nota 1

[40] Un tipo di gas nervino.

[41] La camera bassa del parlamento russo.

[42] La camera alta del parlamento russo, formata da rappresentanti delle varie entità della Federazione Russa (repubbliche autonome, governatorati, ecc.).

[43] Jurij Petrovič.