30 luglio 2009

Anche dopo la sua morte Natal'ja Èstemirova continua ad aiutare le vittime dei crimini di Cecenia - fin dove è possibile...

Èstemirova continua a salvare persone



Le strutture armate [1] della Cecenia hanno liberato tre ceceni sequestrati, delle ricerche dei quali si era occupata Natal'ja Èstemirova


Poco prima della morte Nataša aveva pubblicato informazioni sulla tragedia del villaggio di Achkinču-Barzoj [2]. Il 6 luglio gli agenti della ROVD [3] di Kurčaloj avevano sequestrato Rizvan Albekov e suo figlio Aziz, che aveva terminato la scuola da poco. Rizvan Albekov, veterano dell'Afghanistan, aveva vissuto a Stavropol' [4] per 26 anni. Era tornato in Cecenia nell'estate 2008 – suo fratello era morto, bisognava prendersi cura della madre malata.

Quel giorno gli Albekov erano andati a Kurčaloj a preparare i documenti per l'iscrizione di Aziz all'università. Quando gli Albekov sono tornati da Kurčaloj, li hanno sequestrati e portati in direzione ignota. La sera dello stesso giorno ad Achkinču-Barzoj davanti agli occhi degli abitanti del villaggio Rizvan Albekov è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco dagli agenti della ROVD di Kurčaloj. Lo accusavano di aver dato del pane a dei militanti.

Del destino dello studente Aziz Albekov non si è saputo nulla, delle sue ricerche si è occupato solo “Memorial” [5] di Groznyj. La procura è giunta sul luogo dell'omicidio, ha fotografato il cadavere, ha interrogato i parenti e i testimoni. Dopo di ciò nel villaggio è giunto il capo della ROVD di Kurčaloj Chamzat Èdil'giriev e i parenti hanno dichiarato che Rizvan Albekov è morto per un ictus. Il caso è stato di fatto chiuso.

Le informazioni filtrate sulla pubblica esecuzione hanno provocato la reazione istantanea delle autorità cecene. Gli uomini di “Memorial” sono stati convocati dal plenipotenziario per i diritti umani della Repubblica Cecena Nurdi Nuchažiev. Davanti alle telecamere della TV locale Nuchažiev ha espresso “stupore per l'aspirazione maniacale a cercare solo ciò che è negativo nella Repubblica Cecena e poi gonfiare questo davanti a tutti”.

E ha aggiunto: “Il presidente (Ramzan Kadyrov – nota dell'autrice) stesso dice: “Quelli che non hanno la dovuta interazione con chi è incaricato e con i suoi collaboratori non lavoreranno qui ed egli non collaborerà con loro!”… Questo è scritto precisamente nel decreto n. 51. Non è forse un gran bene per gli attivisti per i diritti umani, se questi è così interessato alla difesa dei diritti umani? Da noi da gennaio in 6 mesi sono state sequestrate 3 persone. Neanche questo fa onore, ma si tratta di azioni irregolari degli agenti delle strutture armate. Cioè quelle (personen.d.a), che si sarebbero potute convocare semplicemente con un mandato, sono state arrestate con operazioni speciali, facendo accerchiamenti, balzando nelle case. Il presidente li rimprovera sempre (i kadyroviani [6]n.d.a) per questo…”

Cinque giorni dopo questo incontro Nataša Èstemirova è stata uccisa. Tutti hanno preso a parlare della pubblica esecuzione ad Achkinču-Barzoj. Una settimana dopo il diciassettenne Aziz Albekov è stato liberato.

Il caso di Maschud Abdullaev

Il 22 luglio è stato liberato Maschud Abdullaev – figlio di uno dei leader delle organizzazioni clandestine del Caucaso del Nord Sup'jan Abdullaev.

Un mese fa, il 20 giugno, Maschud fu espulso dall'Egitto e fu arrestato all'aeroporto di Domodedovo [7]. Gli erano andati incontro degli attivisti russi per i diritti umani, supponendo, che le strutture armate russe avrebbero potuto sequestrare Maschud Abdullaev. I timori si sono verificati.

Per 24 ore gli attivisti per i diritti umani hanno aspettato inutilmente Maschud a Domodedovo. Alla sezione dello FSB [8] dell'aeroporto, 5 ore dopo l'atterraggio dell'aereo alle persone che erano venute a incontrarlo è stato detto che Abdullaev era stato arrestato per verificarne i documenti e che si trovava lì. Poi hanno comunicato che Abdullaev aveva attraversato la frontiera e che era stato rilasciato già tre ore prima. Dopo un'altra ora hanno detto che Abdullaev, con tutta probabilità, era andato a prendere i bagagli, ma poi hanno aggiunto: “O forse è stato arrestato da altre strutture”.

Il 29 giugno Maschud Abdullaev è comparso in diretta alla trasmissione “Točki opory[9] della TV di Groznyj. Ancora qualche giorno dopo Abdullaev è stato mostrato in compagnia dell'ombudsman ceceno Nurdi Nuchažiev. Maschud ha raccontato che “dopo l'arrivo a Mosca ho pernottato all'aeroporto di Domodedovo e il giorno seguente sono volato in Cecenia. Volevo vedere familiari e persone a me vicine, guardare come vive la Repubblica Cecena , dove non sono stato per 10 anni”. Maschud ha dichiarato che nessuno fa pressioni su di lui: “Io vado dove voglio, faccio visita a chi voglio…”

Dopo di ciò Maschud è scomparso di nuovo.

…E' stato ritrovato solo il 20 luglio, cinque giorni dopo l'omicidio di Natal'ja Èstemirova, che si era occupata attivamente delle ricerche di Abdullaev. Al telefono cellulare di Svetlana Gannuškina [10] ha chiamato un giovane, che si è presentato come l'inquirente della Direzione Investigativa della Repubblica Cecena Beslan Labazanov. Questi ha detto di condurre una verifica sulle dichiarazioni degli attivisti per i diritti umani sulla scomparsa di Maschud Abdullaev e ha comunicato di aver convocato Maschud e che presto sarebbe giunto alla direzione. L'inquirente ha proposto di richiamare perché Gannuškina potesse parlare lei stessa con lui.

Alla domanda su come fosse riuscito a trovare Maschud, l'inquirente Labazanov ha risposto di averlo fatto per mezzo di conoscenti.

Qualche tempo dopo l'inquirente ha richiamato e ha passato la cornetta a Maschud Abdullaev.

– Dov'è stato tutto questo tempo? – ha chiesto Svetlana Gannuškina.

– Qui, a Groznyj.

– Dove vive?

– Da amici.

Tuttavia Maschud Abdullaev non ha rivelato l'indirizzo degli “amici”. Si è chiarito anche che non ha un telefono cellulare e che non sa i numeri di telefono dei suoi “amici”, da cui ha passato un mese esatto dopo la scomparsa da Domodedovo.

Il 22 luglio Maschud Abdullaev ha attraversato la frontiera tra Russia e Azerbaijan. A Baku è andato a incontrarlo la madre.

I casi di Zajnalov e Chadžiev

Apti Zajnalov e Zemlichan Chadžiev sono stati sequestrati il 28 giugno. I loro genitori si sono rivolti a “Memorial” di Groznyj per avere aiuto. Natal'ja Èstemirova li ha convinti a rivolgersi alla procura perché venisse aperto un fascicolo per sequestro di persona. Nataša stessa ha deposto su questo caso.

Durante l'incontro con il procuratore del distretto di Ačchoj-Martan [11] Ju.V. Potanin la madre di Apti Zajnalov ha raccontato che suo figlio era stato trovato con un grave trauma cranico all'ospedale distrettuale di Ačchoj-Martan. Il suo cognome non era indicato nelle liste dei pazienti. Il procuratore Potanin ha dato ordine ai sottoposti di verificare l'informazione, questi è andato a un'udienza. I sottoposti non si sono affrettati ad eseguire l'ordine. Non sono neanche andati in ospedale. La madre di Apti Zajnalov è andata ella stessa all'ospedale e ha visto che suo figlio veniva portato in fretta in direzione ignota. Ha visto distintamente il figlio. Non ha potuto impedire nulla ai sequestratori. Tuttavia ha registrato la targa, il colore e la marca della macchina su cui hanno portato via suo figlio. Dopo di ciò la madre si è precipitata urgentemente in procura, ma il procuratore Dombaev, a cui è stata affidata la verifica non è andato dalla madre del sequestrato Apti Zajnalov fino alla fine dell'orario di lavoro.

Della sorte di Apti Zajnalov non si sa finora nulla di preciso. C'è il sospetto che possano averlo portato a Gudermes [12] all'ospedale, dov'è primario Idris Bajsultanov, fratello del primo ministro ceceno. In questo ospedale, secondo informazioni di varie fonti, vengono internati senza darne notizia malati “segreti”, sospettati di legami con le organizzazioni clandestine.

Grazie all'indagine condotta dai membri di “Memorial” si è riusciti a conoscere la sorte del figlio di Salaudin Chadžiev Zelimchan. Autista dell'ingegnere capo della “Grozneftegaz” [13], lavorava inoltre come tassista. Il 28 giugno Zelimchan portò sulla propria macchina Apti Zajnalov. Entrambi furono arrestati da agenti della polizia cecena. Durante l'arresto Zajnalov fece resistenza e fu ferito gravemente. Zelimchan fu preso “per compagnia”. Il padre mise in moto i propri contatti, scrisse una denuncia alla procura, scrisse a “Memorial”. In generale si mosse molto attivamente. Andò da lui uno dei comandanti più vicini a Kadyrov – Ibragim Dadaev, capo dell'OVD [14] di Šatoj [15]. Gli promise che il figlio sarebbe tornato di certo, solo che il padre avrebbe dovuto ritirare le proprie denunce e tacere. Salaudin Chadžiev fece così. Ma Nataša Èstemirova non era convinta che la promessa fatta a Salaudin sarebbe stata mantenuta e ha continuato a condurre un'indagine, dopo aver reso noto il sequestro di Zajnalov e Chadžiev. Inoltre, con una denuncia di questo caso “Memorial” si è rivolto alla Corte Europea per i diritti umani con la cosiddetta procedura d'urgenza. Nel caso in cui un qualsiasi rallentamento possa minacciare la vita di una persona la Corte europea ha diritto di comunicare (cominciare a esaminare) una denuncia senza attendere un'indagine. Dal giugno 2009 questo è già il quarto caso di sequestro di persona per cui “Memorial” ricorre alla “procedura d'urgenza”. Dopo l'intervento operativo della Corte Europea sono stati liberati due ceceni sequestrati a fine maggio. Il luogo in cui si trovavano era ignoto, le strutture armate della Cecenia avevano comunicato alcune volte di non aver preso parte al sequestro. Poi nel caso è entrata Strasburgo e da Mosca, evidentemente, è giunto l'ordine di liberare i sequestrati.

Il 20 luglio la Corte di Strasburgo ha comunicato al governo della Federazione Russa il fatto che era stata presentata una denuncia per il caso di Zajnalov. Qualche giorno dopo è stato rilasciato Zelimchan Chadžiev.

L'ultimo caso di Nataša Èstemirova

Da maggio in Cecenia si è verificato un netto incremento di sequestri di persona. Secondo le informazioni operative, alle strutture armate si sarebbe arreso qualcuno dei militanti e questi avrebbe fatto il nome dei fiancheggiatori.

Il 17 maggio per sospettati collaborazione con la banda di Machauri sono stati arrestati i fratelli Džabir e Džabrail Zakriev, Noža Džabichadžiev e il soldato del battaglione “Jug” [16] Aslan Èl'darov. Le informazioni su questo caso sono estremamente scarse, i parenti non vogliono denunciarlo a nessuno. Nataša Èstemirova aveva appena cominciato ad occuparsi di questo caso. Con il suo aiuto ci è riuscito incontrarci con il padre di uno dei sequestrati – Nažmudi Džabichadžiev.

Il 4 giugno alle 22.15 hanno fatto irruzione in casa uomini armati senza maschere. Io li conosco tutti. Sono agenti della ROVD di Kurčaloj, della cosiddetta compagnia speciale (sono state create presso tutte le ROVD locali per eseguire ordini “particolari” n.d.a.). Hanno portato mio figlio nel villaggio di Bači-Jurt, li hanno tenuti là nell'edificio dell'ex TOM (territorial'noe otdelenie milicii [17], ora là si trova la scuola dei cadetti e una prigione illegale nota dai racconti degli abitantin.d.a.).

Venerdì sono andato alla ROVD di Kurčaloj. Sultan Bilaev, capo della MOB (milicija obščestvennoj bezopasnostin.d.a.), mi ha detto: “Abbiamo preso tuo figlio, è da noi. Dove si trova, non ti è obbligatorio saperlo”. Allora sono andato dritto dal procuratore del distretto di Kurčaloj Anatolij Kim. Questi non si è messo a interrogarmi, a riempire un protocollo. Semplicemente ha chiesto di scrivere su un foglietto nome e cognome di mio figlio e di attendere nel corridoio. Dopo trenta minuti mi hanno telefonato i parenti: “Vieni urgentemente, da noi c'è tutta la polizia”. Sono andato e là c'erano quei ragazzi che avevano preso mio figlio. Chiedono: “Dove sei stato?” Gli dico: “Ho fatto denuncia in procura, anche se nessuno mi ha preso alcuna denuncia, a parte quel foglietto con il nome del figlio”. Il capo della compagnia speciale della ROVD di Kurčaloj Musa Salmaniev mi ha dichiarato: “Se nel giro di un'ora non riprendi indietro la denuncia, tra due ore ti gettiamo il cadavere di tuo figlio nel cortile. Oggi qui il capo della polizia sono io, lo FSB sono io, il procuratore sono io. Noi siamo la compagnia speciale e possiamo fare tutto, non ci puniranno per questo, io qui sono zar e Dio!” Ho detto: “Fate quello che volete. Per me la cosa importante è sapere chi ha preso mio figlio. Con il tempo gliela faremo pagare”. Musa mi risponde: “Ora che c'è stata una conversazione del genere, andrai con noi alla sezione. Parleremo là”.

O – Andiamo! – rispondo.

Allora Musa mi prende da parte e dice: “Non creare problemi a noi e a te stesso, ritira la denuncia. Poi mi telefonerai”.

Sono andato dal procuratore Kim e gli ho preso il foglietto con nome e cognome di mio figlio. Ho tratto la conclusione che il procuratore Anatolij Kim e Musa Salmaniev, probabilmente, si erano messi d'accordo tra loro. Poi ho telefonato a Musa e ho detto che avevo ritirato la denuncia. Quella stessa sera mio figlio mi ha telefonato con il telefono di Musa e ha detto che stava bene. Questo è stato il 6 luglio. Da allora il telefono di Musa Salmaniev non risponde, di mio figlio non ho alcuna notizia. Mi hanno detto che al cimitero sono comparse tombe fresche. Non mi sono messo a scavare…”

Della sorte di Džabir Zakriev, Aslan Èl'darov e Noža Džabichadžiev non si sa niente. Tranne un fatto: ci sono testimoni, che li hanno visti vivi nel villaggio di Centoroj [18].

Elena Milašina

29.07.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/081/17.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Per “strutture armate” vanno intesi tutti i corpi, sia dell'esercito sia della polizia, deputati all'uso della forza.

[2] Nel distretto di Kurčaloj nella Cecenia centrale.

[3] Rajonnyj Otdel Vnutrennich Del (Sezione Distrettuale degli Affari Interni), in pratica la sede distrettuale della polizia.

[4] Città della Russia meridionale.

[5] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e ancora attiva sul fronte dei diritti umani.

[6] “Kadyroviani”sono detti gli uomini dell'esercito personale di Ramzan Kadyrov, che operano nel più totale disprezzo di qualsiasi legge. In generale Nuchažiev dice cose assurde e ridicole.

[7] Uno degli aeroporti di Mosca.

[8] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), l'erede del KGB.

[9] “Punti d'appoggio”.

[10] Svetlana Alekseevna Gannuškina, membro di “Memorial” e del Consiglio per i Diritti Umani presso il presidente russo.

[11] Villaggio della Cecenia sud-occidentale.

[12] Città della Cecenia centrale.

[13] “Groznyj-Petrolio-Gas”, impresa gas-petrolifera cecena.

[14] Otdelenie Vnutrennich Del (Sezione degli Affari Interni), in pratica la polizia distrettuale.

[15] Villaggio della Cecenia meridionale.

[16] “Sud”.

[17] “Sezione Territoriale della Polizia” (il rilievo grafico è mio).

[18] Villaggio nativo e quartier generale inaccessibile di Kadyrov, dove si compie ogni sorta di abuso.

29 luglio 2009

Cecenia: i primi 100 giorni dopo l'abolizione del regime speciale e una pace che non viene, che non può venire

100 giorni dall'abrogazione del regime di KTO [1] in Cecenia


Ingushetia.org, 27.07.2009 06:34


Con l'arrivo del giorno di oggi, 26 luglio, sono passati esattamente 100 giorni dal momento della dichiarazione del 16 aprile sull'abrogazione del quasi decennale regime di operazione antiterroristica in Cecenia. Tuttavia invece della stabilizzazione della situazione nella repubblica si osserva la crescita del numero di atti terroristici, omicidi e sequestri di persona. A tale conclusione porta l'analisi comparativa delle cifre dei periodi di 100 giorni prima e dopo l'abrogazione della KTO basate sui riscontri dei dati di archivio di “Kavkazskij uzel” [2] e di fonti indipendenti.


Già quattro giorni dopo l'abrogazione della KTO, il 20 aprile, un regime analogo di KTO, ma già di carattere locale, è stato annunciato in due distretti della Cecenia – quello di Itum-Kale [3] e quello di Vedeno [4]. Altri 3 giorni dopo, il 23 aprile, zona di operazione antiterroristica sono diventati il distretto di Šatoj [5] e anche gli abitati di Seržen'-Jurt, Šali, Čiri-Jurt e Novye Atagi nel distretto di Šali [6]. Il 27 aprile è stata annunciato il compimento della KTO in questi centri abitati. Ma dal 16 maggio – dopo il grave atto terroristico compiuto il 15 maggio da un kamikaze a Groznyj – nella parte montuosa della Cecenia e nel territorio dell'Inguscezia confinante con esso sono iniziate massicce misure speciali contro i militanti con la partecipazione dei reparti delle strutture armate di entrambe le repubbliche e delle forze federali, che continuano fino al momento presente.


Del rafforzamento dell'attività delle forze armate dopo l'abrogazione della KTO testimonia la crescita del numero generale di misure speciali indirizzate alla localizzazione e alla neutralizzazione dei militanti.


Così, 100 giorni dopo l'abrogazione della KTO in Cecenia sono stati registrati in generale non meno di 32 scontri e operazioni speciali, mentre nel periodo di 100 giorni prima dell'abrogazione della KTO di fatti del genere nella repubblica ne erano stati registrati 15.


Il numero di persone uccise dichiarate partecipanti all'attività di NVF [7] nei 100 giorni dal momento dell'abrogazione della KTO è cresciuto più di 5 volte ed è aumentato in modo significativo il numero di tali persone ad essere state arrestate. Così, in 100 giorni dopo l'abrogazione del regime di KTO sono state uccise non meno di 54 persone dichiarate membri di NVF, ne sono state arrestate non meno di 38 e volontariamente (secondo i dati delle forze dell'ordine) si sono costituite come militanti non meno di 3 persone. Altre 22 persone sono state arrestate come fiancheggiatori di membri di formazioni armate illegali.


Per fare un paragone: nel periodo di 100 giorni prima dell'abrogazione della KTO nella repubblica erano state uccise 10 persone dichiarate membri di formazioni armate illegali, come minimo 34 di tali persone erano state arrestate, altre 7 si erano costituite. Avevano subito l'arresto non meno di 44 persone definite fiancheggiatori di militanti.


Nonostante le misure intraprese, crescono enormemente anche le cifre dell'attività delle organizzazioni armate clandestine in Cecenia.


Così, in 100 giorni dopo l'abrogazione del regime di KTO nella repubblica nel corso di scontri e sparatorie e anche in conseguenza di attacchi armati e atti terroristici sono morti non meno di 29 agenti delle strutture armate e hanno subito ferite non meno di 64, mentre nello stesso periodo prima dell'abrogazione della KTO erano morti, secondo i riscontri effettuati sui dati di archivio, 8 rappresentanti delle strutture armate e 18 avevano subito ferite.


E' cresciuta in modo significativo la quantità di esplosioni e di atti terroristici. Così, in 100 giorni dopo l'abrogazione della KTO da fonti indipendenti si è avuta notizia di non meno di 22 esplosioni e di un caso in cui si è riusciti a impedire un atto terroristico in cui si sarebbe utilizzato un ordigno esplosivo. Mentre nel periodo di 100 giorni prima dell'abrogazione del regime di KTO sono stati registrati 7 casi del genere e altri 4 casi in cui si era riusciti a impedire le esplosioni.


Il rafforzamento dell'attività delle strutture armate e quello dei reparti dei militanti, condizionati l'uno dall'altro, si accompagnano all'aumento del numero di casi di violazioni di diritti umani. Nella repubblica sono diventati più frequenti i sequestri di persona e gli omicidi di civili.


Della crescita del numero di tali casi parla in particolare la seguente statistica. Se nel periodo di 100 giorni prima dell'abrogazione della KTO era stato riferito complessivamente di 6 sequestri e 4 omicidi di abitanti della Cecenia (due persone uccise erano tra i sequestrati), nei 100 giorni dal momento dell'abrogazione del regime di KTO si è avuta notizia di non meno di 21 sequestri e 9 omicidi di civili (due dei quali rientrano anche nel numero dei precedentemente sequestrati).


Oltre a questo, si è avuta notizia che dal 17 aprile (primo giorno dopo l'abrogazione della KTO in Cecenia) nel complesso 13 civili hanno subito le conseguenze di atti terroristici, esplosioni e sparatorie. Nel periodo di 100 giorni prima dell'abrogazione della KTO questo indicatore riportava come minimo 8 persone uccise.


Di quanto enormemente cresca il numero dei fatti indicati sopra nel periodo successivo all'abrogazione del regime di KTO in Cecenia testimonia in particolare la statistica comparativa del periodo di 70 giorni dopo l'abrogazione della KTO e dei 30 giorni seguenti. E' notevole il fatto che, per quanto riguarda molti dei parametri elencati sopra, che indicano la tendenza di sviluppo della situazione nella repubblica, le cifre degli ultimi 30 giorni sono più o meno allo stesso livello (e in una serie di casi addirittura lo superano) di quelle dei 70 giorni precedenti (un periodo più di due volte superiore per durata).


Così, se a 70 giorni dal momento dell'abrogazione della KTO il numero delle persone uccise dichiarate membri di NVF ammontava a non meno di 26, solo negli ultimi 30 giorni ammontava già a non meno di 28. Per sospetto fiancheggiamento di militanti nei primi 70 giorni dopo l'abrogazione della KTO sono state arrestate 12 persone – e ancora non meno di 10 nei 30 giorni seguenti.


Il numero degli omicidi di agenti delle strutture armate ammontava nei primi 70 giorni dopo l'abrogazione della KTO a 15 persone – e a 14 solo nei seguenti 30 giorni; il numero dei feriti tra gli agenti delle strutture armate ha raggiunto i 30 nei primi 70 giorni – e i 34 nei 30 giorni seguenti.


La quantità di sequestrati in Cecenia negli ultimi 30 giorni ammonta a non meno di 10 persone, mentre nei 70 giorni precedenti questo periodo si è avuta notizia nel complesso di 11 sequestrati.


Tra i sequestri di persona e gli omicidi compiuti in Cecenia dopo l'abrogazione della KTO quello che ha fatto più scalpore è stato il sequestro e l'omicidio seguito dopo qualche ora della nota attivista per i diritti umani e collaboratrice della sezione cecena del PC [8] di “Memorial”[9] Natal'ja Èstemirova. Uno dei casi di cui si occupava con una propria indagine Natal'ja Èstemirova era il sequestro avvenuto il 7 luglio nel distretto di Kurčaloj [10] in Cecenia degli Al'bekov padre e figlio. Secondo i racconti dei testimoni oculari, i sequestratori avrebbero poi giustiziato pubblicamente il padre, accusato di fiancheggiamento dei militanti. Il giorno prima della propria morte per mano dei sequestratori Natal'ja Èstemirova, in un'intervista telefonica a un corrispondente di “Kavkazskij uzel” promise di dare maggiori informazioni su questo caso, ma non è riuscita a farlo.


In precedenza in un'intervista a “Kavkazskij uzel” Èstemirova raccontò anche che dopo l'abrogazione del regime di operazione antiterroristica in Cecenia il numero di abitanti della repubblica sequestrati era già nell'ordine delle decine e il fatto che gli agenti delle strutture armate negli ultimi tempi riportassero sempre più spesso di georgiani, azeri e ucraini uccisi in Cecenia faceva sorgere negli attivisti per i diritti umani il timore che questi fossero abitanti della repubblica scomparsi.


Dopo che la Cecenia ha cessato di essere zona di operazione antiterroristica, le azioni delle autorità cecene non hanno avuto grande successo, fa notare il Centro per la difesa dei diritti umani di “Memorial”. Così, a quanto osservano gli attivisti per i diritti umani, da parte delle forze dell'ordine si è rafforzata la pressione sui giovani e questo ha sortito l'effetto opposto a quello della “lotta al terrorismo” – i giovani in risposta alla violenza degli agenti delle strutture armate “si danno alla macchia”, riempiendo le fila dei militanti.


Il capo dello FSB [11] Aleksandr Bortnikov all'inizio di giugno ha rassicurato il presidente russo Dmitrij Medvedev che la situazione in Cecenia dopo l'abrogazione del regime di operazione antiterroristica è sotto controllo. Tuttavia molti abitanti di quei luoghi non la pensano così. “Ci era sembrato che l'abrogazione dell'operazione antiterroristica fosse un altro passo verso la normalizzazione della situazione nella repubblica, ma quello che osserviamo ora pare tutto il contrario”, – hanno raccontato agli attivisti per i diritti umani gli abitanti del villaggio di Šalaži [12], da cui negli ultimi sei mesi sono partite per “darsi alla macchia” non meno di otto persone.


Ancora prima della conclusione della KTO in Cecenia gli attivisti per i diritti umani parlavano del fatto che il regime speciale nella repubblica sarebbe stato abrogato non perché il terrorismo era stato battuto, ma perché si devono “disseminare” gli sforzi nelle regioni vicine, in particolare in Daghestan e in Inguscezia, che è diventata il nuovo “punto caldo” del Caucaso del Nord.


“Kavkazskij uzel” continua a seguire la situazione che si è creata nella Repubblica Cecena dopo l'abrogazione del quasi decennale regime di KTO e porta avanti la cronaca di omicidi, atti terroristici e sequestri di persona che avvengono nella repubblica.

[1] KontrTerrorističeskaja Operacija (Operazione AntiTerroristica).

[2] “Nodo del Caucaso”, sito indipendente sulla situazione del Caucaso.

[3] Villaggio della Cecenia meridionale.

[4] Villaggio della Cecenia sud-orientale.

[5] Villaggio della Cecenia meridionale.

[6] Villaggio della Cecenia centrale.

[7] Nezakonnye Vooružënnye Formirovanija (Formazioni Armate Illegali). Notare che l'autore dell'articolo dice abbastanza chiaramente che prima si uccide e poi si dichiara che gli uccisi erano terroristi...

[8] Pravozaščitnyj Centr (Centro per la Difesa dei Diritti Umani).

[9] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e attiva nella difesa dei diritti umani nella Russia post-sovietica.

[10] Villaggio della Cecenia centrale.

[11] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), l'erede del KGB.

[12] Nella Cecenia centro-meridionale.

26 luglio 2009

Un tribunale per i crimini di Cecenia: un'utopia già pronta

La giustizia è lenta, ma inevitabile



Come hanno compiuto un sequestro di scritti politici


Stanislav Dmitrievskij, direttore dell'adesso chiusa Associazione per l'amicizia russo-cecena, attivista per i diritti umani, dissidente, estremista condannato ufficialmente [1], organizzatore delle Marce dei dissenzienti [2], ha portato a termine finalmente il suo libro, su cui con i colleghi ha lavorato per tre anni. E' un'indagine storica e giuridica dei crimini compiuti in Cecenia nel periodo della seconda guerra [3].

E' andata a finire che la presentazione, che ha avuto luogo il 15 luglio nel Centro Stampa Indipendente [4], è coincisa con l'omicidio di Natal'ja Èstemirova. Delle indagini di Natal'ja è composta buona parte del materiale.

Sul libro hanno lavorato più di dieci persone. Milleduecento pagine di omicidi, sequestri di persona, crimini. Queste persone hanno compiuto un lavoro di cui sarebbe capace – e dovrebbe essere obbligato a fare! – solo uno stato.

Ma questo non è semplicemente un'elencazione di fatti e articoli. La cosa più importante del libro è ciò a cui è indirizzato, espresso nel titolo – “Tribunale internazionale per la Cecenia. Prospettive giuridiche di chiamata in causa per responsabilità penale individuale di persone sospettate di aver compiuto crimini di guerra e crimini contro l'umanità”.

Stanislav, la creazione di un Tribunale internazionale sulla Cecenia – quanto è realistico? Come ti è venuta questa idea?

– Per la prima volta è stata formulata nella risoluzione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa del 2 aprile 2003. In essa si dice: “L'Assemblea ritiene che se non saranno intrapresi sforzi più attivi per chiamare in causa i colpevoli di violazioni dei diritti umani e se si conserverà il clima di impunità, allora la comunità internazionale dovrà esaminare la possibilità di creare un tribunale per i crimini di guerra e per i crimini contro l'umanità nella Repubblica Cecena”. E' chiaro che la Russia non riconoscerà mai la giurisdizione di tale tribunale, ma non di meno questo documento è stato approvato.

Esistono quattro possibilità di una giurisdizione internazionale sulla Cecenia. La prima è la creazione di un tribunale come è stato fatto per il Ruanda e per la Jugoslavia. L'articolo 7 dello Statuto dell'ONU dice che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha diritto di prendere decisioni obbligatorie per tutti i membri dell'ONU per mantenere la pace. Ma il fatto è che la Russia ha il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. La seconda variante è la creazione di un tribunale ibrido. Questo modello funziona in Sierra Leone, in Kampuchea, in Cambogia [5]. E' quando il sistema giudiziario dopo un periodo di guerre e distruzioni non funziona e lo stato si rivolge alla comunità internazionale con la richiesta di creare un tribunale imparziale e indipendente perché da solo non è in grado di fare ciò. Neanche questa variante è per noi. La terza è l'esame del caso da parte della Corte Penale Internazionale. Questo è più realistico, ma ci sono due aspetti: in primo luogo, la giurisdizione della Corte Penale Internazionale inizia dal 2002, non è un tribunale retroattivo, può esaminare crimini compiuti solo da quel momento. Invece la maggior parte dei crimini in Cecenia è stata commessa prima. In secondo luogo, la Russia, anche se ha siglato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, non l'ha ratificato. Finora non ne siamo partecipi e la sua giurisdizione non si estende a noi.

Tutte e tre queste varianti guardano al futuro.

Ma c'è una quarta variante: la più difficile, peraltro la più realistica. Esiste il concetto di “giurisdizione universale”. La sua essenza sta nel fatto che i crimini contro l'umanità sono oggetto di preoccupazione non di un singolo stato, ma di tutta la comunità internazionale. Perciò se uno stato non vuole perseguire penalmente i colpevoli, – quello che vediamo in Russia, – allora qualsiasi stato può esaminare questi crimini in un proprio tribunale. Questo è il cosiddetto obbligo erga omnes – l'obbligo per tutti. Ci sono episodi impressionanti di realizzazione di questa giurisdizione, quando, per esempio, i giudici spagnoli hanno esaminato i casi della dittatura argentina del 1978, al tempo in cui Adolfo Scilingo, che aveva preso parte ai cosiddetti voli della morte, gettò dei prigionieri dall'aereo nell'oceano. I casi del Ruanda sono stati esaminati da tribunali tedeschi, ora sono esaminati da tribunali finlandesi.

Cioè qualsiasi persona con basi abbastanza consistenti può rivolgersi per questi crimini al tribunale di qualsiasi paese ?

– Teoricamente può iniziare il procedimento o una persona che sia vittima di un crimine o un'organizzazione locale interessata, per esempio degli attivisti per i diritti umani. Ma in pratica ci sono dei limiti. Nella maggior parte dei paesi, ad eccezione della Spagna, è necessaria se non la fattiva, almeno l'auspicabile presenza sul territorio dei presunti responsabili. Ma anche in Spagna ora restringeranno questa legge, perché su quel paese si è riversato un cumulo di istanze.

Qualche esempio concreto. Chi andrà, diciamo, in Germania, perché lo si possa chiamare in causa per i crimini in Cecenia?

– Queste persone sono elencate nell'ottavo capitolo del libro. A cominciare da Vladimir Putin e Nikolaj Patrušev [6] per finire con Sergej Novičkov, ex comandante di compagnia del 245° reggimento di fanteria motorizzata. Tutti, tranne l'ex presidente, che, come capo del governo, gode per ora di immunità internazionale, può divenire oggetto di tale procedura . Per esempio, il generale Vladimir Šamanov [7]. Se andasse in qualsiasi paese europeo, là in Procura non si dovrebbe inviare solo la richiesta di avviare un procedimento, ma anche una cartella di materiale – con deposizioni di testimoni, con fatti raccolti. E' chiaro che in Cecenia, con la dittatura che c'è ora là, non troveremo testimoni. Ma un'enorme quantità di vittime di crimini – ceceni – vive in Europa. Un tale progetto richiede mezzi, ma se ci sarà un'unità di organizzazioni per la difesa dei diritti umani, allora potremo creare qualcosa come il Simon Wiesenthal Center. Non dico che a qualcuno metteranno subito le manette… Ma forse le metteranno pure, in Spagna lo stesso Scilingo, per esempio, fu arrestato e in fin dei conti condannato a 640 anni. Ma in ogni caso si può creare un certo clima di pressione.

E le prove?

– Qualsiasi tribunale si basa sulle deposizioni dei testimoni come su una delle prove fondamentali. Per esempio, a Chankala [8] è stata trovata una fossa comune, 50 corpi. 25 di essi si sono potuti riconoscere ed è stato chiarito che tutti questi erano stati arrestati da uomini delle forze armate federali. Ma di nuovo, non dico che abbiamo stabilito la responsabilità di qualcuno. Il nostro lavoro è essenzialmente lo svolgimento di un abbozzo di atto d'accusa. Ma non più di questo – in nessun caso stabiliamo alcuna responsabilità. La presunzione d'innocenza è sacra. Noi diciamo: questi sono indizi di crimini, sono evidenti. E ci sono basi consistenti per supporre che queste o altre persone siano responsabili di averli compiuti. Il compito della Procura è di verificare questi fatti. Se un tribunale indipendente li assolverà, io chinerò il capo.

Qui sorge una questione di obbiettività. In guerra entrambe le parti giungono abbastanza presto alla bestialità. Quanto sono stati esaminati da ogni lato i crimini in Cecenia? Intendo parlare dei crimini da parte cecena.

– Dimenticare Beslan o il “Nord-Ost” [9] sarebbe cinismo. Il capitolo 43, “Crimini compiuti da rappresentanti della parte cecena in conflitto in quanto crimini di guerra” e il capitolo 45, “Crimini compiuti da rappresentanti della parte cecena in conflitto in quanto crimini contro l'umanità” sono dedicati proprio a questo. Ma in effetti nel libro ad essi è dedicata meno attenzione. Il fatto è che la maggior parte delle persone della parte cecena che si sarebbero potute definire presumibilmente responsabili o sono morte o scontano condanne. Non ho dubbi sul fatto che le bestialità di Basaev siano crimini. Ma è morto.

Invece da parte russa è tutto il contrario, ma le condanne dei tribunali sono momenti singoli. E la questione della responsabilità delle più alte sfere non viene affatto posta. Vedi il massacro a Novye Aldy [10], dove furono uccise 46 persone. C'è Novičkov, comandante della sesta compagnia. C'è Bulavincev, comandante del secondo battaglione. C'è Judin, comandante del 245° reggimento, c'è l'OMON [11] di Piter [12], sopra di loro c'è il generale Bulgakov e così via. Ma questa catena non è stata affatto esaminata. La Procura cerca ottusamente chi ha direttamente premuto il grilletto. Hanno fatto un lavoro enorme, hanno interrogato una grande quantità di testimoni, ma naturalmente non hanno trovato nessuno. Noi non vogliamo che il vettore delle indagini sia diretto solo in orizzontale, ma anche in verticale – verso l'alto.

C'è qui un caso indicativo, esaminato dalla Corte Internazionale per la ex Jugoslavia. Nel 1995 le forze serbe giustiziarono circa 8000 persone a Srebrenica. Uno degli imputati era il soldato Dražen Erdemović, che fu costretto a prender parte alle esecuzioni, fu posto davanti a una scelta: o fucilava o lo avrebbero fucilato. Erdemović fucilò circa 80 persone. Soffrì un fortissimo stress, fuggì in Germania e si consegnò alla giustizia. Il secondo imputato era il comandante del corpo “Drina” Radislav Krstić. Né questi, né i suoi sottoposti avevano partecipato direttamente alle fucilazioni, questi non aveva dato ordine di compiere esecuzioni e addirittura, come stabilì la corte, era interiormente contrario a tali metodi di “consolidamento del territorio”. Tuttavia, conoscendo bene le intenzioni dei propri superiori – il generale Mladić e il presidente Karadžić – fornì autobus e parte dei propri uomini per convogliare i condannati. Alla fine Erdemović è stato condannato dalla Corte a cinque anni di detenzione e Krstić a trentacinque. E io penso che questa sia una sentenza giusta.

C'è un obbligatorio livello minimo di umanità, sotto cui non si può scendere. Non si possono giustiziare i prigionieri, non si possono bombardare i civili, non si possono prendere in ostaggio le scuole. Qualunque sia lo scopo – la lotta al terrorismo o la libertà di una nazione.

Chi è il destinatario del libro?

– Dopo la risoluzione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa c'era stato un risollevamento degli animi. Tutti aspettavano che l'assemblea cominciasse a compiere qualche passo. Non seguirono azioni. Tutto si è risolto in una sparata politica. Questo, certo, è disgustoso: tacete, ma se avete detto parole così pesanti, allora agite.

E noi abbiamo deciso: una volta che la comunità internazionale non può realizzare le proprie belle intenzioni, allora, probabilmente, la si può aiutare. Io ho proposto – creiamo qualche organo preliminare, che cominci a preparare le basi giuridiche, la raccolta delle informazioni, di modo che, quando apparirà la possibilità, da noi sia tutto fatto. Perciò il primo auditorio a cui ci si indirizza sono le organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Queste hanno raccolto un materiale unico, ma non hanno conoscenze nell'ambito del diritto. E la luce della scienza giuridica, Antonio Cassese, primo presidente della Corte Internazionale per la Jugoslavia e anche Cherif Bassioni [13], giurista americano sono molto poco informati sull'aspetto fattuale della questione cecena. E il compito dello studio è gettare un ponte tra il diritto e i fatti. Il libro è pure fatto così: da una parte le norme del diritto, che sono principalmente indirizzate agli attivisti per i diritti umani e dall'altra i fatti, indirizzati agli specialisti.

Nel corso del lavoro siamo riusciti a creare un nuovo metodo di analisi, che ora le corti internazionali sono già pronte a utilizzare. Per noi è importante mostrare che questi non sono singoli episodi, ma un modo di agire sistematico. Ci siamo sforzati di evitare giudizi politici e di valore. Questo è diritto della più bell'acqua. Ma indubbiamente contiamo che il libro spinga la diplomazia internazionale a qualche passo. Sì, ora non ci sono possibilità di creare un tribunale – così creiamo una commissione per stabilire i fatti. Sul tipo della commissione di Cherif Bassioni che lavorava sulla Jugoslavia.

Non ha la sensazione di battere la testa contro un muro?

– Noi ci battiamo la testa comunque da 10 anni. Beh, sì, ci sono oltre 100 sentenze della Corte Europea, oltre 100 persone hanno ricevuto un giusto risarcimento. Ma la situazione non cambia radicalmente. Noi proponiamo un nuovo approccio. Sì, non può dare frutti domani. Ma nel 1974 alcuni parenti delle vittime della giunta golpista cilena ebbero l'idea di documentare i crimini per un futuro tribunale – essi stessi allora non capivano per quale. Per 30 anni hanno cercato giustizia, ma poi l'hanno ottenuta! Oltre a Pinochet tutte quelle persone che avevano guidato le repressioni, a cominciare dal generale Contreras, sono finiti davanti a una corte. Ora sono tutti in prigione. La giustizia, purtroppo, procede lentamente, ma procede. Il mondo negli ultimi decenni non è diventato più buono, ma è diventato di qualche millimetro più giusto. Cioè, quando giungeremo a questo tribunale, e ci giungeremo, sono certo, avremo già le prove in mano.

Un lavoro del genere in tre anni

– Mi sono affrettato. In qualche momento percepivo davvero che ci fosse la possibilità di non fare in tempo. Solo di questo ho vissuto. Mia figlia aveva già preso a domandarmi: “Papà, ma i fascisti non ci tireranno più i mattoni alle finestre?” Noi discutiamo molto di dottrine del diritto, di presunzione d'innocenza, di supposta responsabilità e altre definizione, che, indubbiamente, sono importanti. Ma il mio caro Cassese diceva che non si può mai dimenticare che dietro il diritto ci sono terribili tragedie umane. La morte di Nataša [14]… Mi sembrava che ci sarebbe sempre stata. L'ennesima conferma dell'impunità. E della giustezza delle nostre azioni. Questo libro ha molti autori. Il materiale di Nataša, i fatti da lei raccolti sono di fatto in ogni capitolo[15]. Ora anche il suo nome si è aggiunto alle file di quelli che risultano nelle statistiche delle perdite. Come pure il nome di Anna Politkovskaja, sugli articoli della quale si basa pure buona parte del libro.

Sono del tutto meravigliato, perché non hanno sequestrato la tiratura. Gli è andata buca, evidentemente. Tutto questo è stato stampato in gran segreto, neanche io so in quale tipografia.

Hai detto che alla frontiera hanno cercato di sequestrartelo

– Sì, ci era necessario recare il testo alla nostra collega Oksana Čelyševa in Finlandia. E' andato Il'ja Šamazov, nostro collaboratore, ha portato la versione elettronica. I doganieri hanno fermato il treno per mezz'ora, hanno perquisito accuratamente Il'ja, la figlia di Oksana, Anna, poi non hanno cominciato semplicemente a frugare tra le cose, ma a togliere i pannelli nello scompartimento e nel bagno… In generale, salve, anni '70. Sono già arrivati al sequestro di scritti politicamente pericolosi alla frontiera.

Si può far conoscenza con la versione elettronica del libro al sito www.tribunalchr.info

P.S. Il 16 luglio il direttore del Comitato contro la tortura Igor' Kaljapin portava con la propria macchina parte della tiratura da Mosca a Nižnij Novgorod [16]. All'ingresso della città è stato fermato dagli agenti del centro “È[17]. Alla stazione della GIBDD [18] già lo aspettavano, gli osservatori [19] erano già stati preparati in precedenza. Gli esemplari del libro che erano stati trasportati sono stati sequestrati. Ora il Comitato contro la tortura, di cui Kaljapin è direttore, sta preparando un'istanza al tribunale.

Arkadij Babčenko
corrispondente speciale della "Novaja gazeta"

22.07.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/078/01.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Attualmente in Russia chiunque dissenta dalla linea dell'establishment putiniano può essere condannato come “estremista”.

[2] Manifestazioni del composito fronte degli oppositori dell'establishment putiniano.

[3] La “seconda guerra cecena” è iniziata nel 1999 come reazione a una serie di attentati mai chiariti, ma attribuiti a terroristi ceceni.

[4] Centro giornalistico di Mosca.

[5] La “Kampuchea Democratica” di Pol Pot e la Cambogia sono ovviamente lo stesso paese. Credo che Dmitrievskij voglia precisare, non distinguere.

[6] Nikolaj Platonovič Patrušev, capo dello FSB (Federal'naja Služba Bezopasnosti – “Servizio Federale di Sicurezza”, l'erede del KGB) dal 1999 al 2008.

[7] Vladimir Anatol'evič Šamanov era a capo dei reparti che hanno compiuto i peggiori crimini di guerra in Cecenia ed è una figura tristemente emblematica.

[8] Città nei pressi di Groznyj, dove ha luogo la base delle truppe russe in Cecenia.

[9] “Nord-Ost” (Nord-Est) era il titolo del musical in scena al teatro di Dubrovka, a Mosca, dove nel 2002 i terroristi ceceni sequestrarono gli spettatori. Il tutto si concluse con un blitz delle forze speciali russe con i gas, che uccisero oltre 100 sequestrati.

[10] Villaggio nei pressi di Groznyj.

[11] Otrjad Milicii Osobogo Naznačenija (Reparto di Polizia con Compiti Speciali), sorta di Celere russa, nota per la sua durezza.

[12] Nome colloquiale di San Pietroburgo.

[13] Mahmoud Cherif Bassiouni, giurista egiziano espatriato negli USA dopo aver subito ritorsioni per le sue critiche agli abusi del regime di Nasser.

[14] Natal'ja Chusajnovna Èstemirova. I russi chiamano sempre gli amici con diminutivi o vezzeggiativi.

[15] Il bisticcio è nell'originale. L'emozione prende un attimo il sopravvento su Dmitrievskij, che si esprime sempre molto bene (è anche autore di poesie e canzoni).

[16] La Gor'kij del periodo sovietico, nella Russia centrale.

[17] E' il reparto di polizia che opera ufficialmente contro l'estremismo (È sta per Èkstremizm, “estremismo”), ma che si segnala sempre più per metodi da vera polizia politica.

[18] Gosudarstvennaja Inspekcija po Bezopasnosti Dorožnogo Dviženija (Ispettorato Statale per la Sicurezza del Traffico Stradale), in pratica la polizia stradale.

[19] In Russia le perquisizione dovrebbero svolgersi in presenza di osservatori esterni. Che non si creda che anche quando così avviene, ciò costituisca una reale garanzia...

18 luglio 2009

Haiku? (XXI)

Continuo a fare del male alla poesia... Una contaminazione tra "haiku" e poesia popolare della mia terra.


Fiore di pesco,
vorrei dimenticarti,
ma non ci riesco

*********************

Fiore di prato,
maledetto sia il giorno
che t'ho incontrato

**********************

Fiore di rosa,
c'è chi riesce a sbagliare
e spesa e sposa

**********************

Fior di ciliegio,
se un giovane mi legge
non dice "pregio!"

17 luglio 2009

Il dissenso e il rifiuto della Realpolitik

Risponderai dell'ideale?



Sulla responsabilità degli intellettuali: è tempo di opporsi decisamente al senso di dignità della cosiddetta Realpolitik [1]


L'attività civile indipendente dell'URSS di quei tempi non era in alcuna misura un'opposizione politica. Quest'attività era senza paura, aperta, ingenua, senza compromessi con l'ufficiosità di allora, ma non dichiarava in alcun modo i propri scopi politici e non era di massa. Ci hanno chiamato “diversamente pensanti” [2], “dissidenti”, più tardi “attivisti per i diritti umani”, ma mai “politici”. Fra l'altro inquirenti e procuratori ci convincevano insistentemente ad ammettere di avere lo scopo profondamente politico di indebolire il potere statale per mezzo di calunnie. Tuttavia, stabilita la condanna, vi dicevano: “Ma quale prigioniero politico? Lei è un criminale”. Il potere che dettava le condanne ci guardava con paura e rabbia e questo si può capire. Ma sapevano bene quanto pesa la verità pronunciata ad alta voce. (...)

Fra l'altro tra noi c'erano allora anche quelli che formavano l'inconsistente minoranza dei sostenitori della “politica reale”, che affermavano seriamente di stare già costruendo un'opposizione politica di qualche o che volevano costruirla presto (la cosa, pare, si riduceva a nomi pomposi, per esempio DDSS – Demokratičeskoe Dviženie Sovetskogo Sojuza [3]). Secondo me, queste erano inclinazioni, indirizzi di pensiero, piuttosto che qualcosa di reale. In parte erano comunisti che allora conservavano ancora le proprie convinzioni (l'esempio più significativo, chiaro e degno è Pëtr Grigor'evič Grigorenko [4]); c'erano anche politici di grande talento, che non potevano esistere nel contesto russo, come V.K. Bukovskij [5]. (...)

Comunque la maggioranza, diffondendo il samizdat, protestando contro le repressioni, indirizzandosi in prigione senza replicare, fondando una stampa periodica clandestina indipendente (la nota “Chronika” [6]), non contava minimamente di riuscire a vedere mutamenti politici. Ricordo come B.I. Cukerman, una delle maggiori autorità di quell'ondata, replicando a chi diceva che Bisanzio è marcita viva per 300 anni, prima di cadere, rispose pensoso: “Beh, 300 anni mi vanno del tutto bene”.

La nostra “apoliticità” era anche la radicale diversità sovietica dalla strategia dei nostri fratelli europei, dalla strategia delle grandi rivoluzioni incruente.

Senza pretendere di andare a fondo, mi permetto di fare alcune annotazioni sulle cause, le particolarità, la logica interna della nostra posizione.

Una lotta politica seria è impensabile senza rivolgersi alla società. Con cosa e a chi potevamo rivolgerci nell'URSS brezneviana?

Volevamo sapere la verità e dire la verità com'è, indipendentemente da colui, a cui fa comodo.

“Basta mentire” e ancora “rispettate le vostre leggi” – ecco, tratteggiata rozzamente, la base della nostra posizione e i confini in cui si sviluppava. Ciò con cui saremmo andati al popolo, se qualche “appello al popolo” avesse potuto aver luogo. Non era così poco, a dir la verità, anche se si era consapevoli che non fosse abbastanza. Adesso vedremo a chi questo sarebbe stato indirizzato.

Ahinoi, la nostra verità non era necessaria alla società. 999 su mille erano scioccati o offesi da essa, nel migliore dei casi la ritenevano un tentativo vanaglorioso di alcuni sfortunati per ottenere notorietà o un gioco pericoloso di gente che faceva progetti stando con la testa tra le nuvole.

Non avrebbe potuto essere altrimenti – siamo tutti stirpe del popolo sovietico. Ma che popolo è?

Molti successi del manager di successo [7] I.V. Stalin erano condizionati quasi esclusivamente dal suo principale successo – la selezione. Stalin produsse, né più né meno, una nuova comunità storica – il popolo sovietico. Paziente, sgobbone, sospettoso, rabbiosamente sprezzante la riflessione, cioè intellettualmente vigliacco, ma con il noto coraggio fisico, piuttosto aggressivo e incline a muoversi in frotte, in cui la rabbia e il coraggio fisico si accrescono notevolmente. In generale queste qualità ci sono in qualsiasi popolo, la differenza è solo nel modo di esprimersi. I criteri selettivi staliniani, lo ammettiamo, erano molto alti. Queste qualità erano direttamente pianificate. Ricordiamo quanto fastidiosamente ci veniva ficcato in testa per mezzo della stampa e di adunate volontario-forzate [8] il superimportante compito dello stato: lo sviluppo nel popolo delle qualità necessarie ai costruttori del comunismo, ma chiamate, si capisce, del tutto diversamente – patriottismo, consapevolezza, vigilanza, fedeltà al proprio partito, ecc. Stalin capiva ottimamente che senza un tale popolo, del tutto e sinceramente sottomesso a lui, i suoi piani di stato, duri, imperativi, ristretti in tempi minimi, sarebbero crollati.

Il lavoro veniva portato avanti con metodi produttivi standard; professionalmente lo chiama “selezione sullo sfondo di una provocazione”.

Se il selezionatore produce, per esempio, piante resistenti a una malattie, infetta di questa malattia tutta la coltura. Così è per lo sfondo di provocazione. Il selezionatore utilizza gli esemplari sopravvissuti (i più resistenti) come materiale per incroci, nuove selezioni, ecc. I.V. Stalin portò avanti la sua selezione sulla base di paura, attitudine da sgobboni, vigliaccheria del tutto consapevolmente, anche se non pensava certamente ai concetti di selezione agraria.

Le colture di selezione, è chiaro, erano i lager, la dekulakizzazione e la collettivizzazione, ma non solo. Le purghe, le critiche, gli incontri e le manifestazioni da sudditi fedeli, il dovere civico della delazione, le lezioni di odio nell'istruzione politica, semplicemente l'istruzione con il suo lavaggio del cervello, ecc. Mi si opporrà che questa non è selezione, ma educazione. E' così: l'educazione è ancora più importante nell'evoluzione che si vuole dare al popolo. Tuttavia, rifatti i conti, è anche un momento mediato di selezione. Ma questa è una questione per specialisti, peraltro non facile. Ricordo solo che Ju.N. Afanas'ev parla di un'evoluzione del popolo che ha avuto luogo nel corso dei secoli. Questi è uno storico, per lui è più evidente.

Il successo della selezione è la resistenza del tipo o della specie prodotti. Vedremo come appaiono i risultati staliniani oggi.

Solo un esempio – le recenti elezioni. Undici partiti in lizza. E alcuni soggetti della cosiddetta Federazione, dove i risultati sono simili a quelli ceceni. E in Cecenia il 99, 5% si è recato alle urne, il 99, 4% ha votato per “Russia Unita” [9]. Perfino gli apologeti di “Russia Unita” capiscono che questa è una menzogna. Lo 0,01% in media a ogni concorrente di quelli di “Russia Unita” – questo è il colmo. Lo capisce Putin – e mente. Tutte le più alte cariche dello stato mentono pubblicamente, come se questo fosse il risultato della libera espressione della volontà popolare. Tutti i loro ascoltatori sanno che gli stanno mentendo. Essi stessi sanno che non gli credono neanche i sostenitori. E i sostenitori sanno che i mentitori sono consapevoli di non essere creduti.

Perché allora la menzogna? La menzogna è un mezzo per ingannare qualcuno. Qui non si inganna nessuno – tutti sanno tutto. Noi viviamo in un paese basato sulla menzogna rituale. Questa è necessaria semplicemente per dimostrare la propria profonda umiltà – per rassicurare il potere e dichiarare senza vergogna, in modo offensivo, da villani l'autovalutazione della società: come dire, fate quello che volete; non vi preoccupate – nessuno si vergogna. Non ci saranno Majdan [10] per te. Nessuno dirà: “Non siamo un gregge. Non permetteremo che ci trattino così”.

Un po' di statistiche fatte in casa. In Russia ci sono 93.000 seggi elettorali. Per correggere i risultati delle elezioni tecnicamente sono necessari non meno di 3-4 membri della commissione elettorale. Non affermo affatto che ogni commissione compia sempre brogli. Ma a ciascuna di esse in qualche modo è stata trasmessa un'allusione a “cifre di controllo”, a risultati raccomandati e ognuna è pronta a corrispondere, se c'è bisogno. Ciò significa (contando anche commissioni al di sopra di quelle di sezione), che circa mezzo milione di buoni e onesti cittadini, che non sono criminali, o compiono reati gravi o sono pronti a compierli. Questi non hanno paura a compiere reati, hanno paura a non compierli. E quanti sono quelli che sono al servizio delle risorse amministrative di cui si parla tanto? Una parte niente affatto piccola degli elettori capisce bene le dimensioni della truffa elettorale – e tace.

Anche questo è un risultato che parla bene della selezione.

Stalin ha portato a compimento in modo impressionante il collasso morale della nazione, che domina finora. Ai tempi di Chruščëv e Brežnev tale decadenza si è approfondita ancor più di ora per l'inerzia della paura.

Questa decadenza e questa paura, sempre pronta a diventare panico, sono stati tra i motivi principali per cui i dissidenti evitavano consapevolmente grandi sforzi organizzativi. Non ci siamo mai rivolti alla società. Neanche ai nostri amici proponevamo di firmare qualche protesta, ma solo di leggerla – non si può far forza alla scelta personale responsabile. Le nostre pubblicazioni erano essenzialmente indirizzate individualmente a ciascuno che volesse rivolgervi attenzione.

Adesso capisco quello che allora sentivo intuitivamente – la speranza in un graduale accumulo di una massa critica di persone civicamente preoccupate, oneste, coraggiose e intelligenti, che abbiano autorità morale. E l'unico mezzo per raggiungere tale massa è dare la possibilità di ricevere un'informazione credibile a chiunque la cerchi, di parlare di problemi sociali direttamente e duramente, di attuare la libertà in un paese non libero “per via cospirativa”, come dicevano un tempo i bolscevichi.

Si capisce, volevamo che la nostra posizione una volta o l'altra (anche dopo 300 anni) portasse frutti politici e sociali. Ma eravamo convinti che questi frutti non sarebbero maturati in un tempo osservabile (Sacharov parlò direttamente di questo in una nota intervista).

Perciò non valutavamo le lontane prospettive, che promettevano che un giorno la quantità di nostri conterranei che sentivano la necessità di agire in conformità al senso di responsabilità civica avrebbe raggiunto le dimensioni della massa critica – tali da poter agire sulla società.

Qui, secondo me, c'è la differenza fondamentale tra l'URSS e l'Europa Orientale e tra noi e i nostri amici occidentali. In Europa Orientale, penso, negli anni '80 c'era già tale massa critica – si era ristabilita quella d'anteguerra. Di conseguenza sia i KOS-KOR [11], sia Charta 77 acquisirono scopi politici presto e naturalmente – avevano qualcosa su cui appoggiarsi. Chi lo discuterebbe, lo scopo agognato e generale dell'Est europeo era strapparsi dai soffocanti abbracci sovietici. Ma anche questa lotta di liberazione nazionale, che non aveva diritto di trasformarsi in rivolta, aveva bisogno dell'appoggio popolare e lo acquisì. Ma il nucleo di tale resistenza era una parte non numerosa della società, stimata, dotata di senso di responsabilità civica e di abitudine a pensare in modo indipendente, – quella massa critica.

Ahinoi, in Russia non l'abbiamo finora. Perciò non c'era neanche motivo di esaminare le varianti di un lontano futuro. Ma c'erano motivi vitali, davvero reali, a determinare la nostra scelta.

Il principale motivo era l'acuto senso di incompatibilità morale con il regime. Le nostre decisioni erano dettate dalla caparbia aspirazione a meritare il diritto al rispetto per se stessi, erano una forma di difesa della propria dignità. Appariva non poca gente pronta a comprarsi questo diritto con un periodo di detenzione – l'opposizione morale. Questa ondata di intellettuali allora non ebbe alcuna influenza immediata, diretta sull'evoluzione politica del paese. Allora aveva appena cominciato a formarsi un'influenza molto importante, ma indiretta, mediata dall'Occidente, che si manifestò notevolmente più tardi.

Ma ancora non prevedevamo che fosse vicina, non ci dava pensiero, in quanto non attendevamo il suo ruolo rapido e decisivo; certo, ci rallegravamo venendo a sapere che l'Occidente ci sentiva, aspiravamo a questo, ma non contavamo minimamente su conseguenze pratiche.

Sorge una domanda: oltre all'autoconferma c'era qualche risultato socialmente significativo delle nostre azioni sfacciatamente rischiose? (Io penso che la pacifica e caparbia indipendenza pubblica di un gruppo di cittadini in un paese totalitario sia già un fattore socialmente significativo, ma c'era ancora qualcosa?) Rimando di nuovo all'intervista di Sacharov. Alla domanda “Perché fate qualcosa che non porta a un rapido risultato?”, Andrej Dmitrievič rispose: “Ognuno fa quel che può. L'unica cosa che sa fare l'intellighenzia è costruire un ideale. Che lo costruisca”.

Certo, Sacharov aveva ragione, parlando della responsabilità civica dell'intellighenzia. In realtà, per buon senso, per il nostro ruolo sociale, per coscienza, per le nostre capacità professionali e per il nostro status ci spettava costruire un ideale, incarnando nella vita questa responsabilità, che non era mai stata guidata dal nostro potere, la cui manifestazione nella società il potere temeva e odiava. Nelle discussioni nelle cucine degli intellettuali superavamo la menzogna sovietica, l'isolamento che dava vita al nostro semianalfabetismo, esaminavamo i meccanismi della democrazia rappresentativa e del diritto nell'ideologia di una società aperta. Ne risultava che inventare qualcosa è già un ideale, della cui costruzione parlava Sacharov.

Ecco un modello pronto, esistente da abbastanza tempo, che funziona con pieno successo, garantendo allo stato e alla società la possibilità di uno sviluppo dinamico e ad ogni cittadino libertà, sicurezza, indipendenza e dignità. Fa questo ponendo il potere sotto il controllo della legge e della società – è così semplice e convincente che non c'è bisogno d'altro.

Ci siamo rivelati grandissimi occidentalisti, più della stessa élite occidentale. Abbiamo attribuito alla civiltà politica occidentale delle capacità che non aveva affatto. Non è neanche così strano – eravamo veri dilettanti. Un dilettante segue una logica lineare, senza sentire le difficoltà o sottovalutandole fortemente. Un professionista, al contrario, si è già fatto i bernoccoli all'inizio del cammino. Capisce bene cosa si può attuare e a che prezzo e cosa non si riuscirà mai a ottenere. Il dilettante semplicemente non vuole sapere questo, è prigioniero delle idee. Si capisce, nella schiacciante maggioranza dei casi ha ragione il professionista. Peraltro i rarissimi successi dei nuovi e dei dilettanti talvolta hanno significato uno strappo radicale nel problema. La scienza conosce bene tali casi e non solo la scienza.

Non solo credevamo nel valore universale del Diritto e della Libertà; eravamo convinti che proprio questi valori sono anche la forza che muove il mondo libero – sono anche lo scopo nettamente percepito, rigidamente formulato, perseguito in forma pianificata e continua del suo sviluppo; che in questo sviluppo si crea gradualmente una nuova, integrale costruzione del mondo, libera dalla lotta senza vergogna e crudele tra egoismi nazionali.

Ahinoi, questo bel quadro era infedele, creato dalla nostra inclinazione a prendere ciò che si desidera per qualcosa di reale. Questa è stata una scoperta triste, ma non letale. Le basi ideali del modello occidentale ci attraevano ben più delle loro attuali realizzazioni.

Abbiamo preso l'ideale pronto, senza perfezionarlo e completarlo in alcun modo. Tranne uno: abbiamo riconosciuto profondamente l'unicità dell'ideale, il suo senso imperativo e la sua dimensione globale, che danno alla comunità mondiale la chance di una vita certa in un mondo giusto e sicuro. Agivamo anche nei confini planetari di questo “idealismo politico”, che allora non si chiamava ancora per nome.

I menzionati motivi personali costringevano la cerchia dei dissidenti, in cui prevalevano notevolmente non credenti e agnostici, a vivere secondo il principio della morale religiosa “Fai quel che devi e sia quel che sia”. Ma questo significava agire caparbiamente come se proprio da noi dipendesse l'inserimento dell'ideale nella polita mondiale. Al contrario, nessun politico di allora osava considerare i principi enunciati solennemente come un serio dovere di stato né credeva nella loro attuazione. (Il presidente Carter è l'eccezione che conferma la regola.)

E' tempo di delineare nettamente la contrapposizione tra l'idealismo politico e la politica reale – la contraddizione centrale della modernità, che determina una crisi globale, morale, giuridica e politica e che richiede insistentemente tolleranza.

La differenza radicale di questi indirizzi sta nella mancata coincidenza delle scale di valori. Per l'idealismo sulla vetta della scala c'è il principio nettamente formalizzato, la norma, la procedura che non dipendono da alcun interesse, ma incarnano il complesso delle idee (libertà, equità, umanità – si può valutare la sufficienza o la carenza dei criteri) e l'insieme dei tabù. Questa è la priorità principale e solo questa sta alla base di tutte le decisioni parziali.

Ma la prima priorità della politica reale, al contrario, è un qualche interesse (la sovranità, gli interessi geopolitici, economici, e questo è poco) o un complesso di interessi; nelle circostanze che cambiano la priorità degli interessi cambia e nel conflitto tra gli interessi il ruolo principale appartiene alle circostanze e non ai valori. Ipocrisia, inganno, espansionismo, aggressività, sfiducia, chiusura ed egoismo nazionale per secoli sono stati i metodi tradizionali della politica reale, le armi della guerra diplomatica di tutti contro tutti. Sua prosecuzione era riconosciuta freddamente la guerra vera e propria. Di tali metodi non si doveva essere orgogliosi, ma anche nasconderli era impossibile; erano ritenuti inevitabili, unici e perciò accettabili – perfino obbligatori. Ecco perché né i milioni di vittime di Stalin, né la furiosa propaganda di Hitler, né la bruciante vergogna di Monaco furono recepiti a loro tempo nel mondo come una minaccia mortale alla civiltà che richiedeva una risposta dura. Tale risposta era considerata impossibile, la politica invece è l'“arte del possibile”. Solo una volta nella storia ci si è resi conto che questa “arte” era andata troppo lontano; che il “possibile” e l'“impossibile” dovevano dipendere da noi, da ciò che eravamo d'accordo di permettere. A metà del XX secolo si è mostrato seriamente che l'incubo sanguinoso di due Guerre Mondiali, le armi chimiche e nucleari, l'Olocausto e le deportazioni staliniane di popoli alla fine avevano convinto la comunità mondiale della necessità di costruire un nuovo paradigma, una nuova costruzione politica del mondo.

Nel “nuovo pensiero politico”, enunciato da A. Einstein, B. Russell, A. Sacharov, M. Gorbačëv e molti altri, primeggiava, secondo me, il principio: “Il diritto è fuori dalla politica e sopra la politica”, che permette di escludere dall'“arte del possibile” gli artifici che avevano condotto all'incubo. L'idea di questa cerchia la chiamo pure “idealismo politico”.

Ecco perché lo Statuto dell'ONU e la Dichiarazione Universale si presentavano come un momento chiave della storia, un punto di non ritorno della trasformazione morale del mondo. Niente di tutto ciò.

La lista degli esempi del cinico disprezzo della comunità internazionale per le proprie altisonanti dichiarazioni occuperebbe interi tomi. Ricordiamo i bombardamenti a tappeto e atomici di città pacifiche; mezza Europa consegnata alla tirannia staliniana. Basta con i miti, l'esercito sovietico non ha liberato nessuno – l'esercito che aveva respinto l'attacco dell'aggressore si è trasformato istantaneamente in un orda di occupanti e pure di stupratori e di sciacalli non appena attraversati i confini dell'URSS. Chi e come abbia ispirato questo sciacallaggio, come sia esploso e si sia sviluppato è un tema particolare. Ricordiamo anche Norimberga, dove un antropofago ha processato un altro antropofago per cannibalismo (ecco un esempio – per 3 giorni il tribunale ascoltò l'accusa ai nazisti di aver fucilato migliaia di ufficiali polacchi a Katyń, ma ogni membro della corte sapeva con precisione chi e quando aveva ucciso i polacchi). In questa serie, naturalmente, c'è molto della pratica del Consiglio d'Europa, dell'OCSE, delle commissioni dell'ONU.

Al centro della politica mondiale ci sono come prima ambizioni e interessi geopolitici. La politica ha adattato i valori universali al proprio operato, come strumento di lavoro. I grandi principi si sono spostati nell'ambito della retorica rituale e vengono utilizzati per imitazione. Ma la politica reale non è capace di incarnare il nuovo paradigma – l'uno e l'altra sono incompatibili. Il malefico utilizzo delle idee rubate le scredita davanti al pubblico.

Peggio ancora – la real politics [12] e le più belle intenzioni condurranno sempre e inevitabilmente nel gorgo di una pericolosa immoralità. Gli alti scopi dichiarati, separati dalla vita politica di tutti i giorni, si trasformano in slogan – tanto più pomposi, quanto più falsi. Nell'ambito della polita reale era del tutto impossibile non permettere ai boia di Katyń di andare a Norimberga; certo, erano inevitabili anche l'accordo di Jalta e la consegna a Stalin di molte migliaia di persone da mandare ai lavori forzati e alla morte. E tutta la storia russa dell'ultimo mezzo secolo non è la fagocitazione di sincere intenzioni da parte della polita reale? Molte nefandezze dell'inizio della riforma dell'URSS sono più il destino che la colpa dei gorabcioviani “architetti della perestrojka”, circondati dalla malvagia marmaglia del Politbjuro. E' evidente anche nelle pale da artificiere usate a Tbilisi [13], anche nei carri armati a Vilnius [14]. La politica reale è una catena sanguinosa. Allora forse la tragedia della Cecenia ha le sue radici a Sumqayit [15], a Bakù [16], a Chodžali [17] e a Vilnius e con il tempo si verserà del sangue da qualche altra parte? E le assai condizionate “elezioni” presidenziali del 1996 non ci hanno fatto l'effetto di farsa, ci sia permesso dirlo, delle “elezioni” del 2007 e del 2008? Il circolo vizioso della real politics si è avvolto fino a Putin. E senza strapparsi dal circolo, non ci libereremo della nostra storia da sgobboni, crudeli e bugiardi. I metodi della politica reale sottomettono a se lo scopo, trasformandolo a proprio piacimento, non sono adatti per raggiungere alti scopi. La divergenza tra realismo e idealismo in politica non presuppone per natura una terza scelta, lo vuoi o non lo vuoi – tocca scegliere tra i due.

Riassumo. La resistenza russa al regime non occupò e non poteva occupare posizioni politiche. Queste avrebbero significato pretese di potere, che nell'URSS di allora sarebbero state semplicemente comiche. Non si tratta solo di circostanze esterne. Questo è anche colpa nostra. Ma è anche un predominio donato dalla storia. Liberi dalle tradizionali preoccupazioni politiche, risolvibili con i metodi tradizionali della tradizionale real politics, restammo da soli con questioni dolorose. Si tratta, per esempio, di cosa sia il “patriottismo” e cosa la “responsabilità civica”, e principalmente se gli inevitabili conflitti tra interessi si possano risolvere solo con menzogne, ricatti e minacce assordanti, con pressioni economiche o militari e infine con il sangue. E così via – di questo tratta l'intero articolo.

La maggior parte di noi riteneva che non ci occupassimo di politica, ma di diritto. E' uno sbaglio collettivo, infatti anche la politica era affare nostro. Non ci occupavamo di politica reale, ecco. Non abbiamo inventato nulla, non abbiamo arricchito in alcun modo l'ideale. Semplicemente abbiamo aspirato onestamente e caparbiamente a incarnarlo nella vita. La nostra politica era in effetti secondo i canoni dell'idealismo politico. In questo sta il nostro contributo alla nostra causa mondiale.

Invece i leader delle grandi rivoluzioni pacifiche dell'Europa orientale al contrario di noi non potevano non dichiarare ambizioni politiche. Questo è diventato il loro debito, il loro ruolo storico, la loro chance di appoggiare la libertà in un mondo, che continuamente e dappertutto schiaccia la libertà, per difendere la quale, ahinoi, si trovano pochi volontari. E questi hanno sfruttato brillantemente questa chance; hanno fatto questo lavoro nel modo migliore. Le loro vittorie sono state il più importante avvenimento sociale positivo dello scorso secolo. Del tutto paragonabile alla vittoria sul fascismo – in ogni caso, moralmente più pulita. Certo, in questo lavoro era inevitabile una qualche parte di real politics. Ma questa era la parte più piccola e, al contrario, predominava consapevolmente l'idealismo politico – il motore di tutto il lavoro. E neanche questo avrebbe potuto essere altrimenti.

Due potenti fattori hanno determinato, secondo me, tale schiacciante predominio dell'idealismo. 1° – la natura delle persone che si sono messe a lottare contro i regimi totalitari. I Kos-Kor e Solidarność, Charta 77 e il “Fronte Popolare” [18] non erano campi in cui fare carriera o cercare il benessere! E il 2° fattore è la natura interiore degli oppositori, di coloro che impersonavano il regime. Ecco, questi nella politica reale erano come pesci nell'acqua.

Notiamo che la lotta contro il comunismo totalitario con le sue stesse armi, con i metodi della politica reale è una cosa del tutto insensata. Se qualcuno padroneggiasse queste armi abbastanza da poter combattere alla pari, perché dovrebbe lottare contro il regime? Questi avrebbe bisogno di entrare nelle sue file e cercare la propria felicità al loro interno, cosa che osserviamo pure disgustosamente spesso nella nostra Patria.

E adesso la domanda – cosa devono fare ora i dissidenti dell'Europa orientale di quel tempo glorioso, divenuti adesso una forza politica seria e cosa dobbiamo fare noi, caparbia minoranza perseguitata? C'è in generale qualcosa che potremmo o perfino dovremmo fare insieme?

C'è un lavoro molto importante, per cui non ci sono altri lavoratori che loro e noi. Cioè quelli che sanno di che si tratta e non hanno aspettato doni insperati del destino. Forse abbiamo già un po' tardato con questo lavoro. E' una nostra comune mancanza. Abbiamo un pochino esitato, direi pure che è un peccato.

Secondo me, non c'è neanche bisogno di descrivere questo lavoro, noi tutti lo sentiamo sulla nostra pelle. Abbiamo bisogno di ottenere che i valori universali in cui abbiamo l'onore di credere seriamente cessino di essere false parole magiche in esperte bocche politiche.

Sergej Kovalëv [19]

15.07.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/075/00.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Nell'originale real politics.

[2] E' difficile trovare un equivalente del russo inakomyšljaščie. “Diversamente pensanti” è una buona traduzione letterale e allude anche a certo linguaggio politicamente corretto...

[3] “Movimento Democratico dell'Unione Sovietica” (il corsivo, qui e altrove, è mio).

[4] Generale ucraino (il nome viene più spesso scritto alla ucraina Petro Grigorovič Grigorenko), che iniziò a criticare la linea del Partito sotto Chruščëv per poi divenire un vero e proprio dissidente e sperimentare carceri e ospedali psichiatrici.

[5] Vladimir Konstantinovič Bukovskij, scrittore e attivista politico ancora vivente che ha sperimentato carceri e ospedali psichiatrici sovietici.

[6] “Cronaca”.

[7] Così, testualmente, viene definito Stalin oggi dai mezzi di informazione di massa ufficiali.

[8] Dichiaratamente volontarie, realmente forzate.

[9] Il “partito del potere”, quello che porta semplicemente avanti la politica di Putin.

[10] Si tratta del Majdan Nezaležnosti (Piazza dell'Indipendenza – a Kiev), Majdan per antonomasia, dove si svolsero i fatti della “rivoluzione arancione” ucraina.

[11] Komitet Oporu Społecnego (Comitato di Resistenza Sociale) e Komitet Obrony Robotników (Comitato di Difesa dei Lavoratori), movimenti del dissenso polacco.

[12] Quella che siamo abituati a chiamare Realpolitik (vedi nota 1).

[13] Nell'aprile 1989 a Tbilisi i soldati sovietici dispersero una manifestazione pacifica a colpi di pala, facendo numerose vittime.

[14] Capitale della Lituania dove nel gennaio 1991 i soldati sovietici attaccarono la sede della televisione pubblica facendo molte vittime.

[15] Città dell'Azerbaijan sul Mar Nero, dove nel febbraio 1988 i soldati azeri massacrarono decine di armeni.

[16] Capitale dell'Azerbaijan, dove nel “gennaio nero” del 1990 i soldati sovietici fecero strage di civili.

[17] Città dell'Azerbaijan orientale dove i soldati armeni fecero strage di civili nel febbraio 1992.

[18] Raggruppamento politico russo dell'epoca della perestrojka.

[19] Sergej Adamovič Kovalëv, biofisico, dissidente con esperienza di GULag e di prigioni.