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21 maggio 2008

Discipline della salute mentale e Chiesa

Discipline della salute mentale e Chiesa
La fecondità del dialogo culturale ...e intrapsichico

Convegno
Firenze - 31 maggio 2008

INGRESSO GRATUITO



Organizzato da
Ass. Niccolò Stenone

in occasione del
1° CONVEGNO REGIONALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PSICHIATRI E PSICOLOGI CATTOLICI - SEZ.TOSCANA
in collaborazione con Caritas Firenze
con il Patrocinio del CESVOT

Sabato 31 maggio 2008
Centro La Meridiana, via XXV Aprile
(angolo via Roma)
Scandicci – FIRENZE

9.00
Saluti di:
Dr. Antonio Panti, Presidente Ordine dei Medici della Provincia di Firenze.
Dr. Riccardo Poli, Presidente AIMC Toscana.
Prof. Antonio Pala, Presidente AIMC Firenze.
Dr. Marco Bertelli, Vice-presidente della World Psychiatric Association, MR Section e Segretario della Associazione Italiana per lo Studio della Qualità di Vita.
Padre Renato Ghilardi, Incaricato per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Toscana.
Dr. Alessandro Martini, Direttore Caritas Firenze.
Ing. Luigi Marroni, Direttore Generale ASL 10 Firenze.
Dr. Enrico Rossi, Assessore al Diritto alla Salute della Regione Toscana.
Sua Eccell. Claudio Maniago, Vescovo Ausiliare di Firenze.

9.45 Inizio lavori. Moderatore: Dr. Stefano Lassi, Psichiatra AIPPC Toscana e Gruppo Operativo per la Salute Mentale e la Disabilità dell’Ufficio per la Pastorale Sanitaria - Diocesi di Firenze.
Perché un Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici? Gli obiettivi culturali della sezione toscana al servizio della laicità e della deontologia. Dott. Daniele Mugnaini, Psicologo Presidente AIPPC - Sezione Toscana.

10.30
La crisi della relazione interpersonale nella società liquida. Prof. Tonino Cantelmi, Psichiatra e psicoterapeuta ASL Roma, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale di Roma, Presidente AIPPC Nazionale.

11.10
Salute fisica, mentale e etico-spirituale: una proposta metapsicologica integrale. Prof. Maurizio Faggioni, Padre francescano, Professore Ordinario di Bioetica all’Accademia Alfonsianadi Roma. Docente di Teologia Morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

11.50 “
Metafore terapeutiche” laiche e cattoliche. Dr. Carlo Liedl, Psichiatra ASL Firenze, AIPPC Toscana.

12.30
Riflessione conclusiva. Don Gianni Cioli, Docente di Teologia Morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

12.45
Dialogo con il pubblico.

13.00
Buffet.
~
Un’occasione di incontro tra due mondi culturali, quello della Chiesa da una parte e quello della Psichiatria e Psicologia dall’altra, impegnati entrambi nel promuovere il ben-essere della persona. Sarà un evento culturale all’insegna dei valori del rispetto e della valorizzazione reciproca, al fine di consolidare dei punti di riferimento culturali alternativi a forme di religiosità francamente immature, ma anche alternativi agli ideologismi materialistico-riduzionisti di chi, operatore della salute mentale, si propone come unica forma di aiuto per chi domanda benessere interiore.
Si rivolge in particolare a sacerdoti, religiosi, catechisti, a psicologi, psichiatri, operatori delle professioni d’aiuto alla persona (medici, mediatori familiari, consulenti, educatori, ecc.) e studenti universitari in queste discipline, per i quali si tratta di una prima risposta al mandato proveniente dalla Psicologia Clinica internazionale, che invita a riconoscere e gestire adeguatamente le dinamiche intrapsichiche del paziente o utente associate ai vissuti religiosi, vissuti che hanno spesso a che fare con la visione cattolica di uomo.

INGRESSO GRATUITO
per informazioni
dott. Daniele Mugnaini
Presidente Sez. Toscana
danielemugnaini@virgilio.it

25 gennaio 2008

Cantelmi


«Il presidente dell'Arcigay ascolti i miei pazienti»
pubblicato su Avvenire del 10.01.2008, pag. 10

di Tonino Cantelmi*

Avvenire_logo


prof. Tonino Cantelmi Cantelmi dopo l'attacco di «Liberazione»: mai parlato di terapia riparativa Ma la neutralità del terapeuta è utopia

LEGGI e COMMENTA
l'articolo scritto dal prof. Tonino Cantelmi
«Il presidente dell'Arcigay ascolti i miei pazienti»




Difficile non condividere quanto recentemente affer­mato dal presidente nazionale dell'Ordine degli psi­cologi Giuseppe Luigi Palma, che invoca il rispetto per i codici valoriali dei pazienti che consultano uno psi­coterapeuta e pone un altolà a discriminazioni di ogni ge­nere. Difficile però leggere questo a senso unico e titolare, come fa Liberazione, «l'Ordine degli psicologi condanna Cantelmi» (e invece fa solo un comunicato che ribadisce al­cuni principi a mio parere indiscutibili). Al di là dell'attac­co strumentale e dal tono chiaramente intimidatorio, non avrei difficoltà neanche a sottoscrivere quello che afferma Mancuso, presidente dell'Arcigay, che in un altro prece­dente editoriale terminava anche con un passaggio omele­tico in cui ricordava a me la misericordia di Dio.
Il fatto: u­na presunta inchiesta di Liberazione riportava la vicenda di un giornalista che mi chiede, sotto mentite spoglie, aiuto e che poi strilla che quel medico cattolico e clericale lo vole­va 'curare'. Inchiesta smentita nel dettaglio, grossolana, incompleta, strumentale. Da ciò nasce il caso, montato ad arte: esistono in Italia reti clandestine (davvero?) cattoliche di terapeuti che fanno terapie forzate ai gay. È inutile smen­tire ancora, si rischia di essere ripetitivi. Intanto riparte il tam tam mediatico con blog, siti, agenzie, ecc…
Rinuncio a ri­stabilire la verità, ma raccolgo l'invito di Mancuso ad una discussione (pacata e serena mi auguro). E allora: quali so­no i temi in gioco? Anche se ritengo che discussioni più tec­niche vadano rimandate nelle sedi appropriate (quelle del dibattito scientifico), provo a semplificare, sperando che nessuno voglia strumentalizzare quello che dico.
Primo: nessuna terapia 'riparativa'. Da tempo sostengo che il termine 'riparativa' sia ideologico, come quello 'af­fermativa'. Esiste la terapia, secondo modelli convalidati scientificamente, ed esiste la domanda di psicoterapia. E­siste il lavoro di decodifica del terapeuta ed esiste il consenso del paziente. Si può discutere di questo?
Secondo: nessuna diagnosi di omosessualità. Questo non vuol dire non prendere in esame quella che l'ICD-X (cioè il sistema di classificazione ufficiale dell'Organizzazione Mon­diale della Sanità) chiama 'sessualità egodistonica' e la comprende nella categoria 'Psychological and behaviou­ral disorders associated with sexual development and o­rientation'. Attenzione! L'ICD-X (il più ufficiale e recente sistema di classificazione) chiarisce che ciò vale per tutti: e­terosessuali ed omosessuali e specifica che «l'orientamen­to sessuale da solo non riguarda questo disturbo». Sotto­scrivo e credo che questo possa mettere a tacere ogni spe­culazione. Nessuna omofobia. Vogliamo mettere in discus­sione l'ICD-X? Si può fare, attiene alla ricerca scientifica, ma al momento questa è la posizione ufficiale dell'OMS.
Terzo: rispetto dei codici valoriali del paziente. Ottimo, ma anche questo vale per tutti. Che debbo rispondere alla let­tera di denuncia che proprio oggi mi giunge da un uomo della Basilicata che si dice 'violentato' perché il suo tera­peuta lo pressa per la separazione coniugale che invece con­trasta con i suoi valori più profondi? Ne vogliamo parlare? Davvero nessuno ha mai preso in esame le lamentele di pa­zienti che aderiscono con convinzione a movimenti eccle­siali e che sono profondamente turbati da terapeuti che non rispettano il loro codice valoriale?
Quarto: la presunta neutralità del terapeuta. Innumerevo­li studi metodologici ed epistemologici dimostrano che il terapeuta non è neutrale. Sostenerne la neutralità è sem­plicemente antiscientifico. E allora: non è forse più etico (ma direi semplicemente onesto) dichiarare le premesse antropologiche ed i presupposti epistemologici che sono dietro ogni modello terapeutico? Questo mi sembra un pun­to su cui debba essere promossa in Italia una ricerca au­tentica.
E infine: è vero, ho invitato Mancuso a passare con me una settimana, nel mio studio, per verificare se sia stato giusto prestarsi ad una operazione mediatica di linciaggio così, a mio parere, ingiusta. Rinnovo l'invito e alzo il tiro: potrà ac­cedere, con il permesso dei pazienti, all'agenda degli ap­puntamenti, allo scambio di mail, alle innumerevoli te­lefonate, agli sguardi ed alle sofferenze dei pazienti stessi, insomma a tutto il lavoro svolto.
* presidente Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC)



Ringrazio B.R. per questo contributo

06 gennaio 2008

"Liberazione" e Cantelmi

Da "Liberazione", 23/12/2007

Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho «subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c’è un vero omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di “quelli come me”.

Don Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un altro ragazzo “consumata” dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità - dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il percorso di guarigione».
A quel punto sono io che faccio qualche domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama “percorso”. Don Giacomo, grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la “naturale” costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il “percorso”. Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana, digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.

***

Il primo incontro con il professor Cantelmi

Lo studio del professor Tonino Cantelmi - Presidente dell’Istituto di Terapia Cognitivo interpersonale, c’è scritto nella targhetta - è un porto di mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C’è di tutto in quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa accomodare. «Sono Davide, gli
dico, mi manda Don Giacomo». Lui annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un’altra relazione avuta con un ragazzo un paio d’anni fa.
«Che tipo di rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi.
Io faccio finta di non capire.
«Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti completi?».
Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto. E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato anche passivo nei tuoi rapporti?».
Ci risiamo, penso tra me. «Sì», rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho paura di contraddirmi, dall’altro perchè voglio vedere le abilità del professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell’unica risposta, pronto a sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non voglio perdere l’occasione di ritrovarmi di fronte al “guru” italiano dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la dottoressa ti farà un test..»
«Un test?», faccio eco io
«Sì, un test»
«Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.
«Beh! In un certo senso sì», fa lui.
«Scusi - gli chiedo - ma cos’è di preciso l’omosessualità?»
A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La nostra è una terapia riparativa»

***

La terapia riparativa: l’omosessualità come il comunismo

Si sentiva parlare da tempo di questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che segue l’insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality. Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un “santone” che vanta ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati» - e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria psichiatrica la cosiddetta “terapia riparativa” il cui scopo dichiarato è quello di «ricondurre all’orientamento eterosessuale le persone omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all’Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e “riparati” eterosessuali.
Questa della terapia riparativa è storia antica. Già nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, presentò anche un’interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M. van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto “Omosessualità & speranza”, parla di lobby gay all’assalto della scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in una recente intervista per “Acquaviva2000, cultura cattolica in rete” - che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato chiamarli “malati”». Non solo, van den Aardweg è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno all’innaturale “religione” omosessuale un culto formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno».
Questi sono gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora più esplicite le parole d’ordine del già citato gruppo ultracattolico “Obiettivo Chaire”: «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico; attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l’insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali, psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla ragione rettamente formata».
Poi l’immancabile Joseph Nicolosi, lo psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro, verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l’identità sessuale si forma in un’età precoce sulla base di ” fattori biologici, psicologici e sociali”; terzo, esistono numerosi esempi di persone che sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o fantasie sessuali.
A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti “ex-gay”, persone “riparate” e spesso convertite al cattolicesimo che hanno lo scopo dichiarato di dimostrare che dall’omosessualità è possibile “guarire”. Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di “ex gay” vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un partner dello stesso sesso proprio in quell’organizzazione.

***

La terapia riparativa di Cantelmi

Cantelmi cerca di adattare su di me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi infantili che generano confusione in un mondo già pieno di contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per spiegare che in un certo senso
i comportamenti della persona omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso», di «perdita di controllo» e così via.
«E in tutto questo, l’omosessualità?», chiedo io.
«Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».
«Vede - dico cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare queste mie pulsioni».
«Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi per poter scegliere la terapia migliore».

***

Il Test ed i discepoli del professore e la cura

La dottoressa Cristina Cacace dell’Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po’ nevrotico, perseguitato, mi ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome, età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e attendo, anche qui, “la” domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non c’è bisogno di alcuna premessa.
Saltiamo direttamente ai particolari più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa, crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta “terapia riparativa” oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla domanda della dottoressa:
«Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi annuisce gravemente e mi fissa l’appuntamento per il test di personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta - sapremo meglio come trattare la tua situazione».
Pochi giorni dopo sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è nient’altro che il cosiddetto “Test Minnesota” quello che utilizzano le forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale. Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia, schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali. Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest’ultima rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha diventare un po’checca.
D’un tratto vengo colpito e distratto dalla presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la scelta di far qualcosa per fermare quella “scoperta” piuttosto che accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al tuo?»; «L’uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»…
Finite le domande, torno in stanza dalla dottoressa.
Lei ripone le mie scartoffie che già contengono il risultato del mio “grado di omosessualità” e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive. Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni, vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata, talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo l’altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti.
Nel frattempo si accosta a me ed io non trattengo un’occhiata fugace alla scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia “mascolinità” di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie figure…

***

I risultati del test, quanto sono omosessuale?

«Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la mia “diagnosi”. «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei - sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio.
Dopo qualche giorno sono di nuovo nella sala d’attesa del professore. La sensazione è la stessa: un porto di mare aperto a tutti i “casi umani”. Cantelmi, cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e mi parla di “leggera nevrosi e depressione” che avrebbe indotto la mia deviazione sessuale, l’uscita dai binari di una sessualità sana e consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati all’infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l’assenza di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono del tutto omosessuale.
Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia omosessualità è il primo passo verso la “guarigione”. Probabilmente è una modalità per iniziare a smontare la convinzione del “paziente”. Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa iniziare a destrutturare la personalità dell’individuo, le sue convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che l’omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione dalla norma, dall’unica norma reale: l’eterosessualità.
«A questo punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».
«Che tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».
Io non mollo la presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell’ennesimo psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: “Oltre l’omosessualità” di Joseph Nicolosi.
Nicolosi, proprio lui, il guru dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice - troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l’hanno fatta».

***

Il libro di Nicolosi

Oltre l’omosessualità” di Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di omosessuali corretti, riparati, e un’appendice finale sulle modalità della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto dell’infanzia. Di qui un’illustrazione delle caratteristiche ricorrenti nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo, prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l’obiettivo del dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi dall’opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»: la falsa identità gay che l’esterno ti impone. «No, non sono gay», è l’ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da eterosessuale.
Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80, occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare fuori la sua omosessualità.
Un paio di buone ragioni per iniziare la terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta l’intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un lavoro che riesce, ma i segni dell’omosessualità hanno lasciato la loro traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il messaggio, meglio, l’avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro: attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.

***

Prove di guarigione

Quando torno nello studio del professor Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il conflitto con tua madre, l’assenza di tuo padre, cercando di ricomporre le fratture che hanno generato la confusione».
«Confusione?»
«Si, certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l’ho preso nel di dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai provato». Sull’orlo dell’esaurimento per quelle domande così ripetitive e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento, ogni particolare. Gli parlo dell’eccitazione del rapporto omosessuale maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni passaggi particolarmente suggestivi e “scabrosi” descritti da uno dei pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il “malato” che è in me e mi sembra visibilmente soddisfatto.
Io inizio a provare un senso di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni “subite”? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne so abbastanza.

Davide Varì



Da "Liberazione" del 26 dicembre 2007, pagina 2

La lettera del Prof. Tonino Cantelmi che difende il suo operato

«Nessun pregiudizio o terapia “forzata” Solo professionalità per chi chiede aiuto»

Caro Davide, sarebbe bastata una richiesta di intervista e ti avrei spiegato tutto, senza che nascesse questa inutile caccia alle streghe (vedi quello che dichiara Mancuso sulla base delle tue affermazioni). Mi spiace ma, permettimi di dirlo, l’articolo è davvero squallido: forzature, anche nel linguaggio, falsità, deformazioni della realtà, ironia sulla sofferenza, danno un quadro distorto della realtà. In questa sede mi preme comunicarti il dispiacere di chi, come me e come i miei collaboratori, lavorano con passione e con onestà. Ripeto, sarebbe bastata una richiesta di intervista (non mi sono mai sottratto alla stampa ed al

dialogo): tutto avviene alla luce del sole. E’ facile, forzando e storpiando la realtà, ridicolizzare le persone, ma oltre che non rispettoso, è anche oltraggioso per professionisti che ogni giorno lottano contro la sofferenza con tutto se stessi. Non riconosco alcune affermazioni che mi attribuisci, trovo che alcune frasi hanno un linguaggio che non mi appartenga e che decontestualizzate assumano significati persino opposti. Mi sembra che trattiamo tutti i pazienti con rispetto e dignità. Alcune tue affermazioni sono del tutto false, come avremo modo di dimostrare. Ho trovato poi davvero offensivo le illazioni su terapie “forzate” su minorenni: abbiamo dati per disconfermare tali illazioni e per mostrati quanti ragazzi (non c’entra l’omosessualità) ci consultano per il disagio che vivono (vorrei farti notare che i pazienti con omosessualità, che mi contattano per vari motivi, sono davvero la minoranza) e che invece nessun minorenne ha avuto accesso a terapie “forzate”. Quell’articolo nel complesso offende me, i miei collaboratori ed i pazienti. Mi auguro che tu voglia anche tranquillizzare Mancuso: non ci sono persecutori, nè “psicosantoni fanatici” (basterebbe leggere i libri e le pubblicazioni scientifiche che ho fatto), nè ultracattolici e non c’è alcun pregiudizio, ma solo la voglia di aiutare chi chiede liberamente aiuto. Infatti persone omosessuali che richiedono il nostro aiuto e non intendono mettere in discussione il loro orientamento sono accolti, rispettati ed aiutati rispettando la loro dimensione valoriale e la loro scelta. Sono sicuro che un gran numero di persone omosessuali che ho avuto in terapia potranno confermarti il rispetto per le loro scelte. Come ti ho ben chiarito nei nostri colloqui, diamo aiuto e sostegno anche a coloro che vogliono invece verificare aspetti inerenti la loro omosessualità, senza avere alcuna preclusione ed adottando percorsi terapeutici ben accetti dalla comunità scientifica. Non ritengo corrette un mucchio di cose da te scritte, che ti saranno contestate in modo adeguato. Tuttavia, poichè spero nella tua onestà intellettuale, mi attendo una rapida ed onesta valutazione da parte tua di questa mia richiesta di rettifica, anche dando alla stessa il rilievo pari al tuo articolo.

Da "Dire"

Tearapie riparative. Cantelmi: "Quanto e' stato raccontato dal giornalista di Liberazione e' falso e ne rispondera' in sede giudiziaria".

Nessuno pretende di 'curare' i giovani gay: offriamo quello che viene offerto da tutti gli psichiatri e psicologi rispettando il codice deontologico e i valori del paziente". Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, docente di psicologia all'Universita' gregoriana e fondatore dell'Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici risponde cosi' all'inchiesta pubblicata nei giorni scorsi su 'Liberazione' e realizzata dal giornalista che si e' finto gay, per sei mesi, per sondare se anche in Italia, come negli Usa, si diffonde la 'terapia riparativa' dei gruppi legati alla Chiesa e lanciata da Joseph Nicolosi, psicologo clinico che vanta 500 casi di gay 'trattati'.

"Quanto e' stato raccontato dal giornalista di Liberazione- sottolinea Cantelmi- e' falso e ne rispondera' in sede giudiziaria, anche se, purtroppo, e' stato strumentalizzato da altri. E invito il presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso a passare una settimana con me, per seguire tutto quello che facciamo e capire come lo facciamo". Nessuno, spiega lo psichiatra cattolico, "viene forzato a cambiare l'orientamento sessuale. Chi chiede una terapia e non mette in discussione l'omosessualita', non viene forzato in alcun modo". Se qualcuno invece, prosegue Cantelmi, "non si riconosce come omosessuale e non vuole esserlo ha il diritto di approfondire questo problema e di ricevere un percorso psicoterapeutico adeguato".

Ma anche questo non e' detto che porti a dei cambiamenti: "Noi cerchiamo di aiutare il giovane a capire le origini sulla sua sofferenza- sottolinea lo specialista- e a trovare risposte, non c'e' una terapia specifica sull'omosessualita' Il giornalista, racconta Cantelmi, "si e' finto gay e si e' sottoposto ai test, ma si tratta di test di personalita' diffusi in tutto il mondo, il Mmpi-2, (Minnesota multiphasic personality inventory), e il Rorschach. Gli si e' detto che aveva una serie di problemi e gli e' stata proposta una normale psicoterapia cognitivo-comportamentale". Eppure, lamenta Cantelmi, "nessuno ha pensato di verificare il servizio che poi il giornalista ha fatto. E' stato preso per buono". Io, spiega lo psichiatra, "visito centinaia di persone, non esistono pressioni, il fatto e' che non tutti gli omosessuali si riconoscono nel modello gay, cosi' come molti che hanno esperienze omosessuali di fatto non lo sono. E vanno aiutati a capire sino in fondo la propria conflittualita'. La terapia mette in discussione tutti i comportamenti, questo puo' succedere anche rispetto a quelli omosessuali". Ma che ne pensa Cantelmi delle teorie di Joseph Nicolosi? "Mi sembrano molto americane, semplicistiche di fatto.

Piu' volte, come psichiatri cattolici, abbiamo ritenuto la sua posizione troppo riduttiva". Ma e' giusto, per lo psicoterapeuta, "rispettare sempre il codice di valori dei nostri pazienti, e rispettare anche i valori degli omosessuali credenti. Questo deve essere molto chiaro per tutti. Invece molte volte le terapie sono mortificanti, soprattutto nei confronti dei credenti".

Conclude Cantelmi: "Non si parte con il pregiudizio, noi rispettiamo il desiderio del paziente, ma spesso capita che non ci sia rispetto per pazienti che hanno codici diversi". E, tiene inoltre a sottolineare in conclusione lo psichiatra, "non c'e' nulla di clandestino, non c'e' nessun circuito italiano del 'sesso deviato', ne' alcun collegamento nostro con la chiesa cattolica. Non ci sono, in definitiva, teorie 'vetero-complottiste'".



Ringrazio A.N. per questo contributo