In quale Russia vivete? |
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Come imparare a dividere lo spazio sociale con gli altri
Per ognuno, così risulta, è la propria. Per qualcuno è sovrana e una, per qualcuno è liberale e altra. Alcuni vivono in una dentro un giardino, la maggior parte in una oltre la MKAD [1] e chissà chi perfino in una d'oltremare. Per uno non c'è Russia senza Stalin, ma per un altro la Russia con Stalin è un GULAG. Personalmente vivo in una Russia particolare, avendo un passaporto blu [2] e una famiglia russa. Ho vissuto in questa Russia per due terzi della mia vita adulta, ma comunque per me non è diventata “mia”. Tjutčev [3], sono convinto, non aveva ragione quando scrisse che con la ragione non si può capire la Russia e che con il comune aršin [4] non la si può misurare con precisione: infatti qualcuno la misura in pollici e qualcuno la pesa in grammi. Idealmente tali differenze di visione del mondo dovrebbero risolversi alle elezioni. Gli americani, diciamo, decisero nel 2008 se vivessero in quegli USA, in cui si può eleggere un afro-americano alla Casa Bianca o in quelli, in cui ciò è ancora impossibile o perfino inopportuno. Gli ucraini, pare, decidono regolarmente alle elezioni se vivano come prima na Ucraina o comunque già v [5] Ucraina. In Russia, tuttavia, tutti per qualche motivo ammettono che le elezioni, anche se hanno giocato un ruolo simile in precedenza, nel 2011 e nel 2012 non saranno uno strumento del genere. Più spesso di tutto si da la colpa al potere, alle leggi, alla loro mancata applicazione, ecc. e tutto ciò, probabilmente, è vero. Ma ci sono, pare, anche ragioni più profonde, che impediscono la soluzione di queste questioni perfino con la più perfetta legislazione. Intraprenderò in seguito proprio un tentativo di chiarire queste ragioni. Intervenendo di recente alle “Lezioni per Chodorkovskij” [6], ho condiviso con il pubblico quattro fenomeni curiosi per un osservatore esterno. (Una loro piena esposizione si potrà trovare nel prossimo numero della rivista “Pro et Contra” [7].) Queste, in due parole, sono le seguenti. In primo luogo, il russo non è passivo, ma aggressivamente immobile. La differenza è significativa, infatti l'immobilità, a differenza della passività, è una strategia meditata di sopravvivenza in un ambiente, in cui non ci sono strade tracciate per il successo, ma ogni passo (o spinta) da una parte può portare a perdite irreparabili. In secondo luogo, il potere russo e il “suo” popolo vivono in stato di “divorzio alla sovietica”, continuando per mancanza di vie d'uscita a convivere nello stesso appartamento, ma, dopo lunghi anni di rapporti troppo intimi, si sforzano di non impedire l'uno all'altro di vivere. In questo, suppongo, consiste anche il contratto sociale post-sovietico: né l'élite, né le masse attentano seriamente alla comodità e alla(relativa) prosperità dell'altra parte. In terzo luogo, vivere con l'ex coniuge è spiacevole. Ognuno cerca di vivere la propria vita, ma la porta d'ingresso, per esempio, è una sola. Così è anche in un paese, dove sia l'élite, sia il popolo (nella loro bella individualità) considerano gli spazi pubblici come propri, cercando di imporre all'altro (ma non a se stesso) le regole di un “comportamento sociale”, tese a massimizzare il proprio privato vantaggio rispetto al patrimonio pubblico. In altre parole, sia le sirene [8], sia i parcheggi casuali sui marciapiedi, sia le discariche nei boschi, sia la caccia con gli elicotteri [9], sia la piena irritazione reciproca. In quarto luogo, c'è una via d'uscita. Russi di successo, intelligenti, mobili, ricchi di iniziativa (e particolarmente giovani), che desiderano vivere un'altra vita, ma disperano di costruire l'Europa in Russia e non sono pronti ad andarsene (di gente del genere non ce n'è così poca), se ne vanno in quella che chiamerei la “modernizzazione individuale”. Con l'aiuto di Internet, della globalizzazione della cultura e dell'economia e di biglietti aerei a prezzi accessibili questi costruiscono intorno a se un mondo, che non è sottomesso alla realtà russa e in questo mondo pure vivono. Dal paese hanno bisogno solo di un passaporto per l'estero, della mancanza di scomodi divieti (alla stessa Internet, per esempio) e di una relativa sicurezza. Perlomeno così pareva. Finché non c'è stata la Manežka [10]. Finché l'Istituto per lo sviluppo contemporaneo, il Centro di elaborazioni strategiche [11] e perfino il club nazional-conservatore del partito “Russia Unita” non hanno cominciato a discutere dell'indispensabilità di rapide trasformazioni in senso democratico. Finché il potere non si è messo a parlare di vietare Skype e Gmail (evidentemente con lo scopo di garantire trasformazioni in senso democratico). Nelle condizioni del contratto sociale “putiniano”, per cui ognuno è libero di occuparsi dei propri affari personali, tutto questo non deve esserci. Questa è proprio una lotta e tutta l'attuale costruzione politica è fondata sulla sua assenza. La lotta è lotta. Ma quale? In Russia sanno da tempo che, se c'è una lotta, è di classe. Altri tipi veri e propri non ci sono, tutto il resto è apparenza. Ma ci sono classi in Russia? Qualunque cosa dicano, una vera classe media in Russia non c'è. Ci sono persone con un medio benessere e neanche poche. Ma tra loro ci sono burocrati, piccoli imprenditori e plancton da ufficio di grandi compagnie straniere e russe (e spesso statali). Quali interessi comuni hanno queste persone? Gli uni si avvantaggiano del consolidamento della proprietà privata, gli altri ci rimettono, per i terzi fa lo stesso. Nell'élite è all'incirca lo stesso, solo con un altro livello di soddisfazione. Se non succede niente secondo Marx, è perché Marx descriveva la situazione sotto il capitalismo, ma in Russia non c'è il capitalismo. Dov'è la libera concorrenza? Dov'è la difesa dalla monopolizzazione? Dove sono le regole del gioco istituzionalizzate? Dov'è, alla fin fine, l'efficienza come più alto valore? (Il più alto valore, certamente, è l'opportunità, peraltro non solo per il potere e per le élites, ma per tutta la società Ma in Russia una struttura come la Gazprom può avere perdite per considerazioni politiche e un moscovita si compra un fuoristrada da 40 mila dollari piuttosto che sacrificare 4 mila rubli [12] per riparare la strada per la dacia. Il “proprio” è sempre più caro, in senso proprio e traslato.) Ma se le classi in Russia non si organizzano secondo un paradigma capitalista, ciò non significa che non ce ne siano. E' semplicemente un altro paradigma. Se nel capitalismo le classi sono costruite secondo il ruolo funzionale nella produzione, nella Russia contemporanea il fattore determinante è la natura dell'accesso alla prosperità o, in altre parole, il grado di inclusione. Da questo punto di vista, a mio modo di vedere, in Russia esistono tre classi. La prima sono i cittadini politicamente inclusi o la stessa élite politico-economica. Queste persone, appartenenti a quel raro, soddisfatto gruppo di persone, che stabilisce le regole del gioco e per la diretta prosperità delle quali queste regole sono approvate e applicate. Tra loro, indubbiamente, c'è concorrenza, ma domina l'interesse comune per la perdurante esistenza dell'attuale organizzazione, che con tale successo gli garantisce risorse, diritti, incarichi e libertà indispensabili. La seconda sono i cittadini individualmente inclusi. Sono persone che hanno saputo trovare per se varie nicchie economiche nell'economia russa contemporanea e con questo prosperano grazie al sistema attuale, ma non certo al livello del primo gruppo. Questa “inclusione” parziale gli da le indispensabili risorse finanziarie e di altro tipo per quella modernizzazione individuale di cui scrivevo sopra. Peraltro l'inclusione nell'ambiente di sistema russo è profondamente strumentale e chiamata a garantire l'accesso ad ambienti più confortevoli, non di sistema e spesso non russi di vita fisica e virtuale. E finalmente la terza classe sono i cittadini non inclusi. Questi essenzialmente non partecipano alla nuova, “prospera” Russia, vedendo sia l'Europa, sia il “glamour” moscovita solo in televisione o attraverso spesse vetrine. Questi, più di altri, sono legati al paese, non avendo né risorse, né prospettive di uscita fisica o virtuale dai suoi confini, ma al contempo ottengono meno di altri vantaggi da esso. I rapporti tra queste classi sono conflittuali. La prosperità della classe politicamente inclusa dipende direttamente dalla sua separazione dalle altre. Il sistema non le può garantire abbastanza risorse, se in concomitanza deve servire anche le larghe masse. Perciò la struttura politica dev'essere chiusa, ma neanche essa sola; questa nuova nomenklatura, come pure la precedente, vive, mangia, lavora e riposa là, dove gli altri russi non sono e fa come se gli altri russi non fossero neanche per le strade per cui vanno. I russi individualmente inclusi vedono la prosperità dei politicamente inclusi, ma non sperano di entrare nel loro numero e li disprezzano perfino. Allo stesso tempo, dopo aver costruito intorno a se i propri mondi individualità e aspirando a difenderli dall'incertezza che è anche la pietra angolare della vita russa, si separano essi stessi da tutti gli altri. I conti all'estero li difendono dagli assalti dall'alto, le porte d'acciaio da quelli dal basso. Per il comfort psicologico e di altro tipo si sforzano di non notare i cittadini non inclusi, che, certamente, pure disprezzano. E sfuggono perfino i “loro”, preferendo la creazione di comunità virtuali su Internet alla partecipazione alla soluzione collettiva di concreti compiti sociali. E la classe non inclusa, disperando di cominciare chissà quando a prosperare, non di meno imita il comportamento delle “classi più alte”, che non può semplicemente non vedere. Non partecipano peggio degli altri alla privatizzazione del patrimonio pubblico. Peraltro rifiutano di partecipare alla vita politica del paese a cui appartengono, ma che non gli appartiene. Il disprezzo per le “classi più alte” indubbiamente c'è, ma c'è anche il disprezzo per se stessi e la quasi piena certezza del fatto che il popolo ha il potere che merita. La presenza di queste classi non sarebbe una gran disgrazia, se non fosse per una circostanza. Fino a non molto tempo fa ognuno di questi gruppi viveva nella piena certezza di avere la propria Russia, autonoma e non contigua alle Russie in cui vivono gli altri. Ognuno, come per linee geometricamente parallele, poteva andare lontano quanto voleva senza paura di scontrarsi con gli altri. Poi le linee si sono inaspettatamente incrociate. Queste linee si sono incrociate nel bosco di Chimki [13] e nella zona del programmato “Ochta-centr” [14] a Pietroburgo, dove le ambizioni della gente grande si sono scontrate con gli interessi di quella piccola. Si sono incrociate nei boschi e nelle torbiere in fiamme, dove il senso di difesa da parte di uno stato forte si è rivelato una cortina di fumo. Si sono incrociate, infine, in piazza del Maneggio, quando il potere è ammutolito e per un minuto è sembrato che fosse scomparso del tutto. La cosa più terribile, tanto nei boschi, quanto nella Manežka non è stata l'incapacità del potere e neanche la presenza di una minaccia per la vita delle persone, ma la mancanza di informazioni credibili. In mancanza di una campana di bordo la paura si moltiplica. Gli incendi avanzano o arretrano? Scendere nel metrò è sicuro o no? Chi ascoltare? A chi credere? Dove fuggire? Lo spazio pubblico – le piazze in cui camminiamo, i mezzi di trasporto con cui andiamo, perfino l'aria che respiriamo – si è rivelato tanto atomizzato, tanto rubacchiato da varie tasche che la gente ha smesso di sentire questo spazio come cosa comune. E' diventato altrui, ignoto, minaccioso. E qui è diventato chiaro che non possiamo vivere tutti nelle nostre diverse Russie, anche se abbiamo un passaporto blu e il diritto di volare, abbiamo una sola Russia. Ecco da dove, così risulta, comincia la Patria [15] – dalla percezione di aver bisogno di dividere uno spazio con persone che non conosciamo e non vogliamo conoscere, con cui non siamo d'accordo e che non desideriamo frequentare, ma che così come noi cercano di diffondere le proprie regole, i propri principi, i propri meccanismi di difesa in quegli spazi, che fino a poco tempo fa consideravano di nostra proprietà. La politica è l'arte di trovare una lingua comune con quelli con cui non avete niente in comune tranne lo spazio pubblico. Proprio per questo esistono sia i partiti, sia le elezioni, sia i mezzi di informazione di massa, sia le organizzazioni civili, sia i “parlamenti per le discussioni”. Esistono per cominciare a dividere ciò che vogliamo per noi, ma di cui non possiamo appropriarci fino alla fine. Per questo in democrazia si impara a riconciliarsi con le sconfitte – perché sappiamo che non sono totali. E a non rallegrarsi troppo per le vittorie, capendo che non sono definitive. Ecco comunque perché la democrazia è necessaria alla Russia – perché non sia terribile scendere nel metrò. Perché il metrò, come il paese, è uno solo per tutti. Sam Greene, 26.04.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/045/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |
[1] Moskovskaja Avtomobil'naja Kol'cevaja Doroga (Autostrada Circolare di Mosca), sorta di Raccordo Anulare moscovita.
[2] Passaporto per chi viaggia in veste ufficiale.
[3] Fëdor Ivanovič Tjutčev, poeta russo del XIX secolo.
[4] Antica unità di misura russa, pari a 71 centimetri e di uso equivalente al metro.
[5] Na e v stanno per “in”. Con na si intende “in uno spazio ristretto” o “sottoposto” (alla Russia, qui).
[6] Incontri culturali dell'opposizione russa legati al caso Chodorkovskij, ma inerenti a vari temi.
[7] Rivista della sezione russa del “Carnegie Endowment for International Peace” (Fondo Carnegie per la Pace Internazionale).
[8] Quelle con cui si fanno largo le “auto blu” russe.
[9] Praticata dalla “casta” russa perfino nelle riserve naturali.
[10] Nome colloquiale della Manežnaja ploščad' (Piazza del Maneggio, nei pressi della Piazza Rossa, teatro nel dicembre scorso di scontri tra nazionalisti e caucasici). Il corsivo è mio.
[11] Centri di studi statali.
[12] Circa 100 euro.
[13] Riserva naturale presso la cittadina di Chimki, nei dintorni di Mosca, attraverso cui si progetta di far passare la nuova autostrada Mosca-San Pietroburgo.
[14] “Centro-Ochta” (l'Ochta è un piccolo fiume di San Pietroburgo), grattacielo della Gazprom da 396 metri destinato a deturpare orribilmente la “capitale del Nord”.
[15] Allusione alla canzone patriottica sovietica degli anni '60 S čego načinaetsja Rodina? (Da dove comincia la Patria?).