NADIRA ISAEVA: C'è richiesta di
giustizia, ma non di separatismo o di nazionalismo
Ingushetia.Ru,
19.06.2012, 17.39
Parla
l'ex direttrice del noto giornale daghestano "Černovik"
[1]
Il
Daghestan manifesta, ma non nello stile di piazza Bolotnaja [2]
e non con i suoi slogan. L'ultima manifestazione ha avuto luogo
domenica scorsa a Machačkala
[3], 600 persone
hanno richiesto che si indaghi sull'omicidio dei fratelli
Gamzatov, le indagini sul quale, tre mesi dopo la loro pubblica
esecuzione non hanno portato alcun risultato.
Non di
meno, la repubblica non si unisce al movimento di protesta
generale russo. Quale sia la causa di tale stato di cose, chi va
in strada e quale ruolo in questo giochi il "progetto
islamico" ha valutato l'ex direttrice del giornale "Černovik"
Nadira Isaeva.
–
Secondo Lei, perché il Daghestan non si unisce alle
manifestazioni dell'opposizione, anche se ora la stessa repubblica
si trova in stato di agitazione?
– Per
reciproca sfiducia ed estraneità. C'è un muro di estraneità tra
i daghestani, gli abitanti delle repubbliche del Caucaso del Nord
nel loro complesso e la popolazione del resto della Russia.
Considerare il Caucaso del Nord una zavorra per il paese è
diventato un luogo comune nella coscienza dei russi, come sembra a
molti in Daghestan. Ma i caucasici hanno cose da mostrare allo
stato e alla società russi in questo secolo e mezzo di vita
comune.
La
lealtà di molti leader della protesta nei confronti dei
nazionalisti, il cui principale strumento politico è l'odio per i
caucasici, favorisce solo lo scetticismo.
Anche
se non credo che i leader dei nazionalisti non capiscano che i
problemi della Russia non iniziano nel Caucaso e non finiscono là.
In
generale gli abitanti del Daghestan sono indifferenti alle
elezioni come alle istituzioni e al potere per tutta una serie di
motivi stabili. La gente semplicemente non va alle elezioni, non
ne tiene conto. Non di meno, ogni volta il Daghestan "mostra"
un'affluenza mai vista. Di cosa si può ancora parlare qui? I
daghestani hanno problemi di altro ordine – viviamo secondo le
leggi dei tempi di guerra, non ci interessano questa politica e
queste elezioni. E andando alle manifestazioni la gente non
propone richieste politiche, ma richiede al potere garanzie di
vita e libertà.
– E
che dire della manifestazione dei cinquemila salafiti, senza
precedenti per dimensioni, svoltasi nel novembre dell'anno
scorso a Machačkala?
In essa è risuonata proprio una richiesta politica:
l'introduzione della shari'a.
– La
protesta fu causata da altri motivi. Già da dieci anni le persone
vengono sequestrate, torturate e uccise, gli mettono addosso armi
e fabbricano procedimenti penali. Alla maggior parte di quelli che
andarono alla manifestazione era stato sequestrato, torturato o
semplicemente ucciso a colpi d'arma da fuoco un familiare solo per
un motivo – mantenevano convinzioni salafite. Questo faceva male
e si era accumulato. Gli appelli alle autorità federali e della
repubblica nello spirito "smettete di torturarci" e il
ricorso ai diritti umani fondamentali non funzionano: che senso ha
chiedere, se non vi ascoltano? Ecco che la gente è andata in
massa per strada con questa richiesta radicale.
–
Dopo la nomina a presidente di Magomedsalam Magomedov la
situazione ha preso a cambiare. Le autorità hanno preso a
parlare apertamente dell'indispensabilità del dialogo: è
comparsa un'ala legale salafita, "Achlju-Sunna", si è
svolto il congresso dei popoli del Daghestan, dove sono
intervenuti anche i salafiti, ha avuto luogo una seduta in
trasferta della commissione per i diritti umani presso il
presidente della Federazione Russa, è stata formata una
commissione per il riadattamento dei militanti. Tutte queste
iniziative sono state curate da Mosca tramite il Comitato
Antiterroristico Nazionale e il potere della repubblica gli ha
dato vita. Ciò significa che c'è comprensione del problema,
forse poca?
–
Nessuna delle parti del dialogo, a mio parere, si fida dell'altra.
I salafiti di "Achlju Sunna" possono prendere tutte
queste iniziative come un tentativo del potere di lottare con
loro, ma già a livello politico-ideologico e ritenere la lealtà
nei loro confronti un metodo della carota in contrapposizione a un
progetto islamico che acquista contorni reali. E' molto
importante, a mio parere, il recente incontro dei rappresentanti
dei salafiti con l'Amministrazione Spirituale dei Musulmani [4]
a Machačkala
e in seguito lo stesso, ma già con i rappresentanti dei salafiti
nel distretto di Cumada [5].
Entrambe le parti hanno siglato una risoluzione, secondo cui le
parti in conflitto si obbligano d'ora in avanti a risolvere le
liti in ambito teorico. Ma con questa iniziativa gli agenti delle
strutture armate e Mosca non hanno niente a che fare.
–
Come si presenta il “progetto islamico alternativo”?
–
Soluzioni semplici e comprensibili a tutti, senza lungaggini e
burocrazia. Si mostrano più nettamente nelle corti shariatiche.
Di fatto nella repubblica buona parte delle liti su divorzi,
eredità e terre si risolvono così.
Un noto
avvocato, un laico, mi disse in qualche modo che seguiva solo
cause penali, quelle civili non le seguiva per principio. "In
un processo civile si può dividere una casa per anni: si spende
un mucchio di soldi in bustarelle e alla fine non si ottiene
niente, tutte le parti si odieranno soltanto a vicenda", –
disse. Perciò ha avuto casi in cui ha mandato dall'imam della
moschea clienti che si erano rivolti a lui con cause civili.
Inoltre alle corti shariatiche, certo non pubblicamente, si
rivolgono sempre più spesso funzionari e uomini d'affari. E' una
pratica diffusa, che si amplia sempre di più. Se fosse
riconosciuta ufficialmente, placherebbe il problema della terra,
il più sanguinoso nella repubblica. Nelle corti shariatiche non
c'è niente di pericoloso per lo stato, si prenda l'esempio della
Gran Bretagna, dove non tanto tempo fa sono state riconosciute
ufficialmente.
Accanto
al problema dei tribunali da noi c'è un acuto deficit di servizi
statali e municipali nei distretti. La gente è lasciata a se
stessa, perciò risolve i propri problemi come può.
Porterò
qualche esempio. Nel villaggio di Mucalaul nel distretto di
Chasavjurt [6] un tempo
c'era uno dei migliori ospedali del distretto, il personale l'ha
letteralmente portato via fino all'ultima vite e la cucina per i
bambini è stata saccheggiata dalle infermiere. La gente si è
rivolta a tutte le istanze – silenzio. Allora sono giunti
"quelli dei boschi" [7]
e hanno spiegato ai lavoratori della cucina per i bambini che non
è corretto comportarsi così. La cucina per i bambini ha preso a
funzionare senza guasti. O la storia del capo di una delle MSĖK
[8]
distrettuali, dove danno i certificati di invalidità, che
aveva superato ogni limite: denunciarlo era inutile, in quanto per
i certificati falsi ricevevano la loro parte sia gli agenti
dell'OVD [9] locale,
sia la commissione inquirente e la procura. Ho sentito che tra la
popolazione c'erano conversazioni su come denunciarlo a "quelli
del bosco".
Di tali
esempi nella repubblica ce ne sono a decine, la gente ha bisogno
che qualcuno risolva i suoi problemi sociali e qui giunge il
potere alternativo.
– A
metà degli anni '90 in Cecenia ci fu questo esperimento di
governo islamico alternativo, la repubblica non ce la fece.
–
Perché inizialmente l'Ičkerija
[10] fu
costruita sull'idea del nazionalismo. E quando scoprirono che era
un'idea vuota, allora puntarono sull'Islam, ma, a dire il vero,
sorse subito un altro problema. Quando a Džochar
Dudaev [11]
dissero che in Cecenia bisognava introdurre la shari'a,
questi, a quanto si dice, rispose: "Introdurrò la shari'a,
ma dove troverò tanti musulmani?" L'Ičkerija
non ispirò nessuna delle repubbliche del Caucaso del Nord a
unirsi alla lotta per uno stato nazionale. Ecco che l'idea
dell'Islam si consolida e prende forza non dal numero dei suoi
sostenitori, ma dalla loro passionalità.
Bisogna
capire precisamente che quando parliamo di corti shariatiche o di
un progetto alternativo, questo non è sinonimo di distacco del
Daghestan dalla Russia. A livello di repubblica non ci sono
davvero tali umori, invece c'è una richiesta di giustizia, di
giustizia sociale che si amplia sempre di più. E qui molto negli
umori della maggior parte dei daghestani dipenderà da come si
comporterà Mosca nel futuro prossimo.
–
Dall'omicidio del proprietario del giornale "Černovik"
Chadžimurad
Kamalov sono passati sei mesi, ma finora non abbiamo
sentito versioni ufficiali del suo omicidio. Lei ha lavorato per
sette anni fianco a fianco con lui e per quattro anni è stata
direttrice del giornale, quali versioni ha, a chi dava fastidio
Chadžimurad?
–
Negli ultimi 20 anni non ricordo un solo caso di omicidio politico
in Daghestan in cui gli inquirenti abbiano proposto versioni
concrete.
Le
fonti probabili della commissione dell'omicidio di Chadžimurad
si possono dividere per livello di potere:
municipale, della repubblica e federale. Quello chiave, a mio
parere, è quello federale. Ciò non significa che qualcuno da
Mosca abbia detto che bisognava uccidere Kamalov. Ciò significa
che è sorta una situazione politica in cui era diventato
possibile uccidere una persona come Kamalov.
Prima
delle elezioni presidenziali Mosca voleva chiudere il campo
informativo del Caucaso. E Chadžimurad
e il giornale "Černovik"
non solo formavano molto dello spazio informativo del Daghestan,
egli stesso era un potenziale fattore di dialogo tra le parti in
conflitto.
E
questa disposizione federale si accorda strettamente con gli
interessi della leadership locale, che ora è molto debole. Le
altre versioni sono secondarie. In generale non è poi così
importante se complici dell'omicidio di Kamalov siano gli agenti
delle strutture armate della repubblica con cui aveva un aspro
conflitto, in particolare il vice-capo del ministero degli Interni
per il Daghestan Magomed Magomedov considerava Kamalov un nemico
personale, o se qui si sia segnalato un politico influente. In
decenni di attivo operato socio-politico Chadžimurad
si era fatto un sacco di nemici, ma hanno osato ucciderlo solo ora
perché era stato dato un segnale non verbale dalle autorità
federali. Proprio per questo penso che gli inquirenti non
troveranno i mandanti del suo omicidio.
– So
che gli inquirenti hanno controllato anche Lei quanto a complicità
nell'omicidio. Il motivo erano delle intercettazioni di telefonate
tra Kamalov e Lei. Nella conversazione discutevate di una grossa
somma di denaro che era diventato motivo di conflitto tra voi.
– Sì,
ebbi un conflitto con Chadžimurad
per la parte monetaria di un premio congiunto norvegese-tedesco al
giornale "Černovik".
Ma la discussione non era per i soldi in se. Era una discussione
di posizioni. In quel momento avevo appena scritto una
dichiarazione di uscita dalla redazione. Chadžimurad
era una figura complessa. E se sorgeva un conflitto con lui su
questioni di principio, era sempre un conflitto aspro perché
fargli cambiare idea su qualcosa o insistere sulla propria
posizione con lui era incredibilmente difficile. E gli inquirenti
hanno preso volentieri un nastro anonimo da Internet montato con
elementi di intercettazioni delle nostre trattative telefoniche e
condito di commenti falsi come base per una versione. Tra l'altro
la fonte della fuga di notizie – fattore essenziale, che
aiuterebbe a evidenziare gli interessati a indirizzare gli
inquirenti su una falsa pista – non tentano neanche di
chiarirla. Una cerchia ristretta di servizi segreti può
intercettare le telefonate in Daghestan. Questo fatto e alcuni
altri, come, per esempio, le telecamere di videosorveglianza
spente al momento dell'omicidio di Chadžimurad
nella via forse più protetta di Machačkala,
la mancanza tra i materiali del caso dei dati del cartellino di
traffico dei telefoni dei presunti assassini testimoniano che
alcuni alti rappresentanti delle strutture armate con accesso di
lavoro ai servizi operativi hanno a che fare con il suo omicidio.
E le
"fughe di notizie" su Internet nell'ultimo anno e mezzo
sono diventate un luogo comune nella repubblica. La blogosfera
daghestana e i social network si sono molto sviluppati e sono
diventati luoghi per ogni possibile discussione, là fuggono
tonnellate di articoli anonimi su chi non è leale nei confronti
del potere e peraltro anche sugli stessi rappresentanti del
potere. Sono convinta che con l'insudiciamento dello spazio su
Internet abbia direttamente a che fare anche la direzione
informativa del presidente della repubblica, parallelamente ad
essa su Internet lavorano gli "specialisti" del
ministero degli Interni e dello FSB [11],
che non lo nascondono neanche particolarmente.
– Per
più di dieci anni la situazione nella repubblica è stata
descritta con termini da guerra. Una parte della
popolazione spinge l'altra a darsi alla macchia, provocando un
conflitto. Tuttavia ora una simile "carta del mondo" già
non riflette più del tutto la realtà. La guerra va avanti come
prima, ma la disposizione delle forze è già un'altra, cos'è
cambiato?
– Se
alla fine degli anni '90 e all'inizio degli anni 2000 si poteva
dire che le repressioni crudeli contro i salafiti li costringevano
alla lotta armata clandestina e che la società era fatta
impaurire con l'idea dei wahhabiti [13]
assetati di sangue, ora la gioventù va a combattere con lo stato,
è cariche delle idee di jihad e ha anch'essa armi in mano. Il
totale impaurimento dei musulmani ha favorito la crescita
dell'autocoscienza islamica. La Cecenia iniziò dal nazionalismo
puro.
– Ma
negli anni '90 in Daghestan è fiorito anche il nazionalismo.
– Sì.
Ma a differenza della Cecenia, in Daghestan sono nati subito
parallelamente due progetti: quello nazionalista e quello
islamico. In una repubblica multietnica è comparsa una pleiade di
leader nettamente nazionali. E tutti questi guadagnavano con la
criminalità.
Negli
anni '90, nel periodo di indebolimento dello stato russo, queste
autorità criminali hanno riempito il vuoto dello stato, sono
diventati un fattore di stabile lealtà della repubblica nei
confronti dello stato russo, tra l'altro, per quanto sembri
strano, ricattandolo di fatto con l'arma del separatismo. Perciò
Mosca ha puntato su di loro del tutto consapevolmente. Ma appena
la criminalità si è legalizzata su posizioni statali, il
progetto nazionalista è finito.
– Si
sono inglobati nel sistema?
– Sì,
è diventato chiaro che tutto il loro "nazionalismo" era
necessario come strumento di ricatto allo scopo di accedere a
cariche statali e alle tangenti con denaro pubblico.
Il
nazionalismo in Daghestan è stato screditato e si è del tutto
esaurito negli anni 2002-2003. Da quel tempo ha preso forza il
fattore islamico.
–
Risulta che la posizione leale di Mosca, che ha
sovvenzionato la repubblica con enormi somme di denaro, abbia
favorito solo la fioritura dell'Islam radicale?
–
Mosca è stata leale nei confronti delle autorità corrotte del
Daghestan, che hanno utilizzato lo spauracchio del
nazional-separatismo e adesso utilizzano già l'Islam radicale per
convincere il Centro: "noi siamo una forza" e "solo
noi arrestiamo il disfacimento della Russia".
Non si
tratta delle sovvenzioni, ma del format di rapporti reciproci
applicato fino a poco tempo fa da Mosca e dal Daghestan. Fino al
2006 circa, penso, vigeva un qualche tacito principio di non
ingerenza dei funzionari federali negli affari che erano
essenzialmente della regione. Noi vi diamo sovvenzioni – voi ci
date lealtà, ma i metodi sceglieteli da soli, basta che là da
voi non ci sia una seconda Cecenia.
E'
andata come nella storia con i serpenti, per ogni testa dei quali
il protettorato britannico in India promise di dare soldi. Così
gli indiani presero ad allevare serpenti velenosi da soli e a
venderli ai britannici, facendoli passare per catturati e uccisi.
Dico questo perché, come con il nazionalismo, le autorità erano
interessate a pompare l'isteria del "wahhabismo" e
questo gli è riuscito.
– In
che modo è riuscito ai funzionari? Infatti la lotta con il
"wahhabismo" è di competenza degli agenti delle
strutture armate e praticamente in tutto il Caucaso le branche
civili e armate del potere si trovano in conflitto permanente.
–
Torniamo al '99, all'inizio della spirale di repressione. Chi
iniziò la "guerra al terrorismo"? Proprio i funzionari
daghestani. Grazie all'insistenza della nostra Casa Bianca [14]
per la prima volta in Russia presso il ministero degli Interni del
Daghestan comparve la Direzione per la Lotta all'Estremismo e al
Terrorismo. In seguito fu approvata la legge sul divieto del
cosiddetto wahhabismo.
Inizialmente
in Daghestan inventarono la direzione per la lotta all'estremismo
e al terrorismo, tacitamente le dettero poteri di inquisizione e
poi cessarono di controllare questi "combattenti con il
terrorismo". I metodi di questi ultimi provocarono una tale
ondata di violenza in risposta da portare all'ingerenza delle
unità speciali federali, degli agenti delle strutture armate
generali già non si fidano.
Ora gli
interessi del potere civile in Daghestan sono ben più
strettamente legati agli interessi degli agenti delle strutture
armate che a quelli della propria popolazione perché queste
baionette lo difendono dalla rivolta popolare.
– In
epoca sovietica il Daghestan era una repubblica donatrice
con fabbriche, stabilimenti e con branche fiorenti
dell'agricoltura, ma dopo gli anni 2000 la repubblica è diventata
sovvenzionata per più del 90%. Perché è andata così?
–
Perché lavorare, se ci sono le sovvenzioni? Russia e Daghestan in
questo senso sono simili. In Russia c'è il petrolio e tutto il
resto si è nascosto da qualche parte, in Daghestan ci sono le
sovvenzioni e quanto c'era ancora ha cessato di esistere. Tutto
nell'economia locale si muoverà intorno alle sovvenzioni:
inventiamo cariche, non vogliamo privatizzare le imprese statali,
curiamo ogni sviluppo dell'agricoltura – tutto per creare fiumi
di denaro di corruzione.
Per
tutto ciò la popolazione inizia semplicemente a degradarsi, si
ingloba nei modelli corrotti per guadagnare soldi, compaiono molti
falsi invalidi e persone a carico. Il commercio è tutto
gioielleria e appartamenti di élite. Perfino sulle montagne hanno
cessato di lavorare, di coltivare patate o cavoli, che ancora in
epoca sovietica erano esportati in molte regioni del paese.
Perché? Se è più conveniente e semplice portarli dalla zona di
Stavropol' [15] e
rivenderli... La corruzione è inimmaginabile, coltivare è
pesante, trasportare anche; perché costruire fabbriche, se un
mucchio di ispettori non ti farà lavorare? L'economia è
atrofizzata, la gente ha disimparato a lavorare. E allo stesso
tempo la nostra leadership chiede continuamente al Centro: date
più sussidi a noi poveri, abbiamo bisogno di costruire scuole e
ospedali.
Le
sovvenzioni sono grandi, ma c'è l'idea fissa che la maggior parte
stia a Mosca in forma di tangenti e nella repubblica arrivi solo
la metà. Non ci sono meccanismi di controllo e di equa
redistribuzione, la società è nettamente stratificata. Da una
parte il lusso sfacciato di singoli quartieri cittadini e
dall'altra centinaia di villaggi e paesi con scuole inagibili,
senza acquedotti e con reti elettriche guaste all'80%.
– Se
domani le sovvenzioni cessassero, la repubblica farebbe la fame?
–
Bella domanda. Come tornare all'inizio della nostra discussione.
La rumorosa tesi dei nazionalisti: "Basta con il nutrire il
Caucaso!". Così alzo due mani a favore. Basta con il nutrire
una polizia caucasica corrotta da migliaia di persone che
torturano, sequestrano, uccidono, aprono procedimenti penali
illegali. Basta con il nutrire il potere daghestano, tra cui anche
i capi delle strutture territoriali federali. Basta con il nutrire
gli agenti delle strutture armate federali inviati nel Caucaso da
tutta la Russia. Posso solo immaginare quanto ciò venga a costare
al bilancio federale.
Comparirà
tensione, certo, ma alla fine ciò costringerà la gente a tornare
alla terra. La gente inizierà a coltivare patate, cavoli e
carote, ad allevare capre e pecore, a far rinascere l'arte di fare
ciò di cui si sono occupati con successo per secoli. Inizierà il
commercio da zero – infatti vicino ci sono Iran, Azerbaijan,
Turchia e vie di trasporto. Non morirà esattamente di fame. Ma
qui si cela una domanda retorica per lo stato russo: se si da la
libertà economica, si tolgono allo sviluppo le barriere, la
principale delle quali sono le stesse sovvenzioni, la gente non
diventerà troppo autonoma e non vorrà all'improvviso anche le
libertà politiche? E' più sicuro riversare soldi e "schiacciare
con i carri armati", perciò abbiamo ciò che abbiamo.
Per
"Politica Caucasica" ha condotto l'intervista la
corrispondente speciale della "Novaja gazeta" Irina
Gordienko
http://ingushetiyaru.org/news/23041.html,
traduzione e note di Matteo Mazzoni
|
[1]
"Brutta copia", giornale di opposizione.
[2]
Piazza del centro di Mosca nota come teatro delle manifestazioni
dell'opposizione.
[3]
Capitale del Daghestan.
[4]
Ente islamico ufficiale del Daghestan.
[5]
Villaggio del Daghestan sud-occidentale, che da nome a un distretto
di cui non è capoluogo.
[6]
Villaggio del Daghestan centro-occidentale.
[7]
I militanti datisi alla macchia.
[8]
Mediko-Social'naja
Ėkspertnaja Komissija
(Commissione di Esperti Medico-Sociale).
[9]
Otdelenie
Vnutrennich Del
(Sezione degli Affari Interni), in pratica la polizia.
[10]
Nome dell'autoproclamata repubblica indipendente cecena.
[11]
Džochar Musaevič Dudaev, primo leader indipendentista ceceno.
[12]
Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di
Sicurezza), il principale servizio segreto russo.
[13]
Leggasi "estremisti islamici".
[14]
Questo nome è dato a tutte le sedi dei governi dei soggetti della
Federazione Russa, tutti massicci edifici bianchi o grigi chiari.
[15]
Città della Russia meridionale.
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