"Vostro Onore, non vedo niente!
Sono già cieco!"
Dall'aula del tribunale il nostro osservatore Aleksej
Polikovskij – testimone del processo ai "prigionieri di piazza
Bolotnaja" [1]
27.07.2013
Un processo in cui le persone siedono in gabbia e dove per l'aula vanno agenti dei corpi speciali vestiti di nero e dove nella voce del giudice Nikišina di volta in volta suonano ghiaccio e freddo che non promettono niente di buono e dove da dietro le spalle dell'avvocato Plevako [2] in un ritratto da parata emerge il più terrificante e schifoso GULAG con le manette e la tortura della fame – per quanto strano si rivela un luogo di vita e non solo di vita, ma anche di amore. Questo amore silenzioso avviene apertamente, è visibile a occhio nudo e nello spettacolo di questo amore mi appare una qualche speranza fondata su nulla. E voglio raccontare di questo.
Ma inizialmente parlo di Vladimir Akimenkov.
Pallido, con il cranio nudo, in jeans azzurri consumati e canottiera
rossa con Che Guevara sul petto, si alza nella gabbia appena il
giudice riesce ad aprire l'udienza e inizia a parlare, ma il giudice
già conosce il pericolo derivante da lui e reagisce con dura
irritazione. E così, volta per volta, quattro o cinque volte a
seduta Akimenkov si alza e vuole parlare, ma il giudice Nikišina
gli tappa la bocca. I loro dialoghi sono gli stessi: "Voglio
dire…" – "Ora non può dire niente!" Dalla parte
di lei c'è la prevalenza del potere e la forza del microfono, volta
per volta questa copre la sorda voce di questi in gabbia, ma questi
comunque si alza un'ora o un'ora e mezzo dopo per provare ancora una
volta. "Vostro Onore, voglio fare una dichiarazione!" –
"Si siede, Akimenkov, non le è stata data la parola!"
Così condurranno questa caparbia lotta dove uno in canottiera rossa
con Che Guevara, estenuato dalla prigione, dal sonno insufficiente,
dalla mancanza di cibo normale e dalle monotone procedure del
processo si batte per il diritto di essere ascoltato e l'altra, che
siede con il severo manto nero sotto un'enorme aquila bicefala
d'oro, cerca di non fargli dire quello che vuole. E quando inizia la
presentazione delle prove dell'accusa sul grande schermo appeso al
muro proprio sotto il ritratto del giurista Rovinskij, noto per la
sua umanità e la sua lotta per ogni persona, Akimenkov grida forte
dalla gabbia: "Vostro Onore, non posso vedere, sono già
cieco!" Su questo il giudice non dice nulla, tace.
E' già il secondo anno che Akimenkov è in
prigione. Ha una malattia congenita dell'iride, la vista al 10% da
un occhio e al 20% dall'altro. Per ore, davanti ai prigionieri che
siedono in gabbia, mostrano sullo schermo registrazioni dei fatti di
piazza Bolotnaja e poi il giudice chiede: "Si è riconosciuto
nelle registrazioni?" La domanda nei confronti di Akimenkov è
priva di tatto e perfino beffardamente ingiuriosa: con tutta la
buona volontà non può riconoscersi, Vostro Onore. Siede in gabbia,
tirandosi l'angolo dell'occhio per potere almeno così aumentare
l'acutezza della visione, poi vedo che tiene uno straccio o un
fazzoletto sull'occhio destro. Penso che gli occhi gli versino, gli
lacrimino. E' bene, Vostro Onore, proporre a una persona che non
vede niente di guardare per cinque ore di fila del cinema, dal cui
contenuto dipende la sua sentenza e tutta la sua vita?! E' un danno
per lo stato, con tutti i suoi ministeri, dipartimenti, tribunali,
servizi segreti, corpi speciali, fondazioni e universiadi
vittoriose, se Akimenkov riceve aiuto all'ospedale Helmholtz [2]
o al centro Fëdorov
[2]? O Voi, Vostro
Onore, lo giudicherete fino alla cecità totale? E ora sull'amore.
Saša
Duchanina si trova agli arresti domiciliari e il suo giovane
uomo Artëm
può incontrarsi con lei solo in tribunale. La gioia dei
normali appuntamenti presso il monumento a Puškin
e delle lunghe conversazioni nel "Coffee House" serale gli
è inaccessibile. Artëm,
un giovane con barba e baffi, in pantaloncini dai colori mimetici,
va a tutte le udienze e siede in prima fila, ma Saša
siede a 20 metri da lui, tra gli avvocati. Innervosendosi, gira in
mano il telefono e lo porta perfino alle labbra. Possono stare
insieme solo nelle pause e prima delle udienze e se le udienze sono
sospese (e sono quasi sempre sospese), per loro è solo meglio. Una
volta li guardo dietro l'angolo del corridoio e vedo che là si
baciano. Prima delle udienze, prima delle porte chiuse del
tribunali, si toccano per tutto il tempo, si appoggiano alle spalle,
si spingono scherzosamente, questi bambini innocenti caduti nella
trappola di ferro dello stato. Ma vedo e sento che questi, per
quanto sia strano, si comportano tranquillamente e allegramente in
questi corridoi e in queste circostanze e perfino il giornale, con
cui Saša
con allegra indignazione colpisce talvolta Artëm
sulla testa (sul braccio destro ha un tatuaggio rotondo sopra
il polso), nelle loro mani si trasforma in un oggetto che accumula
amore. E ridono.
Possono incontrarsi, seppure nel corridoio del
tribunale, e questa è la felicità per loro. Ma altri non possono.
Natal'ja Nikolaevna Kavkazskaja ha avuto un incontro con il figlio
Nikolaj per l'ultima volta il 30 aprile; il padre di Artëm
Savelov Viktor Ivanovič
ha visto suo figlio per l'ultima volta il 19 aprile. Dal momento in
cui il caso è stato trasmesso in tribunale non ci sono stati
incontri. Il giudice Nikišina
non concede incontri. Ha promesso di permetterli di nuovo
dopo gli interrogatori dei prigionieri in tribunale, ma gli
interrogatori possono continuare anche per due mesi o tre o quattro.
La separazione violenta dalle persone vicine è necessaria al
tribunale per schiacciare la loro volontà, per costringerli a
pentirsi. E' una forma di tortura assegnata per decisione di un
giudice che siede solennemente circondata dai ritratti degli
apostoli dell'umanità e della verità – Koni [5],
Plevako, Montesquieu e Cicerone. Ve ne andate presto dall'aula,
Vostro Onore, dovreste una volta restare e guardare come i familiari
dei prigionieri, stretti dalle guardie vestite di nero, agitano le
mani verso di loro. E quelli le agitano in risposta dalla gabbia. E
tutti si sorridono tra loro. E' difficile guardare come le persone
agitano le mani dietro a un treno senza ritorno e senza speranza che
si allontana nella caligine della prigione.
Quando nell'aula del tribunale vedi come il giudice
Nikišina
regola gli avvocati che intervengono, spegne le emozioni del
pubblico, tiene in un corpo nero il prigioniero Akimenkov e conduce
il processo in modo che alla quinta o sesta ora inizi a sembrare che
non ci sia altro che un fitto intreccio di procedure e la superficie
liscia delle forme giuridiche. Ma non è così: là, sotto la
superficie, coperto dal sorriso del giudice, mascherato dalla sua
gentilezza formale (talvolta può dire a un avvocato perfino: "La
prego!"), in tutto questo caso vive e respira un GULAG non
superato, non eliminato. Uno degli inquirenti ha detto a Viktor
Ivanovič Savelov, padre
del prigioniero Artëm:
"Se Lei non collaborerà, Suo figlio prenderà 8-10 anni. Ma se
lo farà, allora saranno 2-3 anni". – "E tu sei
d'accordo a stare in prigione 2-3 anni così?! Per cosa? Perché hai
tenuto per mano qualcuno?!" – ha risposto all'inquirente
Viktor Ivanovič con dolore e
rabbia e io sento questo dolore quando mi racconta la scena.
E questo "tu", che ha detto all'inquirente come se glielo
attaccasse alla fronte, e questa rabbia sul volto di una persona
socievole, ottimista e bonaria hanno costretto l'inquirente a
scostarsi, a diventare prima rosso, poi bianco e a sparire. Questi
con la sua proposta allora è sparito – il sistema è rimasto.
Questo processo, inventato da una testa vile e
costruito con macchie sporche e marroncine sui modelli di Ežov
[6]
e di Berija, non è solo falco, ma è anche fatto male,
grossolanamente, in modo contorto Prima della presentazione delle
prove dell'accusa, cioè dei file con le videoregistrazioni di ciò
che avvenne in piazza Bolotnaja il 6 maggio 2012, all'improvviso si
alza il procuratore Kostjuk e chiede al giudice di dargli il tempo
di prendere conoscenza dei file. In aula c'è rumore. "Perché
siamo qui?!" – non può nascondere lo stupore l'avvocato
Dinze. "L'accusa non conosce le proprie prove? E' un assurdo,
Vostro Onore!" – dice l'avvocato Makarov. Ma effettivamente
non le conosce. E questo non è solo un assurdo, ma anche una
sfacciataggine - accusare 12 persone, 10 delle quali sono in
prigione, e non conoscere le prove dell'accusa. In questo caso non
si dovrebbe interrompere il processo, rimandare il caso alla procura
e consigliare con una certa determinazione il pubblico ministero a
cambiare mestiere?... Ma continuiamo sull'amore.
Evgenija Tarasova, una ragazza dai capelli scuri e
il volto olivastro tondo, siede tra gli avvocati, ha lo status di
difensore di suo marito Leonid Kovjazin, la cui colpa, secondo
l'accusa, consiste nel fatto di aver rovesciato in piazza Bolotnaja
due toilette biologiche e aver causato con questo un grosso danno
materiale ai loro proprietari. Al posto del business delle toilette
avrei ritirato la denuncia: sentite, cos'è, ci tassiamo per una
nuova toilette, solo scrivete al giudice che non avete rimostranze!
Evgenija è diventata moglie di Leonid quando questi era già nel
SIZO [7]. Quel giorno di
marzo aveva in testa una corona di rose bianche e alle porte del
SIZO qualcuno suonava con la chitarra "All You Need Is Love"
dei Beatles. Siede pazientemente durante le udienze, non fa domande
al giudice e non presenta istanze, ma quando il giudice annuncia una
pausa, subito si avvicina alla gabbia e parla con Leonid attraverso
il vetro. Sorridono. Non ho mai visto persone che si sorridessero
tanto come qui, in un posto dove c'è tanto dolore, in questo
processo falso, inventato, creato dagli inquirenti. E una volta vedo
come si baciano attraverso il vetro, appoggiano le labbra da
entrambi i lati del vetro e in questo c'è tanta tenerezza. In aula
in questo momento c'è rumore e caos, il pubblico esce, gli avvocati
si alzano e a loro due sembra di essere avvolti dal caos come da una
nuvola, difesi da sguardi estranei.
E c'è anche la sottile e piccola Tanja Polichovič
con un corto giubbottino rosso, jeans aderente e scarpe da
pallacanestro gialle e io inizialmente non capisco perché siede
proprio nell'angolo dell'aula, dall'angolo infatti non si vedono né
il giudice, né gli avvocati. Ma poi vedo dove guarda e capisco. Il
giudice non le interessa molto, con gli avvocati avrà ancora tempo
per parlare. Se si prolunghi la linea del suo sguardo attraverso due
vetri di una gabbia vuota e il vetro laterale di una gabbia con i
prigionieri, allora vedi suo marito Aleksej, che ha occupato il
posto estremo sulla panchina posteriore e la guarda da là. E così
si guardano e talvolta sorridono. Le larghe figure dei prodi
guardiani si alzano periodicamente presso il vetro laterale della
gabbia e gli chiudono la visibilità. Allora aspettano
pazientemente, finché questi pesanti corpi neri si spostano seppure
di mezzo metro e gli aprono la visuale. E allora la loro
conversazione senza suoni riprende.
Signore, povera Tanja, sorride in modo così
significativo e con un amore così caparbio che viene voglia di
alzarsi e dire al giudice Nikišina:
"Vostro Onore, finitela con questa orribile, insopportabile
bugia, chiara a tutti – e a Voi tra questi! – e non c'è più
bisogno di tormentare le persone, che vadano e vivano!" Ma come
lo dici? Solo qui, sul giornale. Ma questi, suo marito Aleksej,
talvolta le risponde con un sorriso in cui c'è tristezza e
amarezza, come se dicesse: "Beh, che farai… Beh, è andata
così… Sì, è andata così… Scusa", ma questa non accetta
questa amarezza e questa sua stanchezza e comunque gli sorride in
modo significativo, come se rammentasse qualcosa che sanno solo loro
due. E questi allora con uno sguardo concorda con lei. Là, in aula,
si alzano gli avvocati, si riscaldano le passioni; e l'avvocato
Makarov, tenendo in mano fogli di carta scritti fitti, parla
caparbiamente a un microfono con un'asta lunga, anche se il giudice
gli ordina di interrompersi e sedersi; e nella gabbia si alza e
chiede la parola e conduce la sua caparbia lotta l'inflessibile
candidato in Scienze Krivov, ma il giudice respinge e taglia la sua
istanza con una voce fredda come un coltello: "Ree-spin-gere!";
e sulle panche del pubblico talvolta gridano: "Vergogna!"
– e le nere figure delle guardie allora corrono per l'aula – ma
questi due si guardano ininterrottamente attraverso tre vetri
statali e 20 metri di aria giudiziaria e in un qualche momento
capisco che questa conversazione senza suoni di due persone separate
è troppo importante per loro perché possa osservarla un qualche
estraneo. E distolgo lo sguardo.
Il processo continua e va avanti, tre giorni alla
settimana, nella sezione d'appello del Tribunale Cittadino di Mosca,
al sesto piano, in una grande aula solenne, rivestita di pannelli
marroni, con appesi i ritratti di famosi avvocati e filosofi, che
hanno predicato tutti la verità e la giustizia, nello splendore di
nove lampadari con otto lampade ciascuno, sotto un alto soffitto
bianco. Là c'è anche un'ampia galleria per la stampa, ma
preferisco sedere in aula. Continua questo processo a innocenti, che
non hanno fatto niente di male, che sono andati a una manifestazione
pacifica e autorizzata, sul cui destino l'avvocato Paškov
dice: "Alla manifestazione sei finito nel campo visivo della
telecamera – vuol dire che sei colpevole. E' una roulette russa".
Continua questo processo, il più chiaro e netto di tutta la serie di processi e procedimenti, perché i prigionieri di piazza Bolotnaja non si possono incriminare per aver rubato milioni [8]; è impossibile accusarli di macchinazioni e affari economici illeciti; non si può macchiarli con sospetti di corruzione o bustarelle. E' un processo a persone innocenti nella sua forma più pura ed evidente.
Nella piccola aiola davanti al Tribunale Cittadino
di Mosca, dove ci sono una fontana, una panchina e una poetica
figura di ragazza volante sta una persona con l'aspetto di un
vecchio beatnik di un romanzo di Kerouac. Ha lunghi capelli grigi e
barba grigia, ha un cappello da baseball e un cartello sul petto e
sul suo cartone questo beatnik moscovita descrive precisamente con
parole scritte a mano lo status dei 12 imputati: "Vittime
rituali del regime".
Aleksej Polikovskij, "Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/politics/59261.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1]
"Del Pantano". Piazza del centro di Mosca, teatro delle
principali manifestazioni dell'opposizione.
[2]
Fëdor Nikiforovič Plevako, giurista progressista russo del XIX-XX
secolo.
[3]
Ospedale di Mosca per le malattie degli occhi intitolato al medico
tedesco Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz.
[4]
Centro di Mosca per le malattie degli occhi intitolato
all'oftalmologo russo Svjatoslav Nikolaevič Fëdorov.
[5]
Anatolij Fëdorovič Koni, giurista progressista russo del XIX-XX
secolo.
[6]
Nikolaj Ivanovič Ežov, capo della polizia politica al tempo delle
purghe staliniane.
[7]
Sledstvennyj IZOljator
(Isolatore di Custodia Cautelare).
[8]
Un milione di rubli equivale a circa 23 mila euro.
[9]
Qualcosa come "Ispettorato Russo dei Consumatori", nome
colloquiale del "Servizio Federale per l'Ispettorato nella Sfera
della Difesa dei Consumatori e del Benessere della Persona".
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