"Novaja
gazeta", 05-11-2013, 13.10.00
La marcia dei bambini abbandonati
Non
hanno niente, tranne la nazionalità e l'odio. Questo è l'unica cosa
che li unisce. Per questo sono qui
Il
ragazzo che sta al centro con l'insegna di Cristo si chiama Dmitrij
Antonov. Ha le guance rosse, un'uniforme nera cinta con cinghie,
stivali e un caffettano su cui brilla opaco un teschio argentato.
Sulla fibbia di una larga cinghia da ufficiale c'è un' aquila
bicefala. Su un lato del petto nero un segno ampolloso con il profilo
di Nicola II, sull'altro un segno con il profilo di Tal'kov. Questo
ragazzo, che sta a capo della marcia, è tanto pittoresco che attira
continuamente a se le telecamere. E' un monarchico e sa con
precisione che la monarchia tornerà in Russia. "La Russia per i
russi… Siamo contro la gente di altra stirpe e di altra fede",
– dice.
"E i baschiri e i tatari… che fare con loro?" – "Dio darà! Dio darà!" – promette, guardando chi gli ha posto la domanda con pura, indubbia e infantile serietà nello sguardo.
Davanti
alla colonna, che ancora non si è messa in moto, a gambe divaricate
stanno alcuni agenti dell'OMON [3]
grossi e larghi come armadi in tuta mimetica grigio-azzurra. Guardano
la folla che si infuria, che lancia urla, che impreca, che grida a
squarciagola in silenzio e con qualcosa negli occhi… che, per
quanto strano, ricorda l'umorismo. All'improvviso a uno di loro freme
la radio: "Pečora [4]-2!
Per via Belorečenskaja
[5] è passato un gruppo
di adolescenti di trenta persone…" Frinisce in cielo un mio
vecchio conoscente, un elicottero della polizia. Tra gli agenti
dell'OMON e la colonna, nello spazio vuoto, circondato da un gruppo
di compagni sta il nazionalista Dëmuškin.
E' in camicia bianca come neve e giacca nera su un giubbotto nero con
un'ampia cravatta arancione. Intuisco che così ha unito nel suo
abito i colori della bandiera imperiale. La barbetta rossa sporge dal
suo mento e questi parla con voce non forte, chiara e pulita e
pronuncia male la "r" e la "l". Parla del fatto
che stamattina lo FSB [6]
ha attaccato un magazzino dei nazionalisti, dove questi conservavano
striscioni, pannelli e cartelli preparati per la marcia. "Hanno
fatto stendere le guardie sul pavimento, hanno versato vernice su
tutti i nostri striscioni…" I suoi compagni – tutti
esclusivamente in nero – ascoltano in silenzio le notizie dal
fronte.
Gridano
forte perfino per una marcia, dove nessuno parla piano, al limite
della perdita della voce, facendo risuonare l'aria di grida,
facendola a brandelli, vicino all'isteria. Naval'nyj non c'è, ma non
ha importanza perché qualcuno lo sostituisce con successo, gridando
con intonazione selvaggia, schiacciante: "Noi siamo il potere
qui!" Le colonne divise in reparti vanno davanti agli abitanti
del luogo che stanno presso le barriere e guardano con curiosità e
senza pausa e senza stanchezza gridano furiosamente che sono russi.
"Chi siamo? – Russi! Ai russi il potere russo! La Russia per i
russi! Abolire il due-otto-due [8]!
Russi, avanti!" E perfino "Mantieni il sangue puro!".
In che senso? Nel senso di non amare le ragazze di altre etnie? Non innamorarsi di persone giovani senza chiedergli il quinto punto [9]? Ma non potete andare a quel paese con il vostro sesso fascista razzialmente corretto, ragazzi?
E
come da se, con la graduale evidenza di una malattia, sorge qui e là
in queste colonne accalorate il tema ebraico. "In primo luogo,
bisogna distinguere chi è ebreo e chi non è ebreo…" –
sento il colloquio di un uomo e una donna vicino a me. Gli eterni
sforzi e l'eterna paura del nazionalista russo, cosparso di pulci di
antisemitismo: non si può riconoscere subito se qualcuno è ebreo!
Ah, cosa sarà allora! In queste conversazioni si sente odore di noia
putrida e cetrioli inaciditi.
Povero
Dio! Quanti pazzi, furiosi, malati se lo sono già designato come
capo e hanno annunciato che è con loro. Quante volte hanno già
deciso per lui e si sono sbagliati. Dio, gridavano, è con noi nelle
colonne dei crociati, nelle fila dei carnefici che bruciavano
l'eresia albigese, nei silenziosi uffici dei burocrati zaristi, che
inflessibilmente hanno portato il paese alla rovina, nei cortei degli
assalitori con le fiaccole, nelle folle accalorate del pogrom di
Kišinëv [11]. Ma non è
mai stato là con loro. E ora non è qui con loro. Dio se l'è
svignata, non sopporta più i nazionalisti di tutti i popoli della
Terra, che lo fanno a pezzi, se n'è andato lontano spaventato,
colpito duramente da questa follia che si affretta sempre più, che
cresce sempre più e si è nascosto da qualche parte nelle profondità
del suo Universo da questi adolescenti aggressivi e imprecanti, da
questi uomini adulti con volti dall'insopportabile serietà, offesi
dal potere, dalla vita e dal destino, rapinati dal mondo degli
affari, privati di speranza. E allora una volta all'anno giungono a
Ljublino, stringono i pugni e gridano: "La Russia per i russi!
Ai russi il potere russo!"
Ma
che altro possono gridare? Non hanno più nulla, tranne la
nazionalità. Tutto il resto gliel'hanno tolto. Non hanno sindacati,
nel paese non ci sono sindacati. Non hanno partiti, dov'è il partito
della persona che lavora? Non hanno soldi, li ha presi tutti per se
Abramovič. Non brillano
per istruzione, la carriera – non fatemi ridere, quale carriera? E
i loro figli l'Al'fa-Bank non li manderà a studiare in America.
L'opposizione li disgusta perché a capo di essa ci sono un ex
ministro del governo di El'cin [12]
e uno scrittore alla moda che invia lettere istruttive dalla Provenza
[13] e un operatore delle
tangenti di Skolkovo [14]
e gente simile. Beh, dovrebbero seguire Sobčak
[15] e ascoltare i
commentatori di "Ėcho
Moskvy" [16]? Per
questo sono qui e per questo hanno volti oscuri, pesanti, cupi e
molto cattivi, come non li vedi mai in piazza Bolotnaja [17],
ma che qui sono così tanti sotto la pioggia tra le stazioni del
metrò "Ljublino" e "Bratislavskaja" [18].
So
che le parolacce sulla stampa sono proibite e io senza divieti
legislativi me la sono cavata senza parolacce. Ma qui, a questa
marcia e in questo testo, le parolacce sono naturali e necessarie
come precisa espressione dell'odio e di quella coscienza da fronte
con cui vivono migliaia di migliaia di abitanti delle periferie con
le finestre sul mercato delle verdure. Queste parolacce sono
necessarie per esprimere la paura che prende l'autista moscovita
quando da una BMW nera si gettano su di lui dei cavalieri caucasici
con mazze e coltelli. A dire il vero, anche alla "Marcia Russa"
si sono trovate persone che hanno espresso questo con parole colte su
un cartello accurato: "Il crimine ha un'etnia!" – ma gli
altri non li hanno sostenuti. Gli altri gridavano con un qualche
malvagio e perfino gioioso odio: "F... il Caucaso!" e poi
per tutta la strada per la via stretta tra due cordoni di polizia
cantavano un inno fatto in casa: "E beh, e beh, andate a c...
via da qui [20]! La Russia
per i russi, Mosca per i moscoviti!" E stranamente in questa
folla, che evidentemente non si distingue per amore per i libri, su
un cartello sollevato ho visto il volto del generale Ermolov e i suoi
famosi favoriti che si allargano in basso.
L'eroe
della battaglia di Borodino, l'amico dei decabristi Aleksej Petrovič
Ermolov fu un Cesare irrealizzato e il realizzato pacificatore del
Caucaso. Bruciava i villaggi. Ma era una guerra lontana da Mosca, di
cui i mercanti moscoviti venivano a sapere dalle lettere e dai
racconti degli ufficiali ritornati. E qui va una colonna di moscoviti
con un enorme cartello grigio-azzurro su cui a lettere nere è
scritta una parola: Birjulëvo
[21]. Vanno uomini oscuri
con i cappucci sollevati, con scarpe da ginnastica sporche, che sanno
che non c'è polizia, né tribunale e che nel caso che succeda
qualcosa toccherà sistemare da soli. E poi, con le parole di "Ėcho
grjaduščej vojny" [22],
la serie: "Pugačëv
[23], Rostov [24],
Sagra [25], Manežka
[26], Kondopoga [27]".
Tutto
si mischia in questa folla non grande, ma molto rumorosa, che marcia
sotto la pioggia incipiente al grido: "Gloria alla Russia!"
Alla marcia ci sono molti adolescenti e giovani, vanno i figli delle
periferie, i fumatori dietro i garage, le compagnie sui tubi delle
centrali termiche, che si uniscono strettamente in stormi e mucchi
nei loro quartieri depressi senza lampioni. Portano davanti a loro
uno striscione rosso corto e alto, su cui con enormi lettere è
scritta una sola parola "Russi" e sopra questa striscia
rossa, che brilla nettamente nella pioggerella grigia, gettano
improvvisamente le braccia inclinate verso l'alto, facendo il saluto
nazista. Uno, a sinistra, ha i capelli sporchi con la divisa e la
bocca sdentata, in cui non c'è un dente e fa il saluto, fa il saluto
in estasi, allarga un sorriso e di nuovo fa il saluto.
Nell'aria
umida di novembre e nella nuvola di tag di questa marcia girano
parole e concetti incompatibili. Uomini con camicie con le cuciture e
stivali lustrati, che rappresentano qui l'Ochotnyj Rjad [31]
che è passato e cerca di rinascere, che una volta andava a picchiare
gli studenti, passano al suono di un'orchestra di nove musicisti con
giubbottini bianchi con i cappucci (sette strumenti a fiato, due a
percussione), che eseguono la marcia sovietica "My roždeny,
čtob skazku sdelat' byl'ju" [32]. Al suono di "Katjuša"
[33] ragazzi cattivi, che
ostentano la loro forza oscura scandiscono ridendo: "Agli alberi
al posto delle foglie appenderemo i comunisti!" Cristo qui è
vicino a Tal'kov, gli antisemiti adorano l'ebreo Gesù, al grido
"Svobodu!" rispondono "Slava rodu!" [34]
e le richieste di uno stipendio europeo e di democrazia si
accompagnano alla richiesta di un sistema di potere a proporzione
etnica. Un ragazzo piccolo con le mani sporche porta sopra di se una
targhetta, presentandosi come membro del gruppo "Wotan Jugend"
e un altro, ancora più piccolo di questo, va con un pallone giallo
sotto l'ascella e una sciarpa dello Spartak al collo. Sulla sciarpa
ha attaccato un teschio nero. E un altro tifoso proprio in mezzo alla
bandiera imperiale ha incollato lo stemma del CSKA. Oh, povera
vittima del sistema dell'istruzione, persona cresciuta in un paese di
cassonetti e immondezzai, chi potrebbe raccontarti di Bobrov [35],
di Netto [36] e che gridi
invano in modo lacerante "La Russia per i russi!", anche
perché il generale Bagration [37]
era georgiano, il maggiore Cezar' Kunikov [38]
ebreo e che la bandiera imperiale russa che porti fu inventata da un
barone tedesco [39]…
E in tutta questa confusione, in tutta questa poltiglia di concezioni, nel ghigno e nel riso, nei richiami e nelle grida all'improvviso arriva galleggiando con lo stesso passo una colonna ben compatta di giovani fascisti, a capo dei quali va a schiena avanti un ragazzo alto e grida al megafono con affettazione, prolungando apposta la "a": "Na-cional'nyj sa-cializm! Na-cional'nyj sa-cializm!" [40]
Il
rettangolo della colonna è impavesato di striscioni da tutti i lati:
accanto a me si muove il quadro di un eroe nordico con un ascia in
mano, nuotano due oscuri musi di skinheads a me ignoti con occhiali
neri con la scritta "heroes forever", ma ciò non ha
importanza. L'importante è l'autodenominazione a lettere enormi
"Nazional-socialismo", il numero 88 e il beffardo "A
ciascuno il suo" scritto sotto di esso, tolto dalle porte di
Buchenwald e trascinato qua, in una via di Mosca, nella nostra vita
tormentata e dissanguata da quella guerra, verso i nostri cimiteri,
in cui ancora stanno piccole piramidi con piccoli caccia YAK-3
scrostati e ritratti ovali grigi di giovani aviatori.
L'OMON
attacca i fascisti di fianco partendo dai suoi autobus. Là ce n'è
un intero parco, in essi si può mettere un esercito. In un giorno di
maggio ho visto come stavano in piazza Bolotnaja, intrecciando le
mani, ragazzini e ragazzine di aspetto intellettuale, artistico e
niente affatto brutale, ho visto come hanno resistito due ore sotto
gli attacchi dell'OMON senza farsi scacciare e trascinare, semplici
moscoviti con volti da operatori di ufficio e capelli lunghi da
boheme, ma questi, con spaventose maschere nere con fessure strette,
appena gridato solennemente scemenze fasciste, non resistono neanche
qualche secondo. La loro colonna cessa di esistere, si sfascia,
singoli tipi si spezzano con orrore a destra e a manca e intorno
inizia il panico. E' un momento molto spiacevole quando centinaia di
persone che andavano ordinate davanti a te si trasformano
all'improvviso e con volti deformati si danno a correre a gambe
levate proprio verso di te, minacciando di abbatterti e calpestarti.
E non c'è dove nascondersi. Qualche minuto dopo si ristabilisce la
tranquillità e la marcia scorre tranquilla accanto a tre agenti
dell'OMON congelati nell'immobilità, uno dei quali mi colpisce per
lo spazio di un metro e mezzo tra le spalle e per tre sodi accumuli
di grasso sulla nuca rasata. Ha un berretto. Alle sue spalle cartelli
e striscioni fascisti rosso-neri sgualciti, rotti, calpestati e
strappati cadono nell'acqua e nel fango.
E
dietro a tutti, dietro a queste colonne urlanti, rumorose, imprecanti
e già fradicie sotto la pioggia che aumentava sempre, affrettandosi
appena dietro a loro, si trascinava su gambe mezze curve, mezze
piegate un uomo grosso e grasso con un giubbotto caldo aperto sul
corpo sudato, con un cappello assurdo con i paraorecchi penzolanti e
grandi scarponcelli marroni. Un fenomeno più strano alla marcia dei
nazionalisti sarebbe difficile immaginarselo. Al collo dell'uomo, che
in generale aveva un aspetto assai logoro, brillavano orgogliosamente
i colori bianco-verdi puliti della sciarpa di "Jabloko"
[41]. Era l'unico membro
del partito "Jabloko" alla marcia russa. Gli ho chiesto da
dove venisse e mi ha detto che veniva dalle parti di Tula [42]
e fiducioso come un abitante di una piccola cittadina con un altro
come lui [43], ha
raccontato della sua lotta nelle commissioni elettorali per le
elezioni oneste. E di come lo hanno preso di peso e portato via e
l'hanno tenuto in una stanza fredda e di come ha comunque lottato con
loro. Ha detto precisamente, con le date, quando e a quali elezioni
ha votato per Javlinskij, ma più delle parole era importante il
sospiro con cui accompagnava queste parole. Non era una lamentela.
Non si è lamentato. Ma è difficile, difficile, infinitamente
difficile essere una persona onesta e democratica nella provincia
profonda, in una piccola cittadina presso Tula!
Dietro
a lui, chiudendo la "Marcia Russa", circondando la strada
con il loro rado cordone, andavano delle ragazze della polizia in
tuta mimetica grigio-azzurra con dei cani al guinzaglio. La pioggia
aveva già allagato il lastrico, andavo sull'acqua senza scegliere un
percorso perché comunque ero già del tutto fradicio da parte a
parte. E anche il mio interlocutore. La folta pelliccia dei cani
pastore si era infradiciata, si era appesantita, stava giù, le code
si abbassavano a terra, i cani si curvavano per via e mi facevano
pena. E dietro alle ragazze con i cani andavano lentamente in fila
gli autobus bianco-azzurri della polizia.
Ho
cercato comunque di capire perché questi sia andato alla "Marcia
Russa". Nessuno del suo partito c'è andato, ma questi c'è
andato. "Faccio un po' di propaganda", – mi ha detto in
risposta questo strambo coraggioso e strano russo e sulla sua schiena
pendeva, appeso a cordicelle un cartello artigianale "Libertà
per i 26 prigionieri di piazza Bolotnaja!".
[1]
Manifestazione nazionalista che si tiene in occasione della festa
nazionale del 4 novembre (commemorazione della cacciata da Mosca dei
polacchi, che volevano insediare il loro candidato sul trono russo
vacante, nel 1612).
[2]
Igor' Vladimirovič Tal'kov, cantante russo ucciso dietro le quinte
di un concerto in circostanze non ben chiarite.
[3]
Otrjad Milicii Osobogo Naznačenija (Reparto
di Polizia con Compiti Speciali), sorta di Celere russa nota per la
sua brutalità.
[4]
Fiume della Russia settentrionale
[5]
"Di Belorečensk (città della Russia meridionale", via
della periferia sud-orientale di Mosca.
[6]
Federal'naja Služba Bezopasnosti
(Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto
russo.
[7]
Antica svastica slava.
[8]
L'articolo 282 del Codice Penale, che punisce l'incitazione alla
violenza su base discriminatoria.
[9]
Quello in cui nei documenti ufficiali è indicata l'etnia.
[10]
Anatolij Borisovič Čubajs, ministro dell'Economia al tempo di
El'cin.
[11]
Devastante pogrom del 1903 nell'attuale Chişinău, capitale della
Moldavia.
[12]
L'ex vice-premier Boris Efimovič Nemcov, co-presidente del Partito
Repubblicano di Russia – Partito di Libertà Popolare.
[13]
Lo scrittore e leader del Partito Nazional-Bolscevico Ėduard Limonov
(pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko).
[14]
Žores Ivanovič Alfërov, fisico e uomo politico comunista,
presidente del centro scientifico per l'innovazione di Skolkovo
(quartiere della periferia sud-occidentale di Mosca).
[15]
Ksenija Anatol'evna Sobčak, figlia del sindaco perestroikista di
Leningrado Anatolij Aleksandrovič Sobčak, giornalista televisiva e
membro dell'opposizione.
[16]
"Eco di Mosca", radio indipendente.
[17]
"Del Pantano" (che c'era un tempo), piazza del centro di
Mosca, teatro di manifestazioni dell'opposizione.
[18]
"Di Bratislava" (dal nome della via in cui si trova).
[19]
Cekisti erano detti gli agenti della Čė-Ka,
cioè ČK (Črezvyčajnaja Komissija po bor'be s
kontrrevoljucej i sabotažem –
Commissione Straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al
sabotaggio), la prima polizia politica sovietica e per estensione
sono detti così gli agenti segreti.
[20]
"Inno" che riprende la canzone Idëm, idëm,
vesëlye podrugi! (Andiamo,
andiamo, allegre amiche) del 1937.
[21]
Quartiere della periferia sud-occidentale di Mosca recentemente
teatro di un pogrom contro gli immigrati.
[22]
"Eco della futura guerra", canzone del gruppo metal
neonazista M8L8TH (qualcosa come "martello", in russo molot
– 8 sta per "h", ottava lettera dell'alfabeto latino,
come dire HH, come dire "Heil Hitler").
[23]
Città della Russia centro-meridionale che porta il nome del
rivoltoso del XVIII secolo Emel'jan Ivanovič Pugačëv, teatro di
scontri tra nazionalisti e caucasici.
[24]
Rostov sul Don, città della Russia meridionale teatro di violente
manifestazioni nazionaliste dopo l'uccisione di uno studente russo.
[25]
Centro abitato ai piedi degli Urali teatro di scontri sanguinosi tra
nazionalisti e caucasici.
[26]
Nome colloquiale della Piazza del Maneggio, non lontana dalla Piazza
Rossa, teatro di scontri tra nazionalisti e caucasici dopo
l'uccisione di un tifoso dello Spartak. Il corsivo è mio.
[27]
Città della Carelia teatro di scontri tra nazionalisti e profughi
ceceni.
[28]
Saluto pasquale dei fedeli ortodossi.
[29]
Generale cosacco.
[30]
Konstantin Petrovič Pobedonoscev, consigliere reazionario degli zar
degli ultimi anni del XIX secolo.
[31]
Qualcosa come "Fila della Caccia", via di Mosca che fungeva
da mercato.
[32]
"Siamo nati per rendere la fiaba realtà".
[33]
Canzone sovietica, sulla cui aria si canta il canto partigiano
"Fischia il vento".
[34]
Svobodu significa
"libertà" e slava rodu
"gloria alla stirpe".
[35]
Vsevolod Michajlovič Bobrov, calciatore e hockeista di origine
ebraica.
[36]
Igor' Aleksandrovič Netto, grande calciatore russo di origine
estone.
[37]
Pëtr Ivanovič Bagration, generale morto nella battaglia di
Borodino.
[38]
Cezar' L'vovič Kunikov, eroe della II guerra mondiale.
[39]
L'araldista Bernhard Karl von Koehne, russificato come Berngard
(Boris) Vasil'evič Këne.
[40]
"Socialismo nazionale". Socialismo si scrive socialìzm,
ma in russo le "o" non accentate si pronunciano come "a".
[41]
"Mela", partito di orientamento liberale, il cui nome
prende spunto dalle iniziali Ja-B-L dei cognomi dei fondatori
Grigorij Alekseevič Javlinskij, Jurij Jur'evič Boldyrev e Vladimir
Petrovič Lukin.
[42]
Città della Russia centro-settentrionale.
[43]
L'autore dell'articolo, il giornalista e scrittore Aleksej
Michajlovič Polikovskij mi risulta però essere moscovita...
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