"Novaja
gazeta", 18-10-2013, 15.05.00
Lenin è morto, Mussolini è vivo
La
scomparsa di Vladimir Il'ič
dalla memoria nazionale è un brutto sintomo
Non avete cominciato a riflettere, ma sostanzialmente dov'è scomparso Vladimir Il'ič? Nella Russia dominata dai dibattiti storici, che finora non si è orientata nel proprio "imprevedibile passato" [1], silenziosamente e senza farsi notare se n'è andato nella periferia della coscienza storica della società il creatore della maggiore rottura nella storia moderna del paese. No, certo, per i sostenitori della dottrina comunista e per i suoi più furiosi avversari Lenin resta un simbolo, in un caso luminoso e positivo, nell'altro esattamente il contrario. Ma attuale [2] la guida della "rivoluzione degli operai e dei contadini", come pure dell'"usurpazione del potere da parte dei bolscevichi" non è più.
Anche
se Lenin, secondo gli esiti di un recente sondaggio, è entrato nel
numero dei leader del XX secolo più letti dai russi, ciò è
accaduto piuttosto per forza d'inerzia. Alla fin fine, quasi tutti
abbiamo studiato nelle scuole sovietiche e, riflettendo sulla storia
non possiamo passare oltre Lenin: questi è come una delle figure
totemiche dell'infanzia sovietica. Un altro "nonno dalla furba
strizzata d'occhi", da qualche parte accanto a Nonno Gelo [3]
e Nonno Mazaj [4].
L'inattualità
di Lenin è ancor più stupefacente alla luce del fatto che la
politicizzazione della società russa negli ultimi due anni cresce
con evidenza. E Lenin, probabilmente, è il politico russo di maggior
talento degli ultimi 100 anni, se non di più. Portare al potere in
pochi mesi in un paese enorme un partito che – nella situazione
della primavera 1917, quando la sua guida tornò dall'estero – era
ancora abbastanza marginale. Mantenere il potere, vincendo una
colossale Guerra Civile. Compiere una serie di manovre politiche
rischiose, ma alla fin fine fortunate (il Trattato di Brest-Litovsk
[5], la NĖP
[6]), che portarono al
consolidamento della signoria bolscevica. Riuscire quasi a esportare
la rivoluzione in Europa (la disfatta dell'Armata Rossa presso
Varsavia è forse il maggiore insuccesso di Lenin, ma nei decisivi
giorni estivi del 1920 tutto là era appeso a un capello e poteva
finire in qualsiasi modo). La lista è tanto imponente che di
qualcosa di simile – astraiamoci dalle valutazioni morali – nello
scorso secolo in Europa poté vantarsi forse solo Hitler. Ma per
quello tutto finì com'è noto, mentre per Il'ič
del tutto felicemente: diventò il padre fondatore di un imperio se
non millenario, comunque di 70 anni, anche se non vide la rivoluzione
mondiale. In questo senso più fortunato di Lenin fu solo Mao: il suo
impero, anche se in qualche grado mutato, è ancora vivo.
Forse
nella parola "rivoluzione" sta anche l'enigma dell'attuale
atteggiamento dei russi verso Il'ič.
Lenin fu non solo l'incarnazione, ma anche il domatore della
rivoluzione. Cavalcò la rivolta russa iniziata nel febbraio 1917
nelle file per il pane di Pietrogrado [7]
e la portò al risultato che fu, dal suo punto di vista, ottimale.
Tra l'altro i bolscevichi usarono la sete spontanea di giustizia
sociale che aveva preso gli "strati bassi" russi e la
misero al proprio servizio. E' necessario notare un altro loro
originale successo: la Russia fu l'unico paese d'Europa, dove, nello
scontro del socialismo con il nazionalismo caratteristico dell'inizio
del ХХ secolo, uscì vincitore il socialismo – a dire il vero
molto originale, come pure lo stesso paese in cui vinse.
Non si può dire che la giustizia sociale e la rivoluzione siano concetti del tutto estranei alla Russia attuale. Sì, non ci sono più file per il pane, ma ci sono altre disgrazie e altre non meno acute manifestazioni di ingiustizia. Tuttavia finora non si osserva una rivoluzionarietà di massa.
Le
azioni politiche di protesta si svolgono in modo ostentatamente
pacifico (la piazza Bolotnaja [8]
il 6 maggio dello scorso anno è una mosca cinicamente gonfiata dalle
autorità fino alle dimensioni di un elefante). Laddove la violenza
comunque avviene, come giorni fa a Birjulëvo
[9], sfocia in pogrom. E
non è necessario essere Lenin per capire quanto è diverso un pogrom
dalla rivoluzione. Il primo scoppia rapidamente, non ha leader
evidenti, né scopi politici indicati con precisione. Con la seconda
è tutto il contrario e può durare anni. In Russia sono comparsi non
pochi autori di pogrom, ma finora ci sono ben pochi rivoluzionari. Il
modo di parlare di Naval'nyj [10],
al momento attuale la più chiara figura dell'opposizione, dopo le
elezioni di Mosca è l'apoteosi della non rivoluzionarietà, della
riluttanza a uscire dall'ambito delle regole del gioco stabilite dal
potere, anche se sembrano scandalosamente ingiuste. Naval'nyj è un
democratico parlamentare pronto in un paese dove finora non c'è una
democrazia parlamentare. Lenin non lo approverebbe e lo iscriverebbe
tra i "borghesi da compromesso" (cosa che, peraltro, fa
anche Limonov [11],
diventando una sfortunata parodia di Lenin).
L'attuale
situazione è ingannevole in quanto non trasparente. Finora è
impossibile capire se sia conseguenza della paura delle rivoluzioni.
Se così fosse, significherebbe che si sono tratte lezioni dalla
storia e che la società ha raggiunto una determinata maturità. Ma
c'è anche un'altra possibilità: l'attuale situazione è
semplicemente il risultato del fatto che al momento attuale "ci
sono pochi veri rivoltosi" [12].
Se compariranno, ci sarà anche la rivoluzione. Una cosa è chiara: a
differenza del 1917, al centro delle attuali discussioni russe i
problemi nazionali ci sono in grado assai maggiore di quelli sociali.
(Anche se i primi in realtà sono conseguenza dei secondi.) Lenin con
il suo internazionalismo del tutto sincero, a differenza di quello di
Putin, in questa situazione non sarebbe a suo agio. Negli immigrati
vedrebbe prima di tutto degli sfruttati e non degli elementi nemici
di un'altra stirpe.
Però,
forse, molto a suo agio si troverebbe un altro politico di talento,
capace di abbinare ciò che sembrerebbe incompatibile – l'odio da
pogrom, l'acceso orgoglio nazionale, la sete di giustizia sociale, la
duratura energia della rivoluzione e il rispetto formale per le
istituzioni statali. Lo fece ancora durante la vita di Lenin,
nell'ottobre 1922, indirizzando una folla di sostenitori in camicia
nera verso la capitale del proprio paese e spaventando a morte il re,
che si affrettò ad affidargli il potere.
Lenin
è morto, Mussolini è vivo.
[1]
Allusione allo spettacolo dell'attore e scrittore Michail Nikolaevič
Zadornov "Un grande paese con un imprevedibile passato".
[2]
Rilievo grafico dell'autore.
[3]
Sorta di Babbo Natale russo.
[4]
Protagonista del poema "Nonno Mazaj e le lepri" del poeta
progressista del XIX secolo Nikolaj Alekseevič Nekrasov.
[5]
Il trattato che siglava la sconfitta degli Imperi centrali e l'uscita
della Russia dalla Prima Guerra Mondiale.
[6]
Novaja
Ėkonomičeskaja Politika,
il parziale ritorno al capitalismo per rilanciare l'economia del
neonato stato sovietico.
[7]
Nome dato a San Pietroburgo poco prima della Prima Guerra Mondiale.
[8]
"Del Pantano" (quello che c'era prima), piazza del centro
di Mosca.
[9]
Quartiere della zona meridionale di Mosca, dove i nazionalisti hanno
attaccato i commercianti immigrati.
[10]
Aleksej Anatol'evič Naval'nyj, avvocato e blogger.
[11]
Ėduard Limonov (vero nome Ėduard Veniaminovič Savenko), leader del
Partito Nazional-Bolscevico.
[12]
Verso della canzone Pis'mo v redakciju televizionnoj peredači
(Lettera alla redazione di una trasmissione televisiva) del
cantautore sovietico Vladimir Semënovič Vysockij.
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