Gli zeki
[1]
politici non sono scomparsi
dalla Rus' [2]!
Il
giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche in
Russia prepara in modo simbolico la "festività professionale"
dei lavoratori dei SIZO [3]
e delle carceri che si celebra oggi. Tra l'altro le memorie degli
anni tragici, quando nell'ambito del principio di "responsabilità
collettiva" si distruggevano e deportavano interi popoli, classi
e gruppi sociali, sono freschi come prima in Russia nel suo complesso
e nel Caucaso in particolare. E ahimè, il termine "vittime di
repressioni politiche", ora riguarda non solo chi ha sofferto,
per dire convenzionalmente, in epoca sovietica.
Il
giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche in
Russia si è preso a festeggiare ufficialmente prima delle stessa
caduta dell'URSS. Il Soviet Supremo della RSFSR [4]
stabilì questa data nel 1991.
Allora
fu approvata la legge "Sulla riabilitazione delle vittime delle
repressioni politiche" [5],
nel cui preambolo si notava che "negli anni del potere sovietico
milioni di persone furono vittime dell'abuso dello stato totalitario,
furono sottoposti a repressioni per le loro convinzioni politiche e
religiose, per caratteri sociali, etnici e di altro tipo".
In
precedenza, dal 1974, la data del 30 ottobre era festeggiata non
ufficialmente dai dissidenti come giorno del prigioniero politico
dell'URSS, tra l'altro a quel tempo non si trattava tanto dei tempi
di Stalin, quanto della situazione contemporanea. Ha ricordato questo
in un colloquio con "Kavpolit" [6]
il noto attivista per i diritti umani e direttore del programma di
"Memorial" [7]
"Contro la fabbricazione di procedimenti penali sull'estremismo
islamico" Vitalij Ponomarëv.
"I
prigionieri politici facevano scioperi della fame nei lager sovietici
e negli anni della perestrojka tenevano azioni di strada (catene
umane presso l'edificio del KGB con candele accese) e altro", –
racconta.
Secondo
l'attivista per i diritti umani, nella Russia contemporanea le
autorità non riconoscono la presenza di repressioni politiche,
facendo finta che questo termine si riferisca esclusivamente al
passato sovietico.
"Si
capisce che non è così. Ahimè, nel tempo presente si può stilare
una lista molto ampia di vittime di repressioni: da Chodorkovskij,
agli attivisti di "Greenpeace" e agli imputati del "caso
del Pantano" [8] fino
ai musulmani perseguitati per motivi inventati. Ieri a Mosca c'è
stata una conferenza stampa, in cui i rappresentanti delle
organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno divulgato una
lista incompleta che comprende decine di nomi di prigionieri politici
e dei criteri concordati da una serie di organizzazioni non
governative di paesi post-sovietici e dell'Europa dell'Est", –
ha notato Ponomarëv.
A
suo dire, mette particolarmente in guardia l'idea della
"responsabilità collettiva" di questo o quel gruppo della
popolazione, che è incompatibile con le idee della democrazia e
dello stato di diritto.
"Anche
se la società è diventata di principio un'altra rispetto ai tempi
del governo comunista, ora in Russia si notano tendenze pericolose,
lo stato si mette sempre più sulla strada delle repressioni
politiche, la situazione peggiora precipitosamente e letteralmente a
vista d'occhio. E comunque ogni tempo ha il suo specifico,
difficilmente ci si poteva attendere un prestito diretto dei metodi
di epoca staliniana", – riassume Vitalij Ponomarëv.
Con
l'esperto di "Memorial" di Mosca è d'accordo il suo
collega dell'Inguscezia, il capo dell'organizzazione per la difesa
dei diritti umani "MAŠR"
[9] Magomed Mucol'gov.
"Certo,
il giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche non
viene dimenticato e non dev'essere dimenticato da tutti gli abitanti
della Russia. Noi ingusci, come noto, fummo tutti esiliati nel 1944.
Mio padre rimase orfano. Al tempo dell'esilio perse non solo i
genitori, ma anche le sorelle. In tutto il mio popolo perse fino al
40% del suo numero. Così in non piccolo grado soffrirono anche altri
popoli dell'URSS di allora. Una cosa del genere non si dimentica e
dobbiamo ricordarla, – ritiene. – Tuttavia, anche applicato
all'attuale situazione in Russia il termine "repressioni
politiche", purtroppo, conserva la sua attualità. Sì, le
attuali repressioni non sono così massicce, grazie a Dio. Ora non è
il '37 e non è il '44. Ma, non di meno, vediamo che la persecuzione
delle persone che non sono d'accordo, che sono all'opposizione ha
luogo nel paese. Molti giornalisti, attivisti della società civile e
oppositori politici del potere hanno sofferto per la loro attività.
E chi nega la presenza di repressioni politiche è un ipocrita e un
bugiardo. Con vari pretesti mettono la gente in carcere, la infornano
nei manicomi. Qualcuno è costretto a fuggire, ma qualcun altro viene
perfino ucciso".
Secondo
Mucol'gov, casi di persecuzione di questo genere si riflettono
negativamente sull'immagine della Russia.
"Tra
l'altro non mi interessa molto il paragone con altri stati, dove,
secondo l'opinione di qualcuno, la situazione dei diritti umani è
peggiore che in Russia. Infatti noi viviamo qui e ci agita la
situazione in Russia, in Inguscezia. E questa non è la migliore",
– ha sottolineato l'attivista per i diritti umani inguscio.
Allo
stesso tempo un attivista sociale balcaro, l'ex capo del villaggio di
Bezengi [10] Muradin
Racahev, pensa che nella Russia contemporanea non si verificheranno
quelle repressioni massicce che ci furono nell'Unione Sovietica
staliniana.
"Anche
se le persecuzioni politiche a livello locale ci sono. Nel Caucaso
compiono questo genere di repressione i "baroni" locali,
corrotti dalla strutture di potere", – ha notato.
Come
ritiene Rachaev, nel ricordare le vittime delle repressioni politiche
e le deportazioni è più importante la questione se siano state
liquidate le conseguenze di quei drammatici avvenimenti.
"Noi
balcari siamo stati privati di parte delle nostre terre, che non ci
hanno restituito fino al momento presente. Non è stata ristabilita
una serie di unità amministrative e di villaggi. Lo stato russo, in
tal modo, non ha potuto finora risolvere alcuni problemi urgenti per
noi, le cui radici risalgono agli anni dell'esilio del nostro
popolo", – ha chiarito Rachaev.
Per
la nota attivista per i diritti umani cecena Cheda Saratova il giorno
della memoria delle vittime delle repressioni politiche è legato in
primo luogo ai ricordi della tragedia del suo popolo e della sua
famiglia. Tra l'altro non solo dei tempi della deportazione e
dell'esilio, ma anche del periodo delle due "campagne cecene".
"Noi
ceceni viviamo dei ricordi delle repressioni e della deportazione.
Prima dell'inizio delle due guerre cecene degli ultimi due decenni
questo avvenimento era la nostra più grande disgrazia. Sia mio
padre, sia la mamma ce lo raccontavano spesso", – dice.
"La
mia mamma il giorno prima della deportazione era stata mandata dalla
sua mamma, mia nonna, dai parenti nel villaggio vicino. Questa scena
struggente di lei rimasta a sedere sulla panchina davanti alla casa
nativa di sua madre, con cui non era destinata a incontrarsi, si è
stampata per sempre nella sua memoria. Sono morti tutti e due i
genitori della mamma, lo stesso per mio padre.
Quando
iniziò la guerra, io, guardando mio padre, capii che questi si
trovava continuamente in un'orribile attesa: non si ripeterà di
nuovo quella tragedia per noi?", – racconta con voce tremante
Cheda Saratova.
A
quanto questa nota, la tragedia contemporanea dei vainachi [11]
si è rivelata più terribile della precedente.
"I
bombardamenti in cui si distruggeva intenzionalmente la popolazione
civile hanno fatto di mio padre, un uomo adulto sano una persona di
nuovo preso da paure infantili", – ha raccontato l'attivista
per i diritti umani cecena.
"La
guerra, anche se in altra forma, nel Caucaso continua. Come prima
migliaia e migliaia di profughi non possono tornare nei luoghi
nativi, che hanno lasciato a causa delle azioni militari degli anni
'90 e 2000. E parte di quelli che sono tornati è costretta a fuggire
di nuovo per via di diversi problemi nella regione", – ha
sottolineato Cheda Saratova.
Rustam
Džalilov,
"Kavkazskaja politika", 31 ottobre 2013,
http://kavpolit.com/ne-perevelis-eshhe-politzeki-na-rusi/
(traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Zeki
erano
detti in gergo i prigionieri del GULag.
[2] Rus' è l'antico
nome della Russia.
[3] Sledstvennye
IZOljatory
(Isolatori di Custodia Cautelare).
[4]
Rossijskaja
Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika
(Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa).
[5] Le leggi russe
sono indicate con il titolo.
[6] "KAVkazskaja
POLITika", il giornale che ha pubblicato questo articolo.
[7] "Memoriale",
associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle
repressioni sovietiche e ancora attiva sul fronte dei diritti umani.
[8] Le persone
arrestate dopo la manifestazione dell'opposizione del 6 maggio 2012
in piazza Bolotnaja ("del Pantano", quello che c'era un
tempo).
[9] "Pace"
in inguscio.
[10] Villaggio della
Kabardino-Balkaria centrale.
[11] Popolo da cui
trarrebbero origine Ceceni e Ingusci.
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