Di Andrea Monda da Il Foglio 21 aprile 2007
Da femminista posso dirti che il problema delle femministe è che molte di loro devono ancora diventare donne "pensanti al femminile", cioè con una propria autonomia di immagini e sensibilità, liberandosi da un modo di pensare tipicamente maschile e rimanendo aperte a un sentire più autentico, personale, profondo". "Ma tu sei femminista?".
La domanda sorge spontanea, visto che sto parlando con una monaca di clausura. In genere questa attività non è cosa semplice, data la vita di silenzio e solitudine a cui sono tenute le monache di clausura, ma è ancora più diffìcile se la monaca in questione è suor Cristiana Dobnen saggista, critica letteraria, traduttrice e filosofa (un breve ma intenso ritratto lo si trova nel bel libro-inchiesta "Clausura" di Espedita Fisher appena pubblicato da Castelvecchi), non è facile trovare un attimo per un colloquio tra un articolo per l'Osservatore Romano, uno per Avvenire e le lezioni di greco-biblico da dare alle novizie. Quando l'ho contattata via mail mi ha detto che lei usa Skype: "E' più rapido di Messenger e della posta elettronica. Ogni tanto c'è qualche intermittenza ma la connessione migliorerà. La mia priora sa che lo uso per lavoro e si fida di me". Ed eccomi qui a parlare con suor Cristiana via Skype, in videoconferenza. Sul monitor mi appare un bel volto di una donna di circa 60 anni incorniciato dal velo carmelitano a sua volta incorniciato dalle cuffie bianche che funzionano da telefono. E' grintosa, suor Cristiana, nel volto e nei ragionamenti, non ci pensa un attimo a dire la sua su Benedetto XVI ("Rispetto al predecessore si è perso qualcosa in comunicatività, d'altra parte ammiro la sua intelligenza, il rigore teologico, la finezza filosofica: avevamo bisogno di tutte queste virtù") e sul femminismo, specie quello italiano: Se si intende femminista chi in Italia a partire dal '68 ha visto e vissuto il femminismo solo come opposizione all'uomo, come libero amore e aborto, allora non sono una femminista. Ma il femminismo non è un atteggiamento di mera rivendicazione. Nel mio saggio 'Fare Diotima fare Teresa?' ho scritto che proprio 'la mia identità di cristiana e carmelitana mi rende possibile affrontare l'identità della donna e il suo luogo nella storia e nella società, sviluppando un discorso per e tralasciando ogni forma di discorso contro' e citavo una bella affermazione della teologa Cettina Militello per cui 'femminista' è chi 'presta attenzione al femminile e alla donna a partire dal suo originario e imprescindibile orizzonte vitale"'.
Le cito Flannery O'Connor che diceva di scrivere "non benché, ma proprio in quanto cattolica" e la Dobner dimostra di conoscere bene la letteratura americana: "Non solo la O'Connor, ma conosco e amo particolarmente Whitman, Carver, Hemingway e poi Emily Dickinson. Quest'ultima è grande e stimolante per una monaca di clausura, anche perché lei si recluse negli ultimi anni della sua vita. Ma forse i suoi erano motivi 'insufficienti'. Noi non siamo 'recluse', non ci consideriamo còsi. Noi non ci mettiamo sotto chiave. Noi vogliamo stare a contatto con una presenza, stare con Qualcuno. Stiamo in un perimetro ma non chiuse dentro il perimetro".
Questa suora femminista: è una sorta di vulcano in eruzione, conoscitrice e traduttrice di una decine di lingue e autrice di diversi saggi l'ultimo dei quali dedicato a Etty Hillesum, "Pagine mistiche", che ha offerto al lettore italiano l'aspetto più squisitamente religioso (ed espunto dalla precedente edizione Adelphi) dei diari della geniale ebrea olandese morta a 29 anni in un campo di concentramento nazista.
"In effetti in Italia la Hillesum è stata in parte censurata - dice - e penso che questo sia accaduto perché non è stata compresa, ma considerata soltanto sotto l'aspetto di una giovane emancipata, mentre era il vuoto che la spingeva a esperienze sessuali continue e diverse che, come ha ammesso lei stessa, l'hanno lacerata e distrutta".
Le chiedo se esiste ancora oggi in Italia uno "steccato", dall'antico sapore risorgimentale, tra cultura laica e cattolica e la vedo annuire attraverso la webcam, anche se la sua risposta scivola ancora sui problemi che vive all'interno della sua esistenza claustrale: "Come mai i libri di autori cristiani come Chesterton o come Santa Teresa si trovano, a Roma, solo dalle parte del Vaticano e non altrove? Perché questo accade? Esigenze di mercato? Impossibilità di veicolare, senza un filtro preciso, testi per certi aspetti 'antichi' o troppo impegnativi? Lo vedo anche con le novizie, se non spiego loro Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, rimangono colpite solo a livello affettivo. Poi, quando scendo a fondo e 'ragiono', motivo e spiego, nasce la vera cattura, la vera fascinazione. C'è bisogno di tempo, molto tempo, se vuoi scendere nel profondo. Il pericolo che io vedo è quello di una persona che viva solo la dimensione della emotività e dell'affettività, e questo non funziona, ci vuole una persona 'integra', capace di vivere, in armonia tra fede e ragione. Una persona che abbia cura del suo cuore, e uso questo termine nel senso biblico, cioè della totalità della persona. Penso che abbia davvero ragione Flannery O'Connor quando parlava della pornografia del sentimentalismo, lei lo diceva parlando della letteratura ma è un discorso che fila anche nella vita e nella vita carmelitana. Una persona solo emotiva rimane immatura e impedisce di crescere a tutta la comunità. Una carmelitana deve invece tendere a diventare una persona armonizzata, integra: sentire e volere e intendere tutto insieme".
Le chiedo di parlarmi di lei. "Sono nata a Trieste, sessant'anni fa, da una famiglia mitteleuropea, di origine austriaca, ma proveniente da Praga e dalla Germania, con rami slavi e trisavolo turco. Noi siamo i Dobner, la famiglia che Magris ha definito 'quelli degli orologi' nel suo libro 'La mostra'. Ho una sorella di due anni più piccola, pittrice, ritrattista e docente universitaria al conservatorio, pianista, con tre figli: un primo violinista, un architetto e un filosofo-pianista. Io suono il pianoforte. Da piccola, essendo la prima nipote avevo tutti addosso, nonni, zie e zii che mi hanno fatto leggere molto precocemente: mi ricordo le favole, in tedesco, e poi tutta la letteratura infantile e d'avventura. Scoprii molto presto i classici; mio padre mi leggeva Dickens e in fretta ho imparato a leggere, puntando a farlo nella lingua originale perché volevo assaporare la bellezza originale del testo. In famiglia erano tutti amanti delle lingue straniere e poliglotti e ricordo che fui rimproverata da mio padre che mi aveva visto leggere un autore inglese tradotto".
Il fatto è che la giovane Cristiana ha sempre voluto tenere "più lingue in più scarpe", con due grandi passioni, la classicità e la letteratura russa: "Dopo i classici, Omero, Virgilio, i tragici greci, Shakespeare, Goethe, ma anche Thomas Marni, Isaac Singer e la letteratura jiddish, ho amato molto la letteratura russa. Dostoevsky, Tolstoj... Ricordo molto bene quando lessi 'II dottor Zivago': quando fu stampato ero molto giovane e lo lessi nella splendida melodia della lingua russa. E mi piace anche il cinema russo, in particolare Andrej Tarkovsky, ogni tanto mi sono vista dei film anche all'interno del Carmelo, e poi andavo a suo tempo ai cineforum. Ovviamente Bergman, ma anche qualche italiano, come Olmi e i Taviani, vorrei vedere 'La masseria dell'allodole' perché il romanzo mi è piaciuto molto. Ma anche gli inglesi, il grande Padre Brown di Chesterton".
Ma non c'è contraddizione tra la tua scelta esperienziale e oblativa e la lettura di libri così basati sul puro raziocinio come i gialli della Christie? "Nessuna contraddizione. E' proprio Chesterton con il suo genio a dimostrare la perfetta conciliazione tra fede e ragione. Non si può e non si deve scindere fede e ragione, le due cose vanno coniugate insieme, il 'puro raziocinio' sostiene infatti la scelta di vita. La.fede non è qualcosa di vago ma va pensata, ordinata, purificata, così come la ragione, proprio come ha detto Ratzinger dialogando con Habermas. Non è un caso che nella storia millenaria della chiesa i monasteri siano sempre stati collegati alla cultura e, aggiungo io, alla donna.
Torniamo alla sua vita giovanile: "Mi chiamavano Bucherwurm, verme del libro, in italiano si direbbe 'topo di biblioteca', ma ho avuto anch'io la mia gioventù, molto 'fisica': le mie estati passavano fra lunghe nuotate, escursioni montane e viaggi. Per la musica, sono indecisa tra Mozart e Bach. Il Don Giovanni diretto alla Scala da Muti è sublime. StravinsM, Messiaen e Preisner, e la Gubaidulina come compositrice donna".
Come avvenne la scelta per la vita di clausura? "A ventidue anni mi trovavo a Washington DC a studiare filosofia e lingue con grande interesse per la filosofia pensata 'al femminile' (e con attenzione alla cultura ebraica, uno dei perni del mio pensare e studiare, in particolare la figura Lèvinas) quando la vocazione maturò. Chiesi al mio padre spirituale, un gesuita, e mi consigliò, una volta terminati gli studi, di ritornare in Europa. Torno e a venticinque anni entro al Carmelo di Legnano. Ora invece mi trovo a Concenedo, dove siamo in quindici, tutte italiane, di diversa età, c'è chi ha cinquanta/sessanta anni di Carmelo e chi è entrato da pochi mesi. E io non sono l'unica suora tecnologica, una mia consorella è formidabile con le potenzialità grafiche dell'informatica".
Concenedo è una piccola frazione di Barzio, a mille metri d'altitudine nella Valsassina, in provincia di Lecco, è un luogo squisitamente manzoniano (la famiglia Manzoni proviene proprio da Barzio), ma senza essere la monaca di Monza, suor Cristiana al tempo stesso non mi nasconde una certa durezza nell'impatto con la realtà del Carmelo. "Una durezza non proprio disorientante, ma ri-orientante. Avevo studiato anche in Spagna e avevo letto molto san Giovanni della Croce e santa Teresa d'Avila e quindi in parte sapevo a cosa andavo incontro; però l'impatto fu comunque spiazzante, perché i miei interessi culturali dovettero subire un riorientamento nel senso di un 'congelamento' e il riferimento alla Parola acquisì una dimensione monastica» non più laica. Da quel momento la Parola di Dio è stata sempre al centro della mia vita e della mia vita culturale e tutto ripassa sempre da lì. Questo ho trovato al Carmelo. Non avevo più quindi un rapporto diretto con la cultura dominante ma tutto venne e veniva e viene riassorbito attraverso la Parola. Un versetto biblico esprime meglio quello che voglio dire: Giosuè 1,8 che dice il centro della regola del Carmelo: 'Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, perche tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto'. L'originale ebraico per 'meditare' fa riferimento al tubare della colomba. Io, in quanto carmelitana, medito, tubo con la Bellezza della Parola, e con la Bellezza delle parole del mondo, siano esse musica, letteratura, poesia, pittura... (ricordo quando andavo in tutti i musei di tutte le città che ho visitato, consumando tutto il fondo dei jeans, sedendomi per terra per la stanchezza e per assaporare a lungo qualche opera più significativa). La Bellezza è la parola di Dio, bello è la persona che vive la Parola".
Chiedo a suor Cristiana di commentare la recente omelia "sulle donne" di padre Cantalamessa, il predicatore del Papa, molto apprezzata anche dalla femminista Luisa Muraro. "Bene ha fatto padre Cantalamessa a criticare il femminismo alla Simone De Beauvoir e bene ha fatto la Muraro nell'approva-re tale critica. Del resto non poteva fare diversamente: la Muraro è persona molto aperta e rispettosa, una donna pensante che ha riflettuto a lungo sulla donna nella pratica politica, cioè nella concretezza della storia ed è, soprattutto, una sostenitrice come me della cultura della differenza, per cui ha eliminato il problema dell'opposizione uomo-donna a favore della difesa della identità femminile. In altri modi e momenti la stessa cosa hanno fatto Edith Stein che non opponeva uomo a donna ma li pensava uno di fronte all'altro e Maria Zambrano quando ha parlato di un sapere dell'anima, che realizzasse una conciliazione dei due opposti, il momento poetico e quello filosofico. Purtroppo questa cultura della differenza non è ancora molto conosciuta".
Su questa difficoltà suor Cristiana si mostra un po' preoccupata: "II problema è che ci sono, anche tra le femministe, donne pensanti e donne non pensanti, per usare una terminologia del cardinale Martini che parlava appunto di una distinzione non tra credenti e non credenti ma tra pensanti e non pensanti. Il cardinale voleva sottolineare vivono lasciandosi trasportare senza interrogarsi, senza pensare veramente, e così devo constatare che ci sono molte donne, anche tra le femministe, non pensanti. In particolare mi riferisco proprio al fatto della cultura della differenza, un problema spesso disatteso dal molte femministe. Stimo molto persone come la Muraro ma anche come Paola Ricci Sandoni e Lucetta Scaraffia, anche se non so, queste ultime, in quale misura aderiscano effettivamente al pensiero della differenza o sviluppino invece altri percorsi analoghi. Senza dubbio si tratta di donne che pensano e conducono notevoli studi e anche avvicinamenti fra donne per procedere in questo senso". Cosa ne pensa una suora di clausura del Family day? "Il Family day è qualcosa che avviene 'a valle'. Spero non cada nel rischio di limitarsi ad essere una mera parata. Penso che il fondamento di un atteggiamento di attenzione alla famiglia dovrebbe essere più acuto, articolato e profondo. Proprio perché la famiglia è, oggi più che mai, sotto attacco. Mi pare infatti che nella società ci sia una mania, una patologia del sesso; si pensa troppo al sesso, senza pensare alla costruttività dell'amore. Il problema è quindi anche quello dell'educazione dei giovani. Ho letto che ogni diciannove secondi in Internet viene messo on line un clip o video pornografico... Che cosa nasce da una cultura di questo tipo? Il recupero, di valori come pudore, castità, può realizzarsi solo se questi valori vengono vissuti, solo così questi valori vengono riscoperti. Certamente poi si deve anche intervenire sul clima sociale, creando anche ambienti giovani e sani, rispondenti alle esigenze di giovani che vogliano vivere il Vangelo. La situazione del resto è preoccupante: penso ai film, video, cartelloni pubblicitari, tutti degradanti per l'uomo e per la donna, perché finiscono per considerare gli uomini solo come merci. Quindi da una parte occorre un lavoro 'a monte', più capillare, che consiste essenzialmente nel vivere in modo serio e sereno la propria vita personale e familiare, dall'altra anche una pratica altrettanto seria e concreta della vita politica, sociale". Suor Cristiana mi fa un cenno, la discussione è finita, deve andare.
Ringrazio A.N. per questo contributo
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