24 maggio 2007

Cristiana Dobner

La Ragione in clausura : critica letteraria, traduce da 10 lingue, ama Agatha Christie e la cultura della differenza e non sopporta la pornografia del sentimentalismo. Suor Cristiana Dobner

Di Andrea Monda da Il Foglio 21 aprile 2007

Da femminista posso dirti che il pro­blema delle femministe è che mol­te di loro devono ancora diventare don­ne "pensanti al femminile", cioè con una propria autonomia di immagini e sensibilità, liberandosi da un modo di pensare tipicamente maschile e rima­nendo aperte a un sentire più autenti­co, personale, profondo". "Ma tu sei femminista?".

La domanda sorge spontanea, visto che sto parlando con una monaca di clausura. In genere questa attività non è cosa semplice, data la vita di silenzio e solitudine a cui sono tenute le mona­che di clausura, ma è ancora più diffì­cile se la monaca in questione è suor Cristiana Dobnen saggista, critica let­teraria, traduttrice e filosofa (un breve ma intenso ritratto lo si trova nel bel li­bro-inchiesta "Clausura" di Espedita Fisher appena pubblicato da Castelvecchi), non è facile trovare un attimo per un colloquio tra un articolo per l'Osservatore Romano, uno per Avveni­re e le lezioni di greco-biblico da dare alle novizie. Quando l'ho contattata via mail mi ha detto che lei usa Skype: "E' più rapido di Messenger e della posta elettronica. Ogni tanto c'è qualche in­termittenza ma la connessione miglio­rerà. La mia priora sa che lo uso per la­voro e si fida di me". Ed eccomi qui a parlare con suor Cristiana via Skype, in videoconferenza. Sul monitor mi ap­pare un bel volto di una donna di circa 60 anni incorniciato dal velo carmelita­no a sua volta incorniciato dalle cuffie bianche che funzionano da telefono. E' grintosa, suor Cristiana, nel volto e nei ragionamenti, non ci pensa un attimo a dire la sua su Benedetto XVI ("Rispet­to al predecessore si è perso qualcosa in comunicatività, d'altra parte ammi­ro la sua intelligenza, il rigore teologi­co, la finezza filosofica: avevamo biso­gno di tutte queste virtù") e sul femminismo, specie quello italiano: Se si intende femminista chi in Italia a partire dal '68 ha visto e vissuto il femmini­smo solo come opposizione all'uomo, come libero amore e aborto, allora non sono una femminista. Ma il femmini­smo non è un atteggiamento di mera ri­vendicazione. Nel mio saggio 'Fare Diotima fare Teresa?' ho scritto che proprio 'la mia identità di cristiana e carmelitana mi rende possibile affron­tare l'identità della donna e il suo luo­go nella storia e nella società, svilup­pando un discorso per e tralasciando ogni forma di discorso contro' e citavo una bella affermazione della teologa Cettina Militello per cui 'femminista' è chi 'presta attenzione al femminile e alla donna a partire dal suo originario e imprescindibile orizzonte vitale"'.

Le cito Flannery O'Connor che di­ceva di scrivere "non benché, ma proprio in quanto cattolica" e la Dobner dimostra di conoscere bene la lettera­tura americana: "Non solo la O'Con­nor, ma conosco e amo particolarmen­te Whitman, Carver, Hemingway e poi Emily Dickinson. Quest'ultima è gran­de e stimolante per una monaca di clausura, anche perché lei si recluse negli ultimi anni della sua vita. Ma forse i suoi erano motivi 'insufficien­ti'. Noi non siamo 'recluse', non ci con­sideriamo còsi. Noi non ci mettiamo sotto chiave. Noi vogliamo stare a con­tatto con una presenza, stare con Qualcuno. Stiamo in un perimetro ma non chiuse dentro il perimetro".

Questa suora femminista: è una sorta di vulcano in eruzione, conoscitrice e traduttrice di una decine di lingue e au­trice di diversi saggi l'ultimo dei quali dedicato a Etty Hillesum, "Pagine mi­stiche", che ha offerto al lettore italia­no l'aspetto più squisitamente religioso (ed espunto dalla precedente edizione Adelphi) dei diari della geniale ebrea olandese morta a 29 anni in un campo di concentramento nazista.

"In effetti in Italia la Hillesum è sta­ta in parte censurata - dice - e penso che questo sia accaduto perché non è stata compresa, ma considerata soltan­to sotto l'aspetto di una giovane eman­cipata, mentre era il vuoto che la spin­geva a esperienze sessuali continue e diverse che, come ha ammesso lei stes­sa, l'hanno lacerata e distrutta".

Le chiedo se esiste ancora oggi in Ita­lia uno "steccato", dall'antico sapore ri­sorgimentale, tra cultura laica e cattolica e la vedo annuire attraverso la webcam, anche se la sua risposta scivola ancora sui problemi che vive all'inter­no della sua esistenza claustrale: "Co­me mai i libri di autori cristiani come Chesterton o come Santa Teresa si tro­vano, a Roma, solo dalle parte del Vati­cano e non altrove? Perché questo ac­cade? Esigenze di mercato? Impossibi­lità di veicolare, senza un filtro preciso, testi per certi aspetti 'antichi' o troppo impegnativi? Lo vedo anche con le no­vizie, se non spiego loro Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, rimangono col­pite solo a livello affettivo. Poi, quando scendo a fondo e 'ragiono', motivo e spiego, nasce la vera cattura, la vera fa­scinazione. C'è bisogno di tempo, molto tempo, se vuoi scendere nel profondo. Il pericolo che io vedo è quello di una persona che viva solo la dimensione della emotività e dell'affettività, e que­sto non funziona, ci vuole una persona 'integra', capace di vivere, in armonia tra fede e ragione. Una persona che ab­bia cura del suo cuore, e uso questo ter­mine nel senso biblico, cioè della tota­lità della persona. Penso che abbia dav­vero ragione Flannery O'Connor quan­do parlava della pornografia del senti­mentalismo, lei lo diceva parlando del­la letteratura ma è un discorso che fila anche nella vita e nella vita carmelita­na. Una persona solo emotiva rimane immatura e impedisce di crescere a tut­ta la comunità. Una carmelitana deve invece tendere a diventare una perso­na armonizzata, integra: sentire e vole­re e intendere tutto insieme".

Le chiedo di parlarmi di lei. "Sono nata a Trieste, sessant'anni fa, da una famiglia mitteleuropea, di origine au­striaca, ma proveniente da Praga e dal­la Germania, con rami slavi e trisavolo turco. Noi siamo i Dobner, la famiglia che Magris ha definito 'quelli degli oro­logi' nel suo libro 'La mostra'. Ho una sorella di due anni più piccola, pittrice, ritrattista e docente universitaria al conservatorio, pianista, con tre figli: un primo violinista, un architetto e un filo­sofo-pianista. Io suono il pianoforte. Da piccola, essendo la prima nipote avevo tutti addosso, nonni, zie e zii che mi hanno fatto leggere molto precocemen­te: mi ricordo le favole, in tedesco, e poi tutta la letteratura infantile e d'avven­tura. Scoprii molto presto i classici; mio padre mi leggeva Dickens e in fretta ho imparato a leggere, puntando a farlo nella lingua originale perché volevo as­saporare la bellezza originale del testo. In famiglia erano tutti amanti delle lin­gue straniere e poliglotti e ricordo che fui rimproverata da mio padre che mi aveva visto leggere un autore inglese tradotto".

Il fatto è che la giovane Cristiana ha sempre voluto tenere "più lingue in più scarpe", con due grandi passioni, la classicità e la letteratura russa: "Do­po i classici, Omero, Virgilio, i tragici greci, Shakespeare, Goethe, ma anche Thomas Marni, Isaac Singer e la lette­ratura jiddish, ho amato molto la lette­ratura russa. Dostoevsky, Tolstoj... Ri­cordo molto bene quando lessi 'II dottor Zivago': quando fu stampato ero molto giovane e lo lessi nella splendi­da melodia della lingua russa. E mi piace anche il cinema russo, in partico­lare Andrej Tarkovsky, ogni tanto mi sono vista dei film anche all'interno del Carmelo, e poi andavo a suo tempo ai cineforum. Ovviamente Bergman, ma anche qualche italiano, come Olmi e i Taviani, vorrei vedere 'La masseria dell'allodole' perché il romanzo mi è piaciuto molto. Ma anche gli inglesi, il grande Padre Brown di Chesterton".

Ma non c'è contraddizione tra la tua scelta esperienziale e oblativa e la let­tura di libri così basati sul puro razioci­nio come i gialli della Christie? "Nessu­na contraddizione. E' proprio Chester­ton con il suo genio a dimostrare la per­fetta conciliazione tra fede e ragione. Non si può e non si deve scindere fede e ragione, le due cose vanno coniugate insieme, il 'puro raziocinio' sostiene in­fatti la scelta di vita. La.fede non è qualcosa di vago ma va pensata, ordina­ta, purificata, così come la ragione, pro­prio come ha detto Ratzinger dialogan­do con Habermas. Non è un caso che nella storia millenaria della chiesa i monasteri siano sempre stati collegati alla cultura e, aggiungo io, alla donna.

Torniamo alla sua vita giovanile: "Mi chiamavano Bucherwurm, verme del libro, in italiano si direbbe 'topo di biblioteca', ma ho avuto anch'io la mia gioventù, molto 'fisica': le mie estati passavano fra lunghe nuotate, escur­sioni montane e viaggi. Per la musica, sono indecisa tra Mozart e Bach. Il Don Giovanni diretto alla Scala da Mu­ti è sublime. StravinsM, Messiaen e Preisner, e la Gubaidulina come com­positrice donna".

Come avvenne la scelta per la vita di clausura? "A ventidue anni mi trovavo a Washington DC a studiare filosofia e lingue con grande interesse per la filo­sofia pensata 'al femminile' (e con at­tenzione alla cultura ebraica, uno dei perni del mio pensare e studiare, in particolare la figura Lèvinas) quando la vocazione maturò. Chiesi al mio pa­dre spirituale, un gesuita, e mi consi­gliò, una volta terminati gli studi, di ri­tornare in Europa. Torno e a venticin­que anni entro al Carmelo di Legnano. Ora invece mi trovo a Concenedo, dove siamo in quindici, tutte italiane, di di­versa età, c'è chi ha cinquanta/sessan­ta anni di Carmelo e chi è entrato da pochi mesi. E io non sono l'unica suora tecnologica, una mia consorella è for­midabile con le potenzialità grafiche dell'informatica".

Concenedo è una piccola frazione di Barzio, a mille metri d'altitudine nella Valsassina, in provincia di Lecco, è un luogo squisitamente manzoniano (la fa­miglia Manzoni proviene proprio da Barzio), ma senza essere la monaca di Monza, suor Cristiana al tempo stesso non mi nasconde una certa durezza nel­l'impatto con la realtà del Carmelo. "Una durezza non proprio disorientan­te, ma ri-orientante. Avevo studiato an­che in Spagna e avevo letto molto san Giovanni della Croce e santa Teresa d'Avila e quindi in parte sapevo a cosa andavo incontro; però l'impatto fu co­munque spiazzante, perché i miei inte­ressi culturali dovettero subire un rio­rientamento nel senso di un 'congela­mento' e il riferimento alla Parola ac­quisì una dimensione monastica» non più laica. Da quel momento la Parola di Dio è stata sempre al centro della mia vita e della mia vita culturale e tutto ri­passa sempre da lì. Questo ho trovato al Carmelo. Non avevo più quindi un rap­porto diretto con la cultura dominante ma tutto venne e veniva e viene riassor­bito attraverso la Parola. Un versetto biblico esprime meglio quello che vo­glio dire: Giosuè 1,8 che dice il centro della regola del Carmelo: 'Non si allon­tani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, perche tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto'. L'originale ebraico per 'meditare' fa riferimento al tubare del­la colomba. Io, in quanto carmelitana, medito, tubo con la Bellezza della Pa­rola, e con la Bellezza delle parole del mondo, siano esse musica, letteratura, poesia, pittura... (ricordo quando an­davo in tutti i musei di tutte le città che ho visitato, consumando tutto il fondo dei jeans, sedendomi per terra per la stanchezza e per assaporare a lungo qualche opera più significativa). La Bellezza è la parola di Dio, bello è la persona che vive la Parola".

Chiedo a suor Cristiana di commen­tare la recente omelia "sulle donne" di padre Cantalamessa, il predicatore del Papa, molto apprezzata anche dalla femminista Luisa Muraro. "Bene ha fat­to padre Cantalamessa a criticare il femminismo alla Simone De Beauvoir e bene ha fatto la Muraro nell'approva-re tale critica. Del resto non poteva fa­re diversamente: la Muraro è persona molto aperta e rispettosa, una donna pensante che ha riflettuto a lungo sulla donna nella pratica politica, cioè nella concretezza della storia ed è, soprattut­to, una sostenitrice come me della cul­tura della differenza, per cui ha elimi­nato il problema dell'opposizione uo­mo-donna a favore della difesa della identità femminile. In altri modi e mo­menti la stessa cosa hanno fatto Edith Stein che non opponeva uomo a donna ma li pensava uno di fronte all'altro e Maria Zambrano quando ha parlato di un sapere dell'anima, che realizzasse una conciliazione dei due opposti, il momento poetico e quello filosofico. Purtroppo questa cultura della diffe­renza non è ancora molto conosciuta".

Su questa difficoltà suor Cristiana si mostra un po' preoccupata: "II proble­ma è che ci sono, anche tra le femmini­ste, donne pensanti e donne non pen­santi, per usare una terminologia del cardinale Martini che parlava appunto di una distinzione non tra credenti e non credenti ma tra pensanti e non pensanti. Il cardinale voleva sottolineare vivono lasciandosi trasportare senza interrogarsi, senza pensare veramente, e così devo constatare che ci sono mol­te donne, anche tra le femministe, non pensanti. In particolare mi riferisco proprio al fatto della cultura della dif­ferenza, un problema spesso disatteso dal molte femministe. Stimo molto per­sone come la Muraro ma anche come Paola Ricci Sandoni e Lucetta Scaraffia, anche se non so, queste ultime, in quale misura aderiscano effettivamen­te al pensiero della differenza o svilup­pino invece altri percorsi analoghi. Senza dubbio si tratta di donne che pensano e conducono notevoli studi e anche avvicinamenti fra donne per procedere in questo senso". Cosa ne pensa una suora di clausura del Family day? "Il Family day è qual­cosa che avviene 'a valle'. Spero non cada nel rischio di limitarsi ad essere una mera parata. Penso che il fonda­mento di un atteggiamento di attenzio­ne alla famiglia dovrebbe essere più acuto, articolato e profondo. Proprio perché la famiglia è, oggi più che mai, sotto attacco. Mi pare infatti che nella società ci sia una mania, una patologia del sesso; si pensa troppo al sesso, sen­za pensare alla costruttività dell'amo­re. Il problema è quindi anche quello dell'educazione dei giovani. Ho letto che ogni diciannove secondi in Inter­net viene messo on line un clip o video pornografico... Che cosa nasce da una cultura di questo tipo? Il recupero, di valori come pudore, castità, può realiz­zarsi solo se questi valori vengono vis­suti, solo così questi valori vengono ri­scoperti. Certamente poi si deve anche intervenire sul clima sociale, creando anche ambienti giovani e sani, rispon­denti alle esigenze di giovani che vo­gliano vivere il Vangelo. La situazione del resto è preoccupante: penso ai film, video, cartelloni pubblicitari, tutti de­gradanti per l'uomo e per la donna, perché finiscono per considerare gli uomini solo come merci. Quindi da una parte occorre un lavoro 'a monte', più capillare, che consiste essenzialmente nel vivere in modo serio e sereno la propria vita personale e familiare, dal­l'altra anche una pratica altrettanto se­ria e concreta della vita politica, socia­le". Suor Cristiana mi fa un cenno, la discussione è finita, deve andare.




Ringrazio A.N. per questo contributo

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