05 settembre 2007

Maggiolini I

QUEI PRETI DEVOTI ALL’ESIBIZIONISMO

di Mons. Alessandro Maggiolini,
Vescovo emerito di Como



Sulla figura del prete si può partire per un ampio e alto volo di teologia per scoprire che cosa suggerisce la Scrittura sulla realtà del sacerdozio cattolico e poi per ordinare gli spunti raccolti in una sintesi che offra una visione teologica completa e profonda. Non sono queste le finalità di un articolo di giornale. Meglio prendere un dizionario biblico o teologico e spaccarsi la testa sugli spunti che la Bibbia offre e la Patristica raccoglie e la Scolastica ordina con la maggior logicità possibile.
Stiamo a ciò che vediamo attorno a noi oggi, nella vita usuale. Come si vede il prete? Come lo si desidererebbe?
Intanto, è da distinguere la pubblicistica popolare che dilaga sui giornali e sui settimanali circa il prete: anche la rappresentazione filmica, letteraria o umoristica: distinguere tutto ciò dalla realtà che si incontra senza trasfigurazioni e senza caricature. Molti notisti avvertono, di questi tempi, che raramente il sacerdote ha avuto tanta pubblicità. E non certo per invitare a intraprendere la via della consacrazione in seminario o oltre. L’immagine sacerdotale compare assai più spesso nelle vignette umoristiche, negli articoli di costume, nelle riflessioni un po’ svagate e un po’ irridenti che mostrano il ministro di Dio come una figura desueta, estranea agli schemi della moda corrente e dello stile di pensiero e di vita comuni. Si vada oltre: un certo vezzo di descrizione e di disegno del prete non si arresta nemmeno all’umorismo: passa a piè pari alla presa in giro più grossolana quand’anche non al disprezzo più volgare. L’umorismo è arte difficile: soprattutto quando lambisce temi sacrali come la talare, la predicazione e la celebrazione dei sacramenti.
Qualche segno di disprezzo o di oltraggio, però, questa insistenza dissacrante l’ha lasciata. Allora quello che doveva essere umorismo diviene sarcasmo e si traduce in un allontanamento da ciò che il prete è, fa e insegna. Non è raro che anche giovani pressoché analfabeti in fatto di cristianesimo si sentano in diritto di sdottorare su un «sentito dire cristiano» che di cristiano non ha assolutamente nulla. Il tema della libertà diviene qui prevalente e la norma morale avanza verso la ribalta della vita e appare come una prigione che disprezza l’uomo e lo mortifica. Poi le cose appariranno in modo diverso. Ma intanto occorre fare i conti con questa situazione.
Il tema va considerato anche «ex parte inferi» perché non si risolva in una celebrazione immotivata. Ciascuno conosce sacerdoti dotti, prudenti, capaci di ascolto e di comprensione, protesi a comunicare consolazione e a dare speranza. Così come conosco altri preti che, senza darsi l’aria di monaci un po’ goffi e malriusciti, riescono ad inserirsi nella società contemporanea e soprattutto nel mondo dei giovani: veste talare compresa. Molti nostri parroci raggiungono una tale semplicità da essere capaci di dialogare anche con le persone meno addottorate e tuttavia desiderose di certezze chiare capaci di scavare dei caratteri umani e cristiani sulla traccia del Vangelo.
Mettiamo che questa sia la norma. Ad attirare un’attenzione curiosa e quasi morbosa, però, sono altri sacerdoti: quelli che mettono ogni cura per camuffarsi da operai, da contadinotti, da sindacalisti, da sportivi, o da disinvolti contestatori del pensare e del vivere comune. Gesù Cristo sembra escluso dal loro linguaggio. Conoscono tutto sulle canzonette e sullo sport. Non esitano a sorpassare il limite delle barzellette spinte, pur di apparire come gli altri e più aggiornati degli altri nelle scemenze più deludenti. Non si vedono mai davanti al Signore a pregare con attenzione e con occhi e cuore fissi al tabernacolo. Non si lasciano irretire in discorsi su valori anche umani e non solo cristiani. Si mostrano conversatori disinibiti. Se proprio vogliono oltrepassare i limiti delle vacuità, i loro interessi si rivolgono ai margini dell’umanità normale: si dedicano, ma in maniera esibizionistica ai poveri, ai portatori di handicap, ai drogati e così via. Purché questi marginali abbiano la capacità di spogliare il prete della propria fisionomia e della propria missione.
Il giorno dopo i fatti, osservano subito il giornale per controllare l’eco che hanno avuto le loro bravate. I ragazzi non imparano quasi nulla da loro né circa il Vangelo né circa il catechismo: roba vecchia e ininfluente. A me uno dei fenomeni più traumatici è dato dal fatto che il tradimento di qualche prete rispetto ai suoi impegni sacri è visto quasi con approvazione e con compiacimento da persone che hanno salutato Dio da lontano.

Il Giornale n. 202 del 2007-08-28



Ringrazio A.N. per questo contributo

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