C’è Stalin – ci sono problemi [1]
I motivi della riabilitazione del dittatore: il potere in Russia ha sempre ragione
I problemi legati alla memoria dello stalinismo nella Russia di oggi, sono dolorosi e acuti. Sugli scaffali c’è una massa di libri pro-Stalin: di genere letterario, pubblicistico, quasi-storico. Nelle indagini sociologiche Stalin è immancabilmente tra i primi tre “migliori politici di tutti i tempi. Nei nuovi manuali di storia per le scuole la politica di Stalin si interpreta in spirito assolutorio. Ma al contempo ci sono indubbi risultati di storici e archivisti, centinaia di fondamentali volumi di documenti, articoli specialistici e monografie dedicati allo stalinismo. Ma anche se esercitano un’influenza sulla coscienza delle masse, è troppo debole. Causa di ciò è anche la mancanza di meccanismi pratici per esercitare questa influenza e la politica storica. Ma soprattutto le particolarità dell’attuale situazione della nostra memoria storica nazionale dello stalinismo. Cosa intendo qui per memoria storica e per stalinismo? La memoria storica è una forma retrospettiva di coscienza collettiva, che forma l’identità collettiva nei confronti di un passato significativo per questa identità. Questa lavora con il passato, reale o immaginario, come con un materiale: sceglie i fatti e li sistematizza di conseguenza, costruendo con questi ciò che è pronta a presentare come la genealogia di questa identità. Lo stalinismo è il sistema di amministrazione dello stato, l’insieme delle specifiche pratiche politiche del governo staliniano. Per tutta la propria durata questo sistema, evolutosi in molti aspetti, ha mantenuto una serie di tratti caratteristici. Ma la caratteristica specifica dello stalinismo, il suo tratto genetico (originatosi con l’inizio stesso del regime bolscevico e non scomparso con la morte di Stalin) è il terrore come strumento universale per la soluzione di ogni problema politico e sociale. Proprio la violenza di Stato e il terrore garantivano sia la possibilità di centralizzare l’amministrazione, sia la rottura dei legami orizzontali, sia l’alta mobilità verticale, sia la durezza nell’inculcare l’ideologia con al contempo la facilità di modificarla, sia un grande esercito di persone soggette al lavoro schiavile… Da ciò deriva che la memoria dello stalinismo sia prima di tutto la memoria del terrore di stato come un fattore costitutivo del sistema dell’epoca e anche del suo legame con diversi processi e avvenimenti di quel tempo. Ma la memoria dello stalinismo nella Russia contemporanea è qualcosa del genere? Dirò qualche parola sulle proprietà chiave di questa memoria odierna. Primo: la memoria dello stalinismo in Russia è quasi sempre memoria delle vittime. Delle vittime, ma non dei crimini. Come memoria dei crimini non si riflette, a questo proposito non c’è consenso. In non piccola misura si tratta del fatto che in senso giuridico la coscienza delle masse non ha nulla su cui basarsi. Non c’è alcun atto giuridico dello stato in cui il terrore di Stato sarebbe definito un crimine. Le due righe nel preambolo alla legge del 1991 sulla riabilitazione delle vittime sono chiaramente insufficienti. Non c’è nulla che ispiri una seppur parziale fiducia neppure in singole sentenza – nella nuova Russia non c’è stato alcun processo contro chi ha preso parte al terrore staliniano. Neanche uno. Ma non ci sono solo questi motivi. Ogni acquisizione di una tragedia storica da parte della coscienza delle masse si basa sulla distribuzione di ruoli tra il Bene e il Male e sull’identificazione di se con uno dei ruoli. La cosa più facile di tutte è identificarsi con il Bene, cioè con le vittime innocenti, o meglio ancora, con l’eroica lotta contro il Male. (A proposito, proprio per questo presso i nostri vicini dell’Europa Orientale, dall’Ucraina alla Polonia ai paesi baltici, non ci sono problemi così gravi come in Russia con l’acquisizione del periodo storico sovietico, – questi si identificano con le vittime o con gli oppositori o con gli uni e gli altri contemporaneamente; è un’altra questione, se questa identificazione vada sempre d’accordo con la conoscenza storica, ma noi non stiamo parlando di conoscenza, bensì di memoria.) Ci si può perfino identificare con il Male, come hanno fatto i tedeschi (non senza un aiuto dall’esterno), per distaccarsi da questo Male: “Sì, purtroppo eravamo noi, ma adesso non siamo così e non lo saremo mai più”. E che possiamo fare noi che viviamo in Russia? Nel terrore sovietico è estremamente difficile dividere carnefici e vittime. Per esempio, i segretari dei comitati regionali. Nell’agosto del ’37 sono come un sol uomo, sono membri di “troike” e firmano a pacchi le condanne alla fucilazione, ma a novembre del ‘38 la metà di essi è già stata fucilata. Nella memoria nazionale e in particolare in quella regionale i carnefici relativi – per esempio, quei segretari dei comitati regionali del ‘37 – non sono rimasti affatto unicamente criminali: sì, firmò documenti per le fucilazioni, ma organizzò la costruzione di parchi giochi e ospedali e andò personalmente nelle mense degli operai per fare un assaggio del cibo e il suo ulteriore destino suscita in tutto compassione. E un’altra cosa. A differenza dei nazisti, che principalmente uccidevano gli altri: polacchi, russi, infine ebrei tedeschi (pure non sentiti del tutto come “propri”), noi uccidevamo principalmente i nostri e la coscienza si rifiuta di accettare questo fatto. Nella memoria del terrore non siamo in grado di distribuire i ruoli principali, non siamo in grado di piazzare i pronomi “noi” ed “essi”. Questa impossibilità di estraniazione del male è anche il principale ostacolo alla formazione di una memoria pienamente valida del terrore. Questa rafforza il suo carattere traumatico e diventa una delle cause principali del suo spostamento forzato alla periferia della memoria storica. Secondo: a un determinato livello, al livello dei ricordi personali, è una memoria che se ne sta andando. Ci sono ancora testimoni, ma sono gli ultimi testimoni e se ne vanno e insieme a loro se ne va anche la memoria come ricordo personale e vissuto personale. Con questo secondo aspetto è legato anche il terzo. Al posto della memoria-ricordo viene la memoria come insieme delle immagini collettive del passato, formate non più da ricordi personali e neanche familiari, ma da diversi meccanismi socio-culturali. Non ultimo di questi meccanismi è la politica storica, gli sforzi dell’elite politica diretti allo scopo di formare un passato costruendone l’immagine. Tale tipo di sforzi lo osserviamo già dagli anni ‘90, quando il potere politico prese a cercare nel passato le basi della propria legittimità. Ma se il potere percepiva un deficit di legittimità, la popolazione, dopo la caduta dell’URSS, percepiva un deficit di identità. Fra l’altro, sia il potere, sia la popolazione cercavano il modo di colmare i propri deficit nell’immagine della Grande Russia, erede della quale è la Russia attuale. Queste immagini del “luminoso passato” che erano proposte dal potere negli anni ‘90 – Stolypin [2], Pietro I [3] e così via – non erano recepite dalla popolazione: troppo lontane e troppo poco legate al giorno d’oggi. Gradualmente e di nascosto il concetto di Grande Russia si è esteso al periodo sovietico, in particolare all’epoca staliniana. La leadership post-el’ciniana del paese colse questa prontezza all’ennesima ricostruzione del passato e la sfruttò in pieno. Non voglio dire che le autorità del 2000 intendessero riabilitare Stalin – volevano solo proporre ai propri concittadini l’idea di un grande paese, che resta grande in ogni epoca ed esce con onore da tutte le prove. L’immagine di un passato felice e glorioso era loro necessaria per il consolidamento della popolazione, per il ristabilimento dell’indiscutibilità del potere statale, per il rafforzamento della propria “verticale” e così via. Ma indipendentemente da queste intenzioni, sullo sfondo del risorgente panorama di una grande potenza oggi, come prima, “completamente circondata da nemici”, è emerso il profilo baffuto del grande dittatore. Questo risultato era inevitabile e logico. Due immagini dell’epoca di Stalin sono entrate in dura concorrenza tra loro: l’immagine dello stalinismo, cioè l’immagine di un regime criminale, sulla coscienza del quale ci sono decenni di terrore di Stato, e l’immagine dell’epoca delle gloriose vittorie e dei grandi risultati. E di certo in prima fila c’è l’immagine della vittoria principale – la Vittoria della Grande Guerra Patriottica [4]. Quarto. La memoria dello stalinismo e la memoria della guerra. La memoria della guerra è diventata anche la costruzione portante su cui è stata riorganizzata l’autoidentificazione nazionale. Su questo tema è stato scritto molto. Faccio notare solo una cosa: ciò che oggi si chiama memoria della guerra non corrisponde del tutto alla definizione. La memoria degli sforzi di guerra, della sua vita di tutti igiorni, del ‘41, della prigionia, delle evacuazioni, delle vittime di guerra, questa memoria nell’epoca di Chruščëv era decisamente antistaliniana. A quel tempo si intrecciava organicamente con la memoria del terrore. Oggi la memoria della guerra è stata mutata in memoria della Vittoria. Il mutamento è iniziato a metà degli anni ‘60. Con la fine degli anni ‘60 si è ripresentato – per 20 anni interi! – sotto forma di divieto di memoria del terrore. Il mutamento si è compiuto solo adesso che non sono rimasti quasi più combattenti sul fronte e non c’è nessuno per correggere lo stereotipo collettivo con ricordi personali. La memoria della Vittoria senza memoria del costo della Vittoria di certo non può essere antistalinista. E perciò convive male con la memoria del terrore. Se si semplifica molto, questo conflitto di memorie appare così. Se il terrore di Stato fu un crimine, allora chi fu il criminale? Lo Stato? Stalin che lo capeggiava? Eppure abbiamo vinto la guerra con il Male Assoluto – e, di conseguenza, non eravamo sudditi di un regime criminale, ma un grande paese, incarnazione di ogni bene che c’è al mondo? Proprio sotto la guida di Stalin abbiamo sconfitto Hitler. La Vittoria è l’epoca di Stalin e il terrore è l’epoca di Stalin. Riconciliare queste due immagini del passato è impossibile, se solo non si costringe una di queste perlomeno ad inserire delle serie correzioni al proprio interno. E così è accaduto – la memoria del terrore è arretrata. Non è scomparsa del tutto, ma si è trovata stretta alla periferia della coscienza delle masse. In queste circostanze è stupefacente che la memoria del terrore in generale sia rimasta in qualche aspetto, che non si sia trasformata in un grande tabù nazionale, che comunque esista e si sviluppi. La prima e più evidente testimonianza della memoria degli avvenimenti storici sono i monumenti dedicati a questi avvenimenti. Nonostante l’opinione diffusa, di monumenti e memoriali che ricordano il terrore staliniano in Russia non ce ne sono pochi – sono non meno di 800. Non sono stati eretti in modo centralizzato, ma con l’energia della società e delle amministrazioni locali. Il potere federale praticamente non prende parte alla monumentalizzazione della memoria del terrore. Questa non è considerata un compito prioritario dello stato. Un qualche ruolo, probabilmente, gioca anche il desiderio di sottrarsi a un’ulteriore legittimazione di un tema doloroso. Tutte queste sculture, cappelline, croci, cippi eternano la memoria delle vittime. Ma in questa memoria non c’è l’immagine dei crimini e neanche quella dei criminali. Ci sono le vittime – di un disastro naturale, di qualche altra catastrofe, le origini e il senso della quale restano irraggiungibili per la coscienza delle masse. Nelle città la maggior parte di questi monumenti e memoriali non stanno nelle piazze centrali, ma in posti lontani, là, dove riposano i resti dei fucilati. Nel frattempo molte vie centrali portano come prima i nomi di persone che hanno preso parte direttamente o indirettamente al terrore. La convivenza dell’odierna toponomastica cittadina, ereditata dall’epoca sovietica e della memoria delle vittime, spostata in periferia – ecco un’immagine evidente dello stato della memoria storica dello stalinismo in Russia. I libri della memoria sono uno dei punti d’appoggio della memoria dello stalinismo. Questi libri, editi nella maggior parte delle regioni russe, formano oggi una biblioteca di quasi 300 volumi. In essi sono contenuti in forma complessa più di un milione e mezzo di nomi di giustiziati, condannati a periodi di detenzione nei lager e deportati. Questo è un grande risultato, in particolare se si ricorda la difficoltà di accesso a molti nostri archivi contenenti materiale sul terrore. Tuttavia questi libri quasi non contribuiscono a formare la memoria nazionale. In primo luogo sono libri regionali, il contenuto di ciascuno dei quali, preso separatamente, non è l’immagine della catastrofe nazionale, ma piuttosto il quadro di una sciagura “locale”. Alla frammentazione regionale corrisponde una discordanza metodologica: ogni Libro della memoria ha le proprie fonti, i propri principi di selezione, la propria ampiezza e il proprio modo di presentazione dei dati biografici. La causa di questo è la mancanza di un unico programma di Stato per l’edizione dei Libri della memoria. Il potere federale anche qui si sottrae al proprio dovere. In secondo luogo questa è una memoria quasi per nulla pubblica: i libri sono stampati in tirature infime e non sempre finiscono nelle biblioteche, sia pure regionali. Ora “Memorial” [5] ha messo in Internet una banca dati che riunisce le informazioni dei Libri della memoria, ampliate con alcuni dati del ministero degli Interni russo e di “Memorial” stesso. Qui ci sono più di 2.700.000 nomi. In confronto alle dimensioni del terrore sovietico è ben poco, ma la stesura della lista completa, se il lavoro proseguirà a questi ritmi, durerà ancora qualche decennio. I musei. E qui le cose non sono così schifose come ci si potrebbe aspettare. Certo, in Russia come un tempo non c’è un Museo nazionale del terrore di Stato, che potrebbe giocare un ruolo importante nella formazione di un’immagine del terrrore nella coscienza delle masse. (Della stessa idea e della possibilità di creare un complesso memoriale e museale in memoria delle vittime delle repressioni di Stato la “Novaja gazeta” ha scritto più di una volta nei numeri speciali della “Verità del GULAG” – nn. 13, 16, 23, 32, 40, 42, 48, 67, 77, 81, 90. – nota del redattore). Di musei locali per i quali il tema del terrore è fondamentale ce ne sono meno di dieci. E comunque, a quanto ci risulta, il tema del terrore è presente raramente nelle esposizioni e soprattutto nelle fondazioni – i circa 300 musei sparpagliati per tutto il paese (si tratta prevalentemente di musei etnografici provinciali e cittadini ). Tuttavi i problemi generali della memoria del terrore si manifestano anche qui. Nelle esposizioni il tema dei lager e dei villaggi di lavoratori forzati il più delle volte si perde nei soggetti dedicati all’industrializzazione della provincia e le vere e proprie repressioni – arresti, sentenze, fucilazioni – sono poste negli stand biografici e nelle vetrine. In generale il terrore viene presentato in modo estremamente frammentario e solo a certe condizioni viene inscritto nella storia del paese. I luoghi della memoria legati al terrore. Oggi si tratta prima di tutto di luoghi di sepoltura: fosse comuni di fucilati nel periodo del Grande Terrore e grandi cimiteri dei lager. Ma la segretezza che circondava le fucilazioni era molto grande e su questo tema si sono potute trovare così poche fonti che fino ad oggi ci sono noti solo circa 100 luoghi di sepoltura di fucilati negli anno 1937-1938, secondo i nostri calcoli, meno di un terzo del totale. Un esempio: nonostante gli sforzi pluriennali dei gruppi di ricerca, non si riescono a trovare neanche le sepolture delle vittime delle famose fucilazioni di Kašketin [6] presso la fabbrica di mattoni presso Vorkuta [7]. Per quanto riguarda i cimiteri dei lager, ne conosciamo solo qualche decina su alcune migliaia un tempo esistenti. In ogni caso un cimitero è di nuovo una memoria delle vittime. Luoghi della memoria non divengono le infrastrutture del terrore nelle città – gli edifici delle sedi regionali e provinciali della OGPU/NKVD [8] che si sono conservati, le amministrazioni dei lager, gli edifici delle prigioni, delle corti e dei tribunali speciali (perfino il collegio militare della Corte Suprema). (Questo edificio appartiene a una qualche Srl “Prom Instrument” e i proprietari non fanno entrare là neanche i deputati e non rispondono alle numerose richieste della “Novaja gazeta” – vedi nn. 23, 78, 90. – n.d.r.) Luoghi della memoria non divengono quasi mai le strutture industriali costruite dai detenuti politici – canali, ferrovie, miniere, fabbriche, complessi industriali, case. Sarebbe molto semplice trasformarli in luoghi della memoria – basterebbe solo porre targhe memoriali agli ingressi delle fabbriche o nelle stazioni ferroviarie. (La FGUP [9] “Kanal imeni Moskvy” [10] è pronta ad offrire un terreno per costruire un complesso memoriale e museale, la questione per le autorità è minimizzare gli ostacoli burocratici, in proposito vedi n. 90. – n.d.r) Un altro canale per rifornire la coscienza delle masse di concetti e immagini storiche è la cultura nelle sue forme più di massa, prima di tutto la televisione. Le trasmissioni televisive dedicate all’epoca staliniana sono abbastanza numerose e varie e lo scintillante kitsch prostaliniano come il serial “Сталин-life” fa concorrenza alla pari con film di talento e coscienziosi tratti dalle opere di Šalamov e Solženicyn. Il telespettatore può scegliere i modi di leggere l’epoca che preferisce. Purtroppo a vedere le cose, la quota di quelli che scelgono “Stalin-life” cresce e quella di chi sceglie Šalamov cala. Naturalmente lo spettatore, la cui attuale visione del mondo viene formata dalla retorica antioccidentale e dalle infinite formualazioni dei politologi televisivi sul grande paese che è circondato da nemici da ogni parte, mentre all’interno è danneggiato da una quinta colonna, non ha bisogno di suggerimenti per scegliere per se quell’immagine del passato che meglio di tutte corrisponde a questa visione del mondo. E non lo smuovi con nessuno Šalamov o Solženicyn. Infine quello che è forse il più importante istituto per la costruzione delle rappresentazioni collettive del passato – il corso scolastico di storia. Qui (e anche in buona parte delle trasmissioni televisive pubblicistiche e documentarie) la politca storica di Stato a differnza di molti casi di cui si è detto sopra, è in piena attività. Il suo carattere, tra l’altro, costringe a riflettere sul fatto che la passività nei confronti della memoria storica non è pericolosa come lo sfruttamento della storia come strumento politico. Nei nuovi manuali di storia il tema dello stalinismo è presente come fenomeno di sistema. Parrebbe che fosse un buon risultato. Ma il terrore appare là come strumento storicamente determinato e senza alternative per risolvere i problemi dello Stato. Questa concezione non esclude la compassione per le vittime del Moloch della storia, ma non permette assolutamente che si ponga la questione del carattere criminale del terrore e del soggetto di questo crimine. Questo non è il risultato di una direttiva per l’idealizzazione di Stalin. Questo è l’effetto collaterale naturale della soluzione di tutto un altro problema – l’affermazione dell’idea dell’indubbia giustizia del potere dello Stato. Il potere è al di sopra di qualsiasi valutazione morale e giuridica. E’ ingiudicabile per definizione, poiché è guidato dagli interessi dello Stato, che sono al di sopra degli interessi della persona e della società, al di sopra della morale e del diritto. Lo Stato ha sempre ragione – perlomeno finché deve fare i conti con i propri nemici. Questo pensiero penetra i nuovi manuali dall’inizio alla fine e non solo là, dove si parla di repressioni. Dunque: come si può vedere da quanto detto sopra, possiamo parlare di una memoria spezzettata, frammentaria, che scompare, che è costretta alla periferia della coscienza delle masse. I portatori della memoria dello stalinismo nel senso che noi diamo a questa parola, oggi sono evidentemente una minoranza. Se resterà a questa memoria una chance di diventare nazionale, quali conoscenze e quali valori dovranno essere perciò fatti propri dalla coscienza delle masse, cosa bisogna fare qui – è una questione a parte. E’ chiaro che sono necessari sforzi comuni della società e dello Stato. Arsenij Roginskij [11],
11.12.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/92/00.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |
[1] Allusione alla frase di Stalin “C’è una persona – ci sono problemi, non c’è la persona – non ci sono problemi”. Come dire che tutti i problemi si risolvono eliminando fisicamente le persone.
[2] Pëtr Arkad’evič Stolypin, primo ministro sotto l’ultimo zar Nicola II.
[3] Lo zar più noto come Pietro il Grande.
[4] Cioè la guerra contro gli invasori nazisti.
[5] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche.
[6] Efim (Chaim-Meir) Iosifovič Kašketin, un noto boia del Gulag.
[7] Città dell’estremo nord della Russia.
[8] Ob’’edinënnoe Gosudarstvennoe Političeskoe Upravlenie (Direzione Politica Generale di Stato)/Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni), i nomi della polizia politica staliniana.
[9] Federal’noe Gosudarstvennoe Unitarnoe Predprijatie (Impresa Federale Unitaria di Stato).
[10] “Canale “Mosca””.
[11] Arsenij Borisovič Roginskij, storico e presidente di “Memorial”.
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