Il Caucaso – una società a responsabilità limitata
| Dmitrij Velikovskij, 25.09.2009 23:37 Comprendere quel che accade è ben difficile anche per chi cerca sinceramente di capire la logica dei massacri che si compiono davanti ai nostri occhi. Nel tentativo di far luce sui meccanismi e sulle forze che muovono il Caucaso contemporaneo, i corrispondenti di “RR” [1] sono andati per le tre repubbliche più “calde” – Inguscezia, Cecenia e Daghestan. – Tutto ciò che vedete è una farsa, è apparenza. Ma voi giornalisti non credeteci, vi prego tanto! – Cosa intende dire? – Ciò che viviamo qui, come se ne parla in televisione. E' come cibo di cera: bella, ma lo assaggi ed è disgustoso. La venditrice, una cecena di aspetto giovanile con cui abbiamo conversato in una via di Groznyj, voleva evidentemente farci sapere qualcosa di importante per lei. – Da qui tutte le persone normali sono scappate già da tempo. Quelli che sono rimasti, o sono dei ritardati o non possono fuggire, come me. Qui non c'è giustizia, è sempre terribile, ti innervosisci, tremi… Le faccio un esempio: la ricostruzione di Groznyj. Molte case nuove, tutto bello pulitino. Ma che molte di esse sono vuote, lo sa? E a chi appartengono quelle che non sono vuote? E quanto bisogna pagare ai funzionari per ricevere un risarcimento per un'abitazione distrutta? Glielo dico io… E' parso che il desiderio di esprimersi alla fine abbia vinto la paura. In attesa di smascheramenti ho acceso il registratore. E in quel preciso momento dietro la donna è comparsa una figura di aspetto per nulla notevole: pantofole consunte, pantaloni sportivi, capelli corti, aspetto cattivo. Il tizio si è posto letteralmente a un metro da noi e, rannicchiatosi, ha preso a maneggiare il telefono. La nostra interlocutrice si è irrigidita, il suo volto si è trasformato in una maschera. – Davvero le piace la nostra città? – ha fatto risuonare in modo teatrale una voce senza intonazione. – Fontane e edifici così belli! Anch'io amo molto passeggiarci: qui perfino alle una di notte è totalmente sicuro. Il “pedinatore” ha posato uno sguardo oscuro su di noi. Ci siamo salutati e siamo andati via piano per una via mattutina con poca gente. Intorno brillavano vetrine lustrate fino allo splendore e zampillavano fontane. Ad ogni angolo tre uomini con armi automatiche in uniformi mimetiche stirate. Sulle case ricostruite di fresco i ritratti dei quattro presidenti: due ceceni e due russi. “Un gesto eroico lungo una vita” – diceva una scritta sotto uno di loro. E appena più in basso la targhetta: “Viale Putin, n. 13”. Ciò che senza successo aveva cercato di spiegarci la cecena è piuttosto chiaro. Sia in Cecenia, sia in Inguscezia, sia in Daghestan ci è capitato molte volte di ascoltare questi appunti. E' il cocktail caucasico: rabbia, disperazione e paura in proporzioni più o meno uguali; odio – secondo i gusti. Uno dei principali motivi di insoddisfazione è la corruzione totale. La tradizionale malattia russa nel Caucaso si trasforma in un'infezione sistematica e potenzialmente mortale, che colpisce assolutamente tutti gli organi di potere. In altre regioni la corruzione è più spesso simile a una strada a pedaggio: vuoi fare presto e in fretta – paga. Non hai soldi? Allora andrai avanti a lungo e dolorosamente. Nelle repubbliche caucasiche è tutto più duro: varianti gratuite spesso non ci sono. Per ogni atto impostoti dalla legge – dal 30 al 50% al funzionario. Per ogni documento gratuito – da 50 a 200 rubli. Per una promozione – una bustarella al capo. Per avere un posto di lavoro – tanto più. – Da noi senza soldi in generale non ottieni nulla. Io in questo caso non parlo neanche di affari, va da se. In qualche maniera per principio ho cercato di ottenere gratis un passaporto valido per l'estero: così, per far le cose secondo le regole, senza tangenti, – ci ha raccontato il proprietario di uno dei parcheggi di Machačkala [3]. – Ho raccolto tutti i documenti, li ho portati, li ho consegnati. L'addetta ai passaporti mi ha guardato con aria dubbiosa: dove sono, dice, i mille [4] che ci vogliono? Io non li ho dati. Telefono dopo un mese e mezzo – il passaporto non c'è, hanno perso i miei documenti. Bene, li ho raccolti una seconda volta, li ho portati e non ho dato nulla. E che succede? Li hanno persi di nuovo. Allora mi sono infuriato, ho applicato le mie difese, sono andato dal loro capo. Questi mi dice: “Ma perché non è venuto subito da me, egregio?” E subito si sono trovati i documenti, mi hanno sistemato tutto in qualche giorno. Meno male, che in precedenza ho lavorato come addetto al personale di una persona importante, – adesso per tutto, se c'è bisogno, trovo un accordo. Nelle repubbliche caucasiche sovvenzionate la corruzione e il peculato da difetto della verticale di potere si sono trasformati in funzione sistematica, in spina dorsale della politica e dell'economia locale. Quando il ladrocinio e la corruzione diventano norma, non c'è da stupirsi che la gente smetta di vergognarsene. Tra l'altro indipendentemente dallo status sociale e dalle dimensioni dei mezzi finanziari “neri” [5] che passano per questi canali. Così, per esempio, uno dei funzionari ceceni responsabili per il ritorno in patria dei profughi ha raccontato con orgoglio a noi, i primi giornalisti che incontrava, quante fabbriche di mobili ha a Krasnodar [6] e quanti negozi ha in Cecenia. Il fatto che agli impiegati statali sia proibito possedere imprese non lo ha affatto imbarazzato: è tutto intestato a sua moglie e a sua figlia. A Mosca, a Piter [7] o in altre grandi regioni il non certo modesto stile di vita di questo o quel burocrate non da nell'occhio all'uomo comune: si vede che è una persona ricca, ma chi sia, come li ha guadagnati – chi lo sa, ce ne sono tanti così. Ma in piccole repubbliche povere fare vivere nel lusso senza farsi notare dalla popolazione è praticamente fuori dalla realtà. Diciamo che in Daghestan un guidatore su due, senza celare la rabbia, vi indicherà la dimora del capo della sezione locale per la sicurezza economica del ministero degli Interni. E come bonus non solo comunicherà che il figlio di questo capo va in giro con una Porsche Cayenne e la figlia con una Dodge e che egli stesso ci va con una Lexus IS 200, ma vi dirà anche i numeri di targa di queste automobili. Per di più, a differenza di altre regioni, nel Caucaso c'è una disoccupazione mostruosa: due terzi della popolazione qui non ha un lavoro fisso e sono costretti ad allungare con lavoretti saltuari. Di conseguenza molti non solo non hanno un normale stipendio, ma neanche una qualche prospettiva di vita. In tali condizioni il divario tra i rappresentanti delle ben poco modeste elite locali e i restanti cittadini grida vendetta e crea di fatto una situazione prerivoluzionaria. L'insoddisfazione urlante si cambia a poco a poco in odio di classe. I detentori del potere non possono non capire questo. Tuttavia non possono neanche cambiare. Perché se tu non prendi nulla, come fai allora a “sbrigliare” i capi? E senza questo non solo non fai carriera, ma perdi anche le risorse che già ci sono, – il sistema non tollera elementi estranei. Inoltre, perché cambiare, se mentono e rubano perfino i leader delle repubbliche e fra l'altro lo fanno non solo apertamente, ma anche impuniti? Per esempio, nel 2007, al sesto Forum degli investitori a Soči [8], come hanno comunicato i mezzi di informazione di massa, Murat Zjazikov, allora presidente dell'Inguscezia, dichiarò: “Negli ultimi tre anni abbiamo fornito 3 milioni e 233 mila metri quadrati di abitazioni. Per una piccola repubblica questa è una cifra enorme”. La cifra è effettivamente enorme, è più di tutto il fondo immobili dell'Inguscezia fino a Zjazikov, praticamente un'altra repubblica. Ciò viene smentito dall'immagine dell'Inguscezia contemporanea: tra le nuove costruzioni là si notano appena delle ville di lusso. E secondo i dati del Rosstat [9], sono stati costruiti 2,3 milioni di mq di abitazioni. Agli ingusci stessi, tra l'altro, neanche questa cifra pare avere qualcosa a che fare con la realtà – non vedono né condomini, né nuovi insediamenti intorno a se. Al presidente Putin lo stesso Zjazikov fece rapporto dicendo di aver costruito “80 stabilimenti industriali”, il che suscitò un'ondata emotiva negli abitanti dell'Inguscezia. Nella repubblica ci sono in tutto quattro città e tre decine di villaggi e nascondere oggetti su cui lavoreranno “migliaia di persone” non è un compito dei più facili. Tuttavia a Zjazikov è riuscito anche questo: non solo i semplici ingusci non hanno potuto trovare i famosi 80 stabilimenti, ma neanche i pignoli giornalisti. E quando a verificare queste informazioni è giunto in volo da Mosca il capo della Corte dei Conti Sergej Stepašin, Zjazikov ha portato quest'uomo senz'ombra di dubbio [10] in due fabbriche private: ecco, dice, le hanno costruite. E Stepašin è volato via soddisfatto. Ma già quest'anno, dopo il cambio di leadership nella repubblica, sono state svelate malversazioni nell'ordine di 1,7 miliardi di rubli [11] (quasi un quinto del budget annuale della regione). E la stessa Corte dei Conti ha fatto rapporto in modo vibrante che 1,3 miliardi [12] vanno considerati “di fatto perduti”. Di fare i conti in precedenza, evidentemente, non era in grado. Quando tutti vedono che i corrotti non solo vivono meglio delle persone oneste, ma neanche si vergognano di far rapporto al presidente sui propri successi sugli schermi del “Primo Canale”, l'insoddisfazione di massa allarga la propria geografia riversandosi dai leader regionali a livello federale. Credere che lo zar sia buono e i boiari cattivi diventa sempre più difficili. “Possono davvero là, al Cremlino, non sapere in realtà cosa si combina da noi?” – questa domanda, già, pare, divenuta retorica, il giornalista di Mosca è costretto a sentirla di continuo. Oggi moltissimi caucasici dicono direttamente che si sentono abitanti di una misera provincia, in cui un enorme impero “ricicla” davanti ai loro occhi i soldi dello stato. Come se non bastasse, l'impero colonizzatore si mostra a loro non solo avido, ma anche spietato. La colpa è dell'inefficace e troppo crudele politica antiterroristica degli uomini delle strutture armate russe [13]. Il terrorismo come asse del regime di governo Alle sei di mattina sono giunti degli uomini mascherati dei corpi speciali a bordo di Ural [14], hanno portato in strada me e i miei fratelli con le mogli e i bambini, si sono messi a perquisire, – racconta l'inguscio Ali Cečoev, – mi hanno spinto in un piccolo UAZ blindato, mi hanno messo in testa un sacchetto di cellophane nero e mi hanno portato via. Dove mi abbiano portato, chi fossero, ancora non lo so. Ali è un imprenditore del villaggio [15] di Ordžonikidzevskaja [16], fornisce prodotti alimentari al collegio scolastico e al sanatorio locali. Sediamo con Ali e due dei suoi fratelli presso la sua casa. In mezzo al cortile c'è un enorme Mercedes di colore argentato, che serve oltre a tutto come parco giochi per i numerosi bambini. – Qui mi hanno legato le mani, mi hanno picchiato, mi hanno mostrato fotografie di militanti. Esigevano che gli raccontassi che sono legato alle organizzazioni clandestine, – continua Ali abbassando il capo. – Ma io non sono legato ad esse in alcun modo. Non ho forse altro da fare? E poi perché devo esserci legato? Perché ho la barba? E chi non ce l'ha? E in generale, guardate i militanti uccisi: uno ha la barba, gli altri no. Davvero si può ragionare così? Che se io porto la barba, bisogna uccidermi – è così? E' ridicolo perfino parlarne… – Ali tace. A giudicare dall'espressione del viso, non ha tanta voglia di ridere. La peluria sul viso è stata scelta come uno dei segni su cui basarsi per cercare i terroristi, perciò ai possessori di barbe qui tocca giustificarsi regolarmente. Il fatto che portino la barba sia il presidente Kadyrov, sia praticamente tutte le guardie del corpo del presidente Evkurov non crea problemi agli uomini delle strutture armate. – Si sono fatti beffe di me per otto ore. Mi hanno minacciato di darmi a Kadyrov, di torturarmi, di farmi a pezzi. E hanno detto che i medici non mi avrebbero fatto morire, che avrei sofferto per molti giorni. E poi all'improvviso dicono: “Beh, che ti tormenti? Vuoi andare a casa?” – continua Ali. – “Certo che lo voglio”. – “Allora inventati il nome di qualcuno” – ecco cosa mi hanno consigliato, vi immaginate? E poi picchieranno quelli che “mi inventerò”… La scelta di Ali non era invidiabile. Non mi sono messo a chiedere se avesse accondisceso a “inventare”. – Probabilmente hanno qualche piano, – si inserisce nella conversazione il fratello maggiore Achmed, – schiacciano tutti uno dopo l'altro, li sequestrano, li tormentano. Perché non passino mai tra i militanti. Beh, vicino a noi viveva un ragazzino – l'hanno portato con loro come se andassero al lavoro. Tornò tutto livido. Si riposa solo un po' e questi – zac! E di nuovo ha bisogno di essere curato. E' scappato da loro dandosi alla macchia. E che doveva fare? I fratelli ricordano en passant qualche altra storia del genere, per esempio quella di un insegnante premiato per il suo lavoro dalla repubblica, che per 22 anni ha insegnato l'inglese ai ragazzi finché non è “finito in un lavoro di estrazione”. E' subito fuggito in Irlanda, tuttavia è stato dichiarato leader di militanti e ancora per un anno tutti gli atti terroristici nel distretto sono stati ascritti alla sua “formazione armata”. – Capite, ho una vita tranquilla, e voglio vivere tranquillo anche in seguito, come un uomo onesto. Anch'io sono un cittadino, – Ali mi guarda con un po' di tristezza. – Ma io sono sopravvissuto a momenti davvero terribili. Sapevo bene che non scherzavano: se tornerò a casa o sarò trovato ucciso o semplicemente nessuno mi vedrà più – lo decidono loro. E se qualcosa del genere si ripetesse anche solo una volta, io fuggirò all'estero, come ora fanno molti. Ma la maggior parte non ha dove andare… Gli Cečoev ci accompagnano al portone e, visto che ci interessiamo di certi temi, ci propongono di scegliere altri due posti vicini, dove varrebbe la pena di passare. “Da noi in due vie vicine solo in un mese ci sono stati due sequestri e una fucilazione”, – scuotono il capo. Siamo andati da Mariam Machloeva, da cui quella mattina gli uomini mascherati delle strutture armate su dei BTR [17] senza targhe hanno condotto l'ennesima (ce ne sono state già più di due decine!) perquisizione e hanno fucilato suo figlio. Dopodiché hanno dichiarato di aver “eliminato un militante” e “sventato un atto terroristico”. Di questa storia “RR” ha scritto dettagliatamente nel n. 32 (“Operazione anti-Evkurov”). Anche la seconda storia, purtroppo, è abbastanza tipica. Uomini mascherati hanno portato via di casa Batyr Albakov in direzione ignota, dopodiché i parenti, andando da molte parti, lo hanno cercato senza successo in tutti gli ROVD [18], gli ospedali e gli obitori. Dieci giorni dopo gli è stato consegnato il cadavere di Batyr, che sarebbe stato ucciso nei boschi nel corso di un'operazione speciale. Ai parenti hanno spiegato che il sequestro sarebbe stato inscenato dagli stessi militanti per screditare le forze dell'ordine. “E' stato eliminato un terrorista, da questi sono stati trovati un arma automatica e dei proiettili, – hanno scritto presto nei resoconti le agenzie di stampa. – Al ministero degli Interni della repubblica hanno fatto notare che era uno dei leader dei militanti, che aveva preso parte ad atti terroristici e di sabotaggio”. Pochi hanno scritto che, secondo le conclusioni dei medici, sul corpo di Albakov ci sono segni di tortura: numerosi ematomi, tre profonde ferite di coltello e la mano sinistra tagliata a metà. Inoltre, secondo i medici, “numerose ferite non avrebbero potuto esser state subite il 21 luglio (giorno in cui è stata compiuta l'operazione speciale – nota del redattore), ma sono state inferte in precedenza”. Non è un po' troppo duro per una sceneggiata amichevole? Un altro tipico comunicato: “Nel distretto di Karabudachkent nel Daghestan è stato trovata una VAZ-21099 [19] con i corpi carbonizzati di tre persone all'interno, presumibilmente membri di una NVF [20]. A giudicare dal tipo di danni subiti dalla macchina, gli specialisti suppongono che con questa si trasportasse un ordigno esplosivo artigianale, che per cause ignote è esploso”. Di come con fatale regolarità i “terroristi” brucino nelle proprie macchine hanno parlato poco tempo fa due sopravvissuti a questo incidente. Inizialmente le persone arrestate da sconosciuti mascherati erano cinque. Li hanno picchiati e hanno proposto che uno facesse saltare in aria una moschea perché gli altri restassero vivi. Quando tutti e cinque si sono rifiutati, li hanno portati in un bosco e, dopo averli addormentati con il cloroformio, li hanno messi a sedere nella loro macchina. Hanno cosparso l'automobile di benzina, hanno gettato tra i sedili un pacchetto esplosivo e si sono allontanati a distanza di sicurezza. Tuttavia uno degli arrestati ha solo fatto finta di dormire. E' riuscito a gettare il pacchetto esplosivo fuori dalla macchina e, risvegliato quello che gli sedeva accanto, a fuggire con lui. Gli altri tre sono stati ritrovati due giorni dopo – in un altro posto, ma, come si supponeva, carbonizzati. – Sequestri di persona, torture, omicidi al momento dell'arresto, esecuzioni extragiudiziali – nel Caucaso tutto ciò, purtroppo, è cosa di tutti i giorni, – dice il presidente della sezione inguscia di “Memorial” [21] Timur Akiev. – Prospettive di avviare procedimenti penali per questi fatti non ce ne sono, in quanto gli organi ufficiali portano i loro argomenti: o non si tratta di loro o che la persona ha fatto resistenza con le armi. Non si è riusciti una sola volta a dimostrare il contrario. Il massimo che si può fare è arrivare fino alla Corte di Strasburgo, ma questa è una magra consolazione, perché i colpevoli non vengono mai puniti. E di arrestare i militanti “come stabilito” qui nessuno, pare, ha bisogno: è molto complicato e la faccenda in tribunale può andare a rotoli. Chi si occupi di cose così mostruose non si sa con certezza. Nelle tre repubbliche caucasiche si possono incontrare uomini delle strutture armate di ogni risma. Oltre ai poliziotti locali nelle repubbliche opera un'enorme quantità di “forze aggiunte”: i reparti mobili del ministero degli Interni, le sezioni temporanee per gli affari interni presso le OVD [22] locali, l'ufficio operativo per i ricercati, numerosi reggimenti delle truppe interne, le guardie di frontiera, lo FSB [23]. Proprio i “federali” inviati nelle repubbliche qui, di regola, sono accusati di atti di ferocia. In primo luogo, perché, di regola, proprio a loro è prescritto di lottare contro il terrorismo e condurre operazioni speciali e in secondo luogo perché il più delle volte da sotto le maschere risuona una parlata russa pura. – La polizia inguscia non è solo incapace di agire, ma anche del tutto impaurita. L'equipaggiamento è terribile, non hanno alcun diritto, – è convinto Akiev. – Tutte le istituzioni federali hanno le cosiddette cedole speciali, grazie alle quali non solo possono spostarsi liberamente tra le repubbliche, ma anche rifiutarsi di sottoporre a ispezioni le proprie automobili. Se sorgono conflitti tra gli agenti locali e i “federali”, questi finiscono immancabilmente con il licenziamento degli uomini dei ministeri degli Interni locali. In Cecenia e in Daghestan gli uomini delle strutture armate locali hanno più poteri dei loro colleghi ingusci, tuttavia l'essenza del discorso non cambia. Le forze dell'ordine agiscono sempre più di rado secondo la legge, sempre più spesso sono guidate dalla logica “niente persona – niente problemi” [24] e dal principio della responsabilità solidale dei parenti dei militanti: una volta che hanno preso un fratello, ciò significa, molto probabilmente, che prenderanno anche l'altro e, per esempio, in Cecenia non di rado bruciano le case dei militanti, per cui soffrono le loro mogli e i loro figli. Di conseguenza perfino nel tradizionalmente leale centro dell'Inguscezia, dove non c'era alcuna guerra, dove finora le idee separatiste erano totalmente impopolari, la politica degli uomini delle strutture armate risulta l'ambiente più fertile non solo per le organizzazioni clandestine islamiche, ma anche per le teorie del complotto. Che va “come sempre”, qui è del tutto evidente. Purtroppo non è rimasto quasi nessuno di quelli che credevano che si “volesse fare il meglio possibile” [25]. Molti abitanti delle repubbliche caucasiche sono convinti che gli atti di ferocia siano indirizzati proprio al benessere degli uomini delle strutture armate, così come all'introduzione di “profittevoli” misure straordinarie, diciamo del regime di operazione antiterroristica (KTO [26]). Alcuni ritengono perfino che lo scopo dei “federali” sia un nuovo massiccio incendio del Caucaso. Solo la minoranza relativamente leale alle autorità suppone dubbiosamente che gli uomini delle strutture armate non sappiano semplicemente lavorare in un altro modo. Del fatto che le forze dell'ordine possano effettivamente essere interessate all'esistenza dei terroristi e addirittura a guidarli qui, pare, è effettivamente convinta gran parte della popolazione. I loro argomenti sono questi. In primo luogo, i militanti sono la soluzione: a un uomo delle organizzazioni clandestine ucciso si può ascrivere tutto ciò che si vuole, a cominciare dal furto di una macchina per finire con il racket e l'omicidio. In secondo luogo, se non ci sarà terrorismo, non ci saranno decorazioni, promozioni, premi, anzianità “accelerate”. Non ci saranno, come ora succede, settimane a riversare ogni tipo di armi, aviazione compresa, su montagne disabitate per poi vendere sottobanco i proiettili inutilizzati. Non ci sarà a chi far avere un'arma automatica “non contabilizzata” o “perduta”. Non ci sarà neanche il finanziamento federale per la lotta al terrorismo. Le cifre concrete di questi stanziamenti sono tenute segrete, tuttavia, secondo il ministro delle Finanze della Cecenia Èli Isaev, a causa dell'abolizione sul territorio della repubblica del regime di KTO “nelle casse della repubblica non si escluderanno l'imposta sui redditi delle persone fisiche, è un'aggiunta nell'ordine di due miliardi di rubli [27], che venivano pagati secondo la Disposizione del governo n. 65 a militari e poliziotti per la partecipazione a una КТО”. Considerando che l'imposta sui redditi della persone fisiche ammonta al 13%, si può calcolare: solo in Cecenia per gli stipendi ai militari e gli aumenti alla polizia locale le casse federali versano ogni anni più di 15 miliardi di rubli [28]. E questo senza contare le spese tecniche, per le uniformi, i carburanti, ecc. La cosa che più colpisce, è che in una versione del genere, pare, credono anche molti agenti della polizia locale. Una volta, mentre attendevamo udienza presso l'amministrazione inguscia dello FSB sono andato al caffè con un fotografo. Qualche minuto dopo sono entrati di corsa due combattenti con armi automatiche in compagnia di un tenente del DPS [29]. – Mostrate i documenti! Cosa c'è nelle borse? Li abbiamo mostrati, l'atmosfera. Si è chiarito che i servitori della legge erano stati chiamati dai cittadini vigili, spaventati dai nostri zaini. Poiché erano già le una di pomeriggio e dal mattino ci avevano già perquisiti tre volte, non mi sono trattenuto e ho chiesto perché con tanto zelo impiegato non riescano a prendere i militanti. – Beh , I militanti non vanno a piedi… – Eppure anche le macchine vengono controllate molto accuratamente, vero? – ho detto, rivolgendomi all'uomo del DPS. – Eccome le controlliamo! Le controlliamo tutto il tempo. Ma i militanti hanno un alibi… La risposta era un'allusione evidente alle cedole speciali federali, ma valeva la pena di precisare. – Cosa intende dire? – feci finta di essere straniero. – Là ve lo racconteranno, – e il tenente incattivito ha fatto cenno all'enorme edificio dello FSB. Non c'erano più dubbi. Un altro poliziotto inguscio ha ritenuto indispensabile avvertirmi di non credere a quello che dicono delle operazioni speciali i suoi capi e la televisione: “Non dicono una parola di vero, ascoltate i parenti – quelli raccontano tutto com'è, già lo so”. E un inquirente daghestano ha raccontato che una volta fu arrestata una persona che aveva sotterrato delle mine al lato di un'autostrada. Su di lui fu trovato un distintivo di collaboratore dello FSB, l'autenticità del quale fu confermata dalla dovuta telefonata. Toccò rilasciare l'inusuale terrorista, nonostante che al momento dell'arresto fosse rimasto ucciso un poliziotto. Fu registrato come caso sfortunato: “Certo, lo FSB ha la sua gente nelle organizzazioni clandestine, e non poca. Il punto sono i loro metodi. Il lavoro di intelligence va condotto così, solo quali compiti si danno a queste persone? I più diversi, pare…» Gli stessi uomini delle strutture armate, stranamente, non si affrettano a sfatare i miti di imparzialità. Di parlare ufficialmente con i corrispondenti di “RR” con diverse motivazioni si sono rifiutati in tre sezioni del ministero degli Interni, due UFSB [30] e un reparto militare. Per di più, ovunque, tranne che in Inguscezia, ci hanno “pressati” molto attivamente, ci hanno fatto capire con impegno che non erano affatto contenti della nostra comparsa. In Daghestan ci hanno tenuti agli arresti per le tre ore stabilite e, come sono usi fare, senza presentarsi hanno spiegato che se avessimo continuato in quello spirito, ci sarebbe potuto “succedere qualcosa di ben poco bello, per esempio un sequestro di persona o perfino un omicidio” – come se avessero a che fare con dei militanti. E in Cecenia, a ben vedere, ci hanno mandato non solo qualche “pedinatore”, ma anche una “decina” [31] metallizzata di accompagnamento, che, senza nascondersi, andava accanto a noi e si è perfino divertita, tagliandoci la strada sulle “zebre”. Le regole del gioco E comunque, nonostante gli argomenti abbastanza forti dei sostenitori della “teoria del complotto” e il caparbio rifiuto delle autorità di smentirli, la più probabile spiegazione della violenza che si è abbattuta sul Caucaso è l'atmosfera di anarchia e assoluto disordine. Solo pigri e paurosi, pare, non pescano nel torbido della politica locale. Qui si può uccidere chiunque – un concorrente in affari, l'inquirente che indaga su di te, l'oppositore politico: si scarica tutto comunque sui militanti. Anche sequestrare persone, estorcere denaro, occuparsi di racket o farsi pagare il pizzo al mercato si può. Lo spazio per trarre profitti è semplicemente gigantesco e di questo, indubbiamente, godono tanto i militanti, quanto la polizia, tanto i clan tribali, quanto la mafia, tanto i politici, quanto gli imprenditori. Tutto ciò di cui c'è bisogno è un travestimento, una maschera e qualche arma automatica: un'attrezzatura che ai nostri tempi è più che accessibile. Perché commerciano non solo le risorse amministrative, ma anche i materiali. Per esempio, non lontano dal villaggio inguscio di Troickoe [32], dov'è dislocato un reggimento dell'esercito russo, lungo la strada stanno persone esauste con imbuti e taniche. Sulle taniche ci sono le cifre 80 e 92. Benzina. Di fronte a questo posto c'è un bel distributore, ma le taniche evidentemente godono di maggiore popolarità. – In primo luogo, è un rublo [33] meno cara, – ha spiegato la propria scelta uno dei guidatori, – e in secondo luogo, dal distributore c'è la benzina schifosa della NPZ [34] di Groznyj. Dopo averla messa la macchina va a tre e tossisce. Ma nelle taniche c'è la benzina che usano i militari. A loro per la lotta al terrorismo portano un buon carburante con le autocisterne fin da Rostov [35]. Beh, lo dividono con la popolazione. Nella stessa Inguscezia non si possono comprare alcolici. Da nessuna parte. Di nessun tipo. Quasi tutti quelli che li servivano o li vendevano sono stati uccisi. Gli altri sono stati impauriti a sufficienza. Chi abbia fatto questo – è una questione che crea polemica. Alcuni dicono: i militanti che lottano per la purezza dei costumi. Altri – gli intraprendenti osseti [36], da cui adesso è costretta ad andare per una bevuta tutta l'Inguscezia che beve, compresi migliaia di “difensori dell'ordine” federali. Beh, certo, l'abuso assoluto conviene ai poco puliti faccendieri della politica. Pochi credono che l'omicidio del capo del ministero degli Interni del Daghestan Adil'gerej Magomedtagirov sia stato opera dei militanti. Troppa voglia aveva di diventare il nuovo presidente del Daghestan. Troppa gente non voleva ciò. L'attentato a Junus-Bek Evkurov è stato organizzato dai militanti? E' possibile. Ma non gli è stato chiesto espressamente? Del fatto che nel Caucaso c'è il casino più totale ci si può convincere perfino in una situazione che esige, parrebbe, la massima concentrazione. Avendo saputo che nel centro di Machačkala veniva condotta un'operazione speciale, io e il fotografo siamo corsi via dall'albergo e preso un taxi, ci siamo lanciati nella notte. Il quartiere, come promettevano in televisione, era circondato. Non facevano passare le macchine. Ci siamo preparati a filarcela dalla macchina e andare a piedi. Tuttavia il guidatore ha solo ridacchiato. Tre giri di volante – ed ecco che insieme a qualche altra decina di macchine siamo passati per i cortili alle spalle degli assedianti. A cento metri dal “punto caldo” c'è un secondo cordone. Oltre questo non fanno passare neanche i pedoni – sparano comunque. Tre minuti di trattative terminano con la frase: “Passate, solo che io non vi ho visto”. Propongo al condiscendente poliziotto di controllare i nostri documenti e il contenuto degli zaini per avere la coscienza pulita. Non gli interessa. Ed eccoci già in un mucchio [37] di uomini delle forze speciali, agenti operativi, pompieri, medici e qualche capo della polizia. Un Ural dell'esercito, bucato in alcuni punti, è fermo e perde olio. In cielo si riversa bagliore la casa in fiamme in cui sono asserragliati i militanti. “Li abbiamo semplicemente dato contro con gli “Šmeli” [38] – qui non c'è da star tanto a pensare”, – commenta malinconicamente uno dei combattenti. Un uomo in borghese esige via radio che si mandi un altro BTR: a quello che è arrivato non funziona il cannone. Alla fine l'incendio della casa viene spento. Risuonano tre colpi distinti. Di grazia [39] – uno per militante. Perché questi, come si dici, da vivi non si arrendono… La direzione spirituale Fra l'altro, il fatto che nel Caucaso regni il caos e che gli organi di tutela dell'ordine violino la legge quasi più spesso dei cittadini non toglie il fatto che i militanti wahhabiti [40] – o, più precisamente, salafiti [41] – esistono davvero. Fra l'altro, bisogna capire che, contrariamente all'opinione diffusa, se tutti i militanti sono salafiti, ciò non significa che tutti i salafiti sono militanti. Questi sono solo sostenitori di una delle correnti dell'Islam, il cosiddetto Islam puro, che si contrappone all'Islam “tradizionale”. Questi negano la possibilità di una mediazione tra Allah e la persona e non riconoscono le interpretazioni del Corano. Questi sono protestanti musulmani, una sorta di reazione allergica della società alla mancanza di difesa, alla difficile situazione sociale, agli abusi e anche all'evidente unione della “chiesa” ufficiale con il potere. Ciò non significa che non bisogna lottare con l'allergia, ma bisogna capire che questa è solo un sintomo della malattia. I principali allergeni per i salafiti sono il Muftiato [42] dell'Inguscezia e la Duchovnoe upravlenie musul'man Dagestana [43] (DUMD). Queste strutture sono in qualche modo simili alla Chiesa Ortodossa Russa – sono anch'esse eredi legittime della “chiesa” dei tempi sovietici. Anch'esse non di rado sono accusate di trarre profitti dai credenti, di fare accordi con le autorità laiche, di mancanza di tolleranza verso i praticanti la stessa fede e di dubbio status civile. Della DUMD dicono perfino che proprio questa stili per i poliziotti le liste di “infidi”. Si ritiene che proprio la DUMD abbia fatto lavoro di lobby per far approvare la legge “Sul divieto di wahhabismo e di altre attività estremistiche sul territorio della repubblica del Daghestan” [44], che molti ritengono discriminatoria. – Dopo il crollo dell'URSS è caduta un'ideologia e non ce ne hanno data un'altra. Ecco che sono giunti qui missionari di diversi paesi: le loro parole sono cadute sul fertile suolo della disorganizzazione della vita e del vuoto di visioni del mondo. In seguito la maggior parte di questi si sono rivelati wahhabiti, cioè, lo diremo direttamente, settari, – ci ha spiegato l'addetto stampa della DUMD Magomedrasul Omarov. – Ma allora non potevamo concorrere con loro, avevamo una catastrofica carenza di oratóri, perché il sistema di istruzione religiosa andava ricostruito praticamente da zero. Tuttavia la DUMD si è gradualmente rafforzata e ha preso a lottare con i concorrenti per la stessa “mediazione” che i salafiti negano. Nel 2004, basandosi sulla legge “Sul divieto di wahhabismo”, la Direzione spirituale è giunta ad un passo senza precedenti – il divieto di tutte le traduzioni letterali del Corano. Al loro posto è stato prescritto ai credenti di leggere le interpretazioni – un “riassunto” ideologicamente moderato del libro sacro, cioè proprio quello che i salafiti non approvano. – La traduzione letterale può essere intesa scorrettamente da una persona non preparata, – dice Omarov convinto. – Per esempio, “Uccidete gli infedeli, ovunque li incontriate” – per non prenderlo come una guida all'azione, è indispensabile possedere speciali conoscenze islamiche, sapersi orientare su come dato dall'alto il Corano. Noi proponiamo ai musulmani di leggere le interpretazioni e di imparare il Corano a memoria in arabo. In risposta alle mie parole sul fatto che, dicono, la DUMD collabori con la polizia contro i salafiti, Omarov è inaspettatamente esploso in una tirata sulla difesa dei diritti umani: – Niente di simile! La nostra polizia è totalmente marcia, questo è visibile a tutti, in Daghestan non ci sono stupidi. Un inquirente si siede e si tira fuori dalla testa [45] i crimini. Lo vedi, ha un piano! Dica, quanti wahhabiti sono stati interrogati in presenza di un avvocato? Quante persone arrestate sono state rilasciate senza essere state picchiate? Certo, viene fuori un sacco di vendicatori. Così le azioni sporche dei nostri uomini delle strutture armate si riflettono “nei boschi” [46]. Qui è in corso una guerra civile, qui è un vero '37 – le stesse torture e spaccature [47]! – Forse potreste fare una dichiarazione ufficiale del genere a nome dell'organizzazione? Vistala, smetterebbero di accusarvi di collaborazionismo. – E chi cambierà questo? Chi ci ascolterà? E nessuno ha voglia di parlare nel vuoto, – ha borbottato Omarov e, ripresosi, ha aggiunto: – Fra l'altro, consideri che io ora non ho parlato della polizia a nome del DUMD. Sono stato io come privato cittadino, piuttosto. Duplice potere e duplice pensiero Per completare il quadro avevamo molta voglia di trovare un militante. Di trovarne uno in azione non ci è riuscito, peraltro ne è venuto fuori uno amnistiato poco tempo fa. Si è trovato nel villaggio montano di Gimri [48], nella patria di due imam leggendari: Šamil' [49] e Gazi-Magomed [50]. Gimri è noto non solo per la propria storia, ma anche per il fatto che qualche anno fa qui si è tentato di sostituire le leggi russe con le leggi della shari'a. Subito dopo gli abitanti furono “puniti” – nel villaggio fu introdotto il regime di KTO. Un gruppo di militari circondò il villaggio e lo divise in settori. Agli abitanti fu permesso entrare e uscire solo con permessi speciali, che non venivano certo rilasciati sempre e a tutti. Qualcuno risultò del tutto “impossibilitato a uscire”, molti persero il lavoro. Gli abitanti ricordano quei giorni con terrore. A giudicare dai racconti, il ritorno dei cittadini nell'ambito legale russo si compì per mezzo di ininterrotti spari in aria e perquisizioni giornaliere. Due volte al giorno – mattina e sera. Per completare il tutto i soldati ruppero porte, cancelletti, recinzioni e praticamente tutti gli albicocchi, su cui si basava il benessere di parte degli abitanti di Gimri. La shari'a non resse molto, ma la KTO si prolungò praticamente per un anno. Abbiamo aspettato Magomed tutta la sera. Alla fine, a mezzanotte e mezza irruppe nella stanza un uomo massiccio e barbuto con un grande sorriso sulle labbra. – Chi cercava qui una formazione armata? Eccoli! – rise. Come ci è stato spiegato, Magomed è riuscito a mettersi in luce ancora al tempo della seconda campagna cecena [51]. – Già allora capivo qualcosa di religione e sono andato, – ci ha comunicato fiducioso. – Per la giovane età là non ho combinato nulla, ma sulla via del ritorno mi hanno arrestato. Cosicché conosco tutte queste torture e altre cose, ci sono passato. Magomed è stato un anno in prigione per aver preso parte a una formazione armata illegale ed è tornato a Gimri. Fra l'altro, non per molto. – Dopo la galera ero già registrato da loro. Ed ecco che qualche anno dopo il mio ritorno hanno effettuato un'operazione speciale qui, nella casa dove vivevo. Non ero in casa, ma hanno ucciso il mio vicino. Poi alcune persone mi hanno detto che in realtà erano venuti per me. Che dovevo fare? Come tornare… Ho preso e me ne sono andato, sui monti e poi nella gola. Magomed ha accennato con la mano qualche posto indistinguibile nell'oscurità sulla catena montuosa e si è messo a pensare. – In ogni villaggio ora ci sono alcune persone che sono pronte ad aiutarmi con cibo o armi. E' pericoloso, ma comunque mi aiutano, – Magomed mi ha guardato come se giocassimo a scacchi. – Capisci, la gioventù ora vuole vivere secondo le leggi rivelate da Allah, secondo le leggi della shari'a. Cioè tagliare la mano per furto. In caso di rapporti extraconiugali, a chi non è sposato cento bastonate e lapidare chi è sposato. Ma cosa c'è da noi ora secondo il codice? Per furto – sei mesi, rapporti extraconiugali – in generale senza problemi, – ha proferito Magomed come se dicesse “Scacco!”. – Inoltre le leggi russe non funzionano comunque e dove c'è la shari'a, la gente ha paura e non fa nulla di male. Ma la Russia ora spadroneggia da noi, è chiaro che non vuole recedere. – Cioè non si può vivere in Russia in nessun modo? – E come? C'è proprio bisogno di vivere secondo le leggi di Allah? Certo. Vuol dire che c'è bisogno di uno stato a se: imarat o èmirat [52], per me è lo stesso. Scacco matto. I poliziotti sono convinti che le loro azioni sono necessarie allo stato e utili per la società – lottano contro estremisti e killer. I wahhabiti sono convinti che le loro azioni sono gradite a Dio [53] e liberano la società dai carnefici in veste di poliziotti. In generale nelle azioni di questi nemici giurati qua e là si individua una qualche paradossale simmetria. I wahhabiti, come qui si ritiene, sono sostenuti con i soldi di gente che agisce dietro le quinte a livello mondiale. Tuttavia ciò non è provato. Peraltro è perfettamente noto che si occupano con pieno successo di racket, estorcendo denaro a uomini d'affari che capiscono che la polizia non può difendere neanche se stessa. I poliziotti idealmente esistono a spese dello stato, ma in realtà anche per loro le principali fonti di reddito sono racket ed estorsioni. E gli uni e gli altri “non fanno prigionieri”. E gli uni e gli altri per tutelare i loro interessi ricorrono all'intimidazione, al ricatto e all'uso di schemi di corruzione. Perfino a nascondersi sono costretti non solo i “fratelli dei boschi”, ma anche i poliziotti, che ridipingono i loro autobus di colori “civili” e preferiscono andare al lavoro in borghese. Il finanziamento dei wahhabiti probabilmente dipende dai loro successi nella lotta contro la polizia, com'era, per esempio, in Cecenia. Il finanziamento degli uomini delle strutture armate esige la presenza dei militanti. Di conseguenza i capi, tanto dei wahhabiti, quanto della polizia, che prosperano sullo spargimento di sangue, preferiscono accendere il conflitto riempiendo i “combattenti” di propaganda. “Noi combattiamo con delle belve”, – ficcano in testa fin da giovani ai loro sottoposti. Cito al vice comandante del 2° reggimento del PPS [53] Junus Abdulchalikov il film “The Yakuza way”, dove lo sbirro buono dice nel finale: “La giustizia sommaria è meglio della legge”. Gli chiedo se è d'accordo. – Certo, – fa eco convinto il servitore della legge, ma, soffermandosi, pare, decide che non era il caso che un poliziotto parlasse così e aggiunge indeciso: – Anche se non lo si può dire in modo univoco. Tuttavia, a ben vedere, del fatto che “la giustizia sommaria è meglio della legge” qui sono convinti praticamente tutti. I militanti, che uccidono i poliziotti che li hanno torturati. I poliziotti, che torturano i militanti che li hanno uccisi. I civili, che ritengono che “i wahhabiti sono belve e a cane – morte da cane”, o che “gli sbirri sono diventati del tutto spudorati, così bisogna fargli – la prossima volta ci penseranno”, o l'una e l'altra cosa contemporaneamente. La sconvolgente “specularità” qua è la viene fuori nei pensieri e nei giudizi più inaspettati. Durante una permanenza di tre ore allo UVD [55] del villaggio di Šamil'-Kala [56] abbiamo conversato con uno dei poliziotti. Guardando arrabbiato verso le montagne, ha comunicato che I militanti sono un frutto del complotto giudaico-massonico. Alla domanda sul perché gli ebrei con i propri soldi dovrebbero organizzare un imarat islamico sul territorio della prevalentemente ortodossa Russia, la risposta è stata evidentemente preparata in precedenza: “Perché ci uccidiamo gli uni gli altri, poi verranno e prenderanno il nostro posto, faranno qui il secondo Israele”. Un'ora e mezza dopo sedevamo tra i salafiti del villaggio di Gimri. Il più eloquente di loro – un vecchietto alto di nome Amir [57] – fu d'accordo di svelarci come in segreto una cosa arcana: il mandante dell'attuale massacro. “I massoni”, – ha detto con tono da cospiratore. “Giudeo-?” – ho solo chiesto io. “Certo. Vogliono creare qui il loro stato”. Due antipodi, ognuno dei quali farebbe con piacere un buco in testa al nemico, pare che non siano così lontani l'uno dall'altro. Ho rammentato la frase del presidente Evkurov, per cui, ricordo, mi schiantai dal ridere: “Alla destabilizzazione della situazione del Caucaso settentrionale sono interessati gli USA, la Gran Bretagna e Israele, scopo comune dei quali è impedire la rinascita della Russia”. Non avevo più voglia di ridere. Fra l'altro, da entrambe le parti ci sono i cosiddetti moderati, che invitano al dialogo. Sia l'attivista per i diritti umani dell'organizzazione “Madri del Daghestan” Gjul'nara Rustamov, la cui famiglia non è stata scansata dalle “ripuliture” [58], sia il convinto uomo delle strutture armate Abdulchalikov, che ha perso molti compagni, – conversando entrambi con noi hanno ricordato i dibattiti televisivi che venivano tenuti negli anni '90 tra i leader dei wahhabiti e i sostenitori dell'Islam tradizionale. Ed entrambi hanno chiesto dubbiosamente: perché non provare? Così così, ma comunque è un passo in una nuova direzione. Perché è impossibile non notare ciò che è evidente: la spirale di violenza si avvolge sempre più, la tensione in Daghestan cresce ogni anno, muoiono sempre più persone. Perfino l'ex militante Magomed ha detto anch'egli che non insisterebbe per l'introduzione violenta delle leggi della shari'a, se gli permettessero di vivere tranquillamente e propagandare le proprie idee. Magomed non ha esitato un secondo: “Se fossi stato contro la pace, non me ne sarei andato dai boschi”. http://www.ingushetia.org/news/20471.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |
[1] “Russkij Reportër” (Il Reporter russo), rivista su cui è apparso originariamente questo articolo.
[2] 1-4 euro.
[3] Città del Daghestan sul Mar Caspio.
[4] 1000 rubli, oltre 22 euro.
[5] Letteralmente “grigi”. Comunque sporchi.
[6] Città della Russia meridionale.
[7] Nome colloquiale di San Pietroburgo.
[8] Città della Russia meridionale sul Mar Nero.
[9] “Russia-Statistiche”, nome popolare dell'Istituto Federale di Statistica Statale.
[10] Ničtože sumnjašesja in slavo ecclesiastico sta per “senz'alcun dubbio” o “senza esitazione”. L'espressione è nella Lettera di Giacomo 1,6 ed è usata ormai solo ironicamente.
[11] Oltre 38,5 milioni di euro.
[12] Oltre 29,4 milioni di euro.
[13] Per siloviki (da sila, “forza”) si intendono gli uomini delle strutture deputate all'uso della forza, cioè oltre alle Forze Armate e a quelle di polizia, i servizi segreti e il ministero per le Situazioni di Emergenza (sorta di Protezione Civile).
[14] Marca di automobili.
[15] Stanica, villaggio fondato dai Cosacchi.
[16] Villaggio dell'Inguscezia settentrionale.
[17] Mezzi blindati della BroneTankovyj Rezerv (Riserva di Carri Blindati).
[18] Rajonnyj Otdel Vnutrennich Del (Sezione Distrettuale degli Affari Interni), in pratica la sede distrettuale della polizia.
[19] Automobile prodotta dalla AvtoVAZ (Auto-VAZ – Volžskij AvtoZavod, “Fabbrica di Automobili del Volga”), il principale gruppo automobilistico russo.
[20] Nezakonnoe Vooružënnoe Formirovanie (Formazione Armata Illegale).
[21] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e tuttora attiva sul fronte dei diritti umani.
[22] Otdelenija Vnutrennich Del (Sezioni per gli Affari Interni), in pratica le sedi locali della polizia.
[23] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza).
[24] Nota frase di Stalin.
[25] Dopo la fallimentare riforma monetaria del 1993, l'allora primo ministro Viktor Stepanovič Černomyrdin disse “Volevamo fare il meglio possibile, ma è andata come sempre”. La battuta è diventata proverbiale.
[26] KontrTerrorističeskaja Operacija (Operazione AntiTerroristica).
[27] Oltre 45,3 milioni di euro.
[28] Oltre 340 milioni di euro.
[29] Dorožno-Patrul'naja Služba (Servizio di Pattuglia delle Strade).
[30] Upravlenie Federal'noj Služby Bezopasnosti (Direzione del Servizio Federale di Sicurezza).
[31] Nome colloquiale della Lada 110.
[32] Villaggio dell'Inguscezia centro-settentrionale.
[33] 0,02 euro (al litro, suppongo).
[34] NeftePererabatyvajščij Zavod (Fabbrica per la Raffinazione del Petrolio).
[35] Città della Russia meridionale.
[36] L'Ossezia del Nord e quella del Sud sono le uniche repubbliche caucasiche a maggioranza cristiana.
[37] Kuča-mala (letteralmente “il mucchio è piccolo”) è il gioco dei bambini quando si gettano gli uni sugli altri in ammucchiata.
[38] “Bombi”, lanciafiamme di grande potenza.
[39] Letteralmente “di controllo” (per assicurarsi che muoiano).
[40] In Russia “wahhabiti”, cioè seguaci della corrente fondamentalista di al-Wahhab vengono chiamati tutti gli estremisti islamici in generale.
[41] Fondamentalisti islamici.
[42] Consiglio dei mufti, gli esperti della legge islamica.
[43] “Direzione Spirituale dei Musulmani del Daghestan” (il corsivo, qui e altrove, è mio).
[44] Le leggi della Federazione Russa si identificano con un titolo e non con un numero.
[45] Letteralmente “si succhia fuori da un dito” (modo di dire russo).
[46] Dove si nascondono i militanti.
[47] A proposito delle repressioni Stalin parlava anche di “spaccare la legna”.
[48] Nel Daghestan centro-meridionale.
[49] Il più grande condottiero della resistenza caucasica ai Russi nel XIX secolo.
[50] Condottiero caucasico del XIX secolo.
[51] Quella iniziata nel 1999.
[52] Magomed usa il termine caucasico e quello russo per “emirato”. Doku Chamatovič Umarov, ultimo presidente dell'autoproclamata Cecenia indipendente, nel 2007 si è autoproclamato emiro (cioè capo militare e politico e in qualche modo anche guida morale) del Caucaso settentrionale.
[53] Scritto sovieticamente con l'iniziale minuscola.
[54] Patrul'no-Postovaja Služba (Servizio di Pattuglia e di Posto di Blocco).
[55] Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione degli Affari Interni), in pratica la sede della polizia.
[56] Villaggio del Daghestan centro-meridionale.
[57] “Emiro”.
[58] Retate delle strutture armate, durante le quali vengono portate via e fatte sparire molte persone.
2 commenti:
Grazie per la traduzione e per il tuo impegno che metti a disposizione di tutti.
@Anonimo: prego...
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