14 marzo 2010

Cronache dallo stato che non c'è, l'Emirato del Caucaso (II)

L'Emirato del Caucaso. Lo stato che non c'è



Parte 2. Scopi, tattica, vita quotidiana, personalità dei governanti notturni, fiumi di denaro e di armi


La clandestinità e le formazioni armate illegali

Valutando le dimensioni dell'attività dei drappelli alla macchia, bisogna tenere in considerazione la differenza tra le formulazioni “clandestinità banditesca” e “formazione armata illegale”. In una formazione armata illegale sono coinvolte centinaia di piccole armate. L'uomo del Caucaso è sempre armato, questo è nella coscienza delle persone. La clandestinità è notevolmente meno numerosa. Per quanto Dokku Umarov dichiari che ci sono migliaia di nuovi combattenti, appare sempre più precisa l'aritmetica degli uomini delle forze dell'ordine, che valutano lo zoccolo duro combattente solo in qualche centinaio di persone in tutto. E' un'altra faccenda che a dare il cambio a dieci uccisi giungano dieci nuovi e che anche per chi è stanco di marciare ci sia con chi sostituirlo.

Non tutte le formazioni armate illegali hanno a che fare con la clandestinità banditesca. Ci sono anche quelli che si confrontano con questa clandestinità banditesca. Ci sono anche quelli che stanno semplicemente a parte, senza partecipare alle rese dei conti che ci sono per realizzare i propri compiti, fondamentalmente commerciali. E certamente l'attività dei militanti non va misurata secondo le informazioni ufficiali, che attribuiscono alla “clandestinità banditesca” qualsiasi esplosione, qualsiasi omicidio, qualsiasi sequestro. Per questo ci sono due cause:

1) Questo conviene agli uomini delle strutture armate: la continua tensione permette, in occasione di qualsiasi regolamento di conti con l'uso di armi (cosa che nel Caucaso non esce dall'ambito della quotidianità), di varare l'ennesima piccola operazione antiterroristica. Lo stato paga più caro la partecipazione ad esse.

2) Questo conviene anche ai militanti: il fatto che alla tua squadra attribuiscano l'organizzazione di sabotaggi su un territorio che arriva ai boschi di Novgorod [1] non rafforza solo l'immagine dell'organizzazione, rafforza anche lo spirito dei combattenti.

Un piccolo esercito lo possiede ogni più o meno noto funzionario o commerciante caucasico. Le scorte di molti presidenti caucasici e altri grandi personalità, se si guarda severamente ad esse attraverso il prisma della legge, sono pure formazioni armate illegali. Tuttavia, se alle grandi personalità è permesso trattare la legge come fa loro comodo, i personaggi minori talvolta hanno delle difficoltà in questo senso.

Con la diversità dei raggruppamenti si confondono anche gli stessi uomini delle forze dell'ordine. Per esempio, alla fine di maggio dello scorso anno all'ingresso di Nazran' [2] è stata rumorosamente fermata una formazione armata illegale. Sono state prese 15 persone con un intero arsenale. All'arresto dei militanti è andato personalmente Aleksej Vorob'ëv, allora presidente del Consiglio di Sicurezza dell'Inguscezia e adesso suo primo ministro. Questi non senza soddisfazione ha raccontato i dettagli alla televisione federale e locale: “I banditi avevano con se armi automatiche Kalašnikov, pistole Makarov, TT [3] e anche pistole di produzione, apparecchi per la visione notturna, sacchi a pelo, equipaggiamento speciale per la marcia nel bosco, una grande quantità di telefoni cellulari e carte sim”.

Il ministero degli Interni ha subito comunicato che “i banditi hanno preso parte ad attacchi contro abitanti della repubblica”.

Tuttavia l'interesse per questa clamorosa vittoria si è subito sgonfiato. Hanno smesso di reclamizzarla, nessuno l'ha ricordata tra gli eccellenti meriti degli uomini delle forze dell'ordine ingusce. Tutti e 15 i membri della banda sono stati rilasciati. Come si è chiarito, erano persone che proteggevano le stazioni di servizio del locale re del petrolio Alichan Palankoev. In qualche modo non hanno dato corso alla cosa, si è scoperto che la formazione armata illegale era del tutto legale e Palankoev ha reso noto “a chi si deve” che ha il proprio sottoreparto armato. E Vorob'ëv, evidentemente, non si è ancora guardato intorno, non è entrato nelle realtà locali e ha confuso degli onesti sgobboni con dei militanti.

Molti omicidi – e la polizia non lo nasconde neanche – si verificano su base commerciale. Sono i regolamenti dei conti tra banditi che risultano più crudeli che nella zona media o, diciamo, sugli Urali, in quanto regione piena di armi.

Quando nel corso delle indagini sull'ennesimo clamoroso omicidio la polizia divulga il fatto che alla cosa hanno preso parte i wahhabiti [4], questo non significa ancora che questi, i wahhabiti, abbiano agito nell'ambito di un'iniziativa personale. L'eliminazione di nemici e concorrenti è uno dei servizi che la clandestinità propone a persone agiate delle repubbliche caucasiche. Beh, a chi altro si può affidare tali cose se non a ragazzi che sanno maneggiare professionalmente la mentobojka*, che inoltre difficilmente vivranno a lungo dopo aver eseguito l'ordine. Per di più un omicidio commesso da estremisti è un caso assolutamente vago dal punto di vista della criminologia. Anche a voler concedere che la polizia cominci a chiarire oggettivamente l'accaduto, non andrà oltre gli esecutori materiali. La polizia ha bisogno di un motivo razionale. E i militanti hanno motivi irrazionali, perlomeno dal punto di vista della logica poliziesca.

Una parte degli omicidi e delle sparizioni non spiegare e non investigate vengono tacitamente attribuite ai cosiddetti vendicatori del sangue. Di questo sono giunto a sentire anche dalla polizia: “Non è scomparso – l'hanno ucciso i vendicatori del sangue”.

Non credo che ai vendicatori del sangue vada ascritta una qualche quota significativa dei crimini caucasici. Anche se in Inguscezia e in Daghestan negli ultimi tempi è diventato di moda presentare all'avversario in segno di sfida i propri obblighi di sangue. Ma una cosa è uccidere qualcuno per prepotenza, tutta un'altra è uccidere per compiere una vendetta di sangue. Qui bisogna osservare tutto il cerimoniale, fino a sparare proprio nel posto in cui ha ricevuto la pallottola la persona da vendicare. La vendetta di sangue presuppone un meccanismo molto difficile per la propria realizzazione. Qui per te ci sono anche i vecchi di entrambi i clan e le visite reciproche e la conseguente constatazione del fatto della vendetta avvenuta – perché entrambe le parti riconoscano la vicenda esaurita e chiusa.

Io non ricordo una sola vendetta portata alla logica conclusione negli ultimi anni. I caucasici dicono: “Aspetta, da noi una cosa del genere la ricordano per due o trecento anni”. Ma i resoconti operativi sugli omicidi nella regione caucasica si fanno qui e ora. Non dopo duecento anni.

Nel Caucaso c'è anche un'altra causa di elevata mortalità – non è escluso che sia la più significativa. Sono le stesse strutture per la tutela dell'ordine. Talvolta uccidono apertamente: con BMP [5] e lanciagranate. Talvolta giungono mascherati e, senza presentarsi, portano via persone con se – trovare un sequestrato vivo è poco probabile Peraltro tutti – uccisi e rapiti – vengono dichiarati fiancheggiatori dei militanti: perfino se prima gli organi per la tutela dell'ordine non se ne erano interessati.

Per quanto sia terribile, in tali azioni degli uomini delle strutture armate c'è una determinata logica. Cercando di combattere con la clandestinità apertamente, osservando tutte le finezze procedurali, questi si scontrano con la fattiva inefficacia della macchina statale. Supponiamo che tu abbia arrestato una persona che andava nel bosco con un'arma. E cosa gli contesti, a parte l'articolo 222**? Anche se hai una ferrea convinzione sul perché si trascinava per il bosco, qui non c'è odore di terrorismo. E la partecipazione a una formazione armata va dimostrata. Così lo giudicheranno i giurati – per lo stesso articolo 222 o, diciamo, per il 317 – attentato alla vita di un agente di polizia. E i giurati, come ha mostrato la pratica, sono molto benevoli con gli imputati storpiati nei SIZO [6], nei confronti dei quali la principale prova è la loro confessione.

Il tuo arrestato esce dopo qualche anno (se non se la cava con la condizionale) e si da di nuovo alla macchia con un odio ancora più bruciante per gli sbirri dopo tutto quello che gli hanno combinato nel SIZO.

Perciò gli organi per la tutela dell'ordine a questi metodi preferiscono la giustizia sommaria. O, nel caso in cui da una persona si possa ottenere qualcosa, il sequestro con conseguente esecuzione.

La clandestinità e i servizi segreti

Di per se il fatto che la clandestinità e i servizi segreti siano legati tra loro non ha alcuna valenza. Non è un bene e non è un male – è semplicemente così. Chi vincerebbe, se i nostri combattenti del fronte invisibile in generale non sapessero nulla di ciò che accade nell'Emirato Caucasico?

Il male è un altro. Mettiamo che per dirigere questa guerra e ottenere dei dividendi da essa i servizi segreti si creino un nemico. Allora sorge la domanda: quanto è concesso a questo nemico? E viene fuori che gli è stato concesso già troppo.

Tutti i terroristi uccisi durante il blitz della scuola di Beslan nel corso della loro vita ebbero stretti rapporti con la polizia e lo FSB [7]. Peraltro questi incontri terminarono in modo sorprendentemente favorevole per loro: alla fine di agosto del 2004 tutti questi militanti, come sappiamo, erano in libertà.

Vladimir Chodov, per esempio, era ricercato dalla polizia dal 1997 per una serie di gravi reati, tra cui c'era anche il terrorismo. A quanto dice il capo dell'UBOP [8] dell'Ossezia del Nord Sochiev, “nel gennaio 2004 grazie a una soffiata fu scoperto un appartamento con documenti e prove materiali che confermavano la sua partecipazione a un atto terroristico (si tratta dell'esplosione a Vladikavkaz [9] del gennaio 2004). Dopodiché fu dichiarato ricercato a livello federale. Ma tutti questi documenti… ce li prese lo FSB. E non abbiamo più indagato su questa vicenda”.

Subito dopo l'atto terroristico Šamil' Basaev intervenne dichiarando che Chodov era un doppiogiochista infiltrato dallo FSB. I militanti lo sapevano: Chodov seppe accordare il lavoro in modo mutuamente vantaggioso. In stretto contatto con i servizi segreti si sarebbe occupato dell'organizzazione di un attacco al governo dell'Ossezia del Nord. Dal 31 agosto 2004 al gruppo dei militanti, secondo l'accordo con i servizi segreti, fu aperto un corridoio per la raccolta dei dati di intelligence, che permise alla banda di entrare senza ostacoli nel cuore dell'Ossezia.

E all'ultimo momento i terroristi all'improvviso “confusero” l'oggetto dell'attacco.

Neanche gli altri terroristi di Beslan erano degli estranei per lo FSB.

I fratelli Cečoev, condannati a Mosca per la presa di un ostaggi, furono portati in Cecenia dagli stessi agenti dello FSB della Federazione Russa qualche anno prima di Beslan – forse per scambiarli con militari russi prigionieri.

Chanpaš Kulaev, secondo la versione ufficiale unico terrorista di Beslan sopravvissuto, nel 2000 finì in un procedimento penale per partecipazione a una formazione armata illegale. Lo giudicavano insieme a tre complici, tuttavia l'inquirente dello FSB russo per la Repubblica Cecena D.A. Filippenko mise a parte il procedimento penale nei confronti di Kulaev. E più tardi emise una delibera sulla cessazione delle indagini “per via della perdita di pericolosità sociale da parte di Kulaev”.

Uno dei consulenti “segreti” del quartier generale durante l'operazione speciale di Beslan era il generale Vladimir Anisimov – adesso già ex vice direttore dello FSB. Per coincidenza proprio questi per lungo tempo si era occupato della formazione della rete di agenti dello FSB nel Caucaso.

Anche nelle biografie di Musa Mukožev e Anzor Astemirov, leader della jama'at [10] della Kabardino-Balcaria, che hanno preso parte all'organizzazione dell'attacco a Nal'čik [11] nell'ottobre 2005, c'è un fatto che spinge a riflettere a proposito delle cause della loro comparsa nella clandestinità.

L'uno e l'altro, si capisce, si trovavano nel campo visivo degli organi per la tutela dell'ordine e riuscirono perfino a stare un po' nella colonia penale “Cigno Bianco” [12]. Ma ogni volta I procedimenti penali contro di loro con motivazioni evasive tipo “mancanza di prove”. Questi loro alti rapporti con i rappresentanti della legalità russa andavano avanti sullo sfondo della durissima pressione sui credenti in Kabardino-Balcaria, quando per morire per mano della polizia era sufficiente semplicemente comparire nella moschea “sbagliata”.

Talvolta lo FSB e la clandestinità portano la spazzatura fuori dalla propria isba comune [13]. Così è successo nel settembre 2007, quando in Inguscezia fu ucciso a colpi d'arma da fuoco il tenente colonnello dell'apparato centrale dello FSB Alichan Kalimatov.

Secondo la versione ufficiale, Kalimatov fu mandato in trasferta nel Caucaso per indagare su misteriose sparizioni di ingusci in Ossezia del Nord avvenute negli anni 2005-2007. In quel periodo furono sequestrati 19 ingusci.

La missione segreta di Kalimatov era largamente nota in entrambe le repubbliche. Dietro la sparizione degli ingusci in Ossezia si vedeva sia il lavoro delle brigate ossete che si vendicavano “per Beslan”, sia delle provocazioni allo scopo di togliere agli ingusci il desiderio di tornare nel distretto Prigorodnyj [14]. (Proprio qui è avvenuta la maggior parte dei sequestri.)

La seconda missione di Kalimatov nel Caucaso era ben meno nota, nelle repubbliche non la valutavano.

Kalimatov sarebbe stato responsabile di un proprio drappello di militanti, pronto a infiltrarsi nella clandestinità. A guidare la propria operazione pose Zelimchan Bataev, che in quel momento era ricercato a livello federale per partecipazione a una formazione armata illegale. Bataev non aveva alcun rapporto né con il fronte caucasico, né con l'Emirato Caucasico che l'ha sostituito. La sua attività banditesca era cominciata durante il conflitto osseto-inguscio, cosicché lo ricercavano per gesta molto vecchie.

Kalimatov non di meno riteneva che Bataev fosse il tipo giusto e lo tolsero dall'elenco dei ricercati.

Non è noto se Kalimatov sia riuscito a infiltrare molti combattenti nella clandestinità prima di essere ucciso a colpi d'arma da fuoco nel settembre 2007. Subito dopo “Kavkazcentr” [15] pubblicò un comunicato secondo cui Kalimatov sarebbe stato ucciso per ordine di Magas, emiro del settore inguscio proprio per l'attività di infiltrazione di provocatori tra le fila dei mujaheddin. Su chi stesse personalmente dietro a questo omicidio “Kavkazcentr” tace. Secondo alcune informazioni, l'operazione sarebbe stata svolta personalmente dall'emiro Tarchan Gaziev – né più né meno che il capo del “KGB” dell'Emirato del Caucaso.

Nel corso dell'anno e mezzo seguente andarono all'altro mondo tutti gli agenti di Kalimatov. Questi, a differenza del tenente colonnello dello FSB, non sono stati uccisi dalla clandestinità. Li ha eliminati qualcun altro, silenzioso – sono semplicemente spariti senza lasciare traccia, peraltro non solo in Inguscezia.

La più clamorosa è stata la storia dell'attentato a Magomed Chamchoev, modesto allenatore di lotta libera per ragazzi. Questi fu sequestrato a Mosca, portato in una palazzina non abitativa nel Serebrjanyj Bor [16]. (Secondo le nostre informazioni, la palazzina figurava nel bilancio di uno dei servizi segreti.) In questa palazzina Chamchoev fu torturato crudelmente per due giorni. Gli domandarono, tra l'altro, anche dei legami con Kalimatov.

Riuscì a scappare e la storia venne a galla. Ma dove si trovi ora Chamchoev non è noto a nessuno. Contemporaneamente a Mosca scomparvero anche alcuni ingusci – anche questi crimini sono rimasti irrisolti.

E' morto anche Zelimchan Bataev, capo del progetto “Clandestinità alternativa” - pare, per un attacco cardiaco.

Suppongo che nessuno dei testimoni di questo tentativo di infiltrazione dei servizi segreti nella clandestinità sia già più tra i vivi.

* Arma automatica AK-74 modificata, a canne mozze.

** Traffico illegale di armi.

Le persone della clandestinità

Said Burjatskij, cioè Aleksandr Tichomirov

Durante le ultime festività ho conversato con molte persone nel Caucaso – semplici o “in servizio” – su cosa pensassero riguardo all'eliminazione di Said Burjatskij nel corso dell'ultima clamorosa operazione speciale nel villaggio di Èkaževo [17]. Ho capito una cosa molto spiacevole per me: questo fatto non viene accolto come qualcosa di univoco. Molti dicono: che se ne vada. Ma ce ne sono anche altri, nelle cui valutazioni, se non ho sentito male, filtra dispiacere e, non lo escludo, simpatia. Un blogger ha scritto: “E' interessante con quale facilità ci siamo ritrovati su rive diverse”.

Sarà indubbiamente scorretto dire che la maggioranza della popolazione condividesse le feroci convinzioni di Burjatskij. Ma che la gente sapesse di lui, che fosse interessante, è un fatto indiscutibile.

Said Burjatskij era un opinion leader assoluto tra I giovani delle repubbliche caucasiche. La sua comparsa nel campo dei militanti ha giocato molto a favore degli ideologi dell'Emirato Caucasico.

Aleksandr Tichomirov – così si chiamava in realtà – era nato a Ulan-Udè [18]. Era buriato [19] solo per parte di padre. Per parte di madre era russo, non aveva affatto radici caucasiche. Fino a 15 anni era stato buddista [20], aveva perfino studiato in un datsan [21] buddista. Poi gli successe qualcosa e abbracciò l'Islam, divenendo da allora Said Abu Saad.

Per questa strada andò lontano.

I conoscitori dell'ambito dei servizi segreti dicono che sulla conversione di Tichomirov ebbe influenza l'amicizia forse con dei ceceni, forse con degli ingusci. Tutto questo appare dubbio.

Ecco cosa racconta una persona che viveva vicino a Tichomirov a Ulan-Udè:

“Viveva in via Chachalov, vicino al policlinico n. 7, studiò alla scuola n. 51 [22]. Una scuola così così, di quelle semplici… Era un ragazzo modesto, grigio e silenzioso. Penso che lo picchiassero senza pietà. Lo posso capire. Perché un pischello grigio delle zone peggiori del quartiere della ferrovia non dovrebbe venir voglia di qualcosa di significativo? Si possono cercare di indovinare quanto si vuole quali fossero i suoi motivi per cominciare a studiare l'Islam. Io credo poco all'influenza di amici ceceni. Quali ceceni c'erano nella città di Ulan-Udè a meta degli anni '90?”

Cresciuto, Said andò a studiare a Mosca, tuttavia lasciò presto gli studi: gli pareva che nella madrasa moscovita insegnassero l'Islam sbagliato. Proseguì la propria istruzione nella madrasa “Al-Furkan” (Buguruslan, regione di Orenburg [23]). Questa è una pagina significativa della sua biografia.

La madrasa di Buguruslan non era molto amata dalla procura e dallo FSB – e non senza fondamento. I nomi di certi diplomati di questa madrasa sono noti in tutto il mondo. Ce n'erano anche tra i terroristi che attaccarono la scuola di Beslan.

La leadership di questa era accusata senza fine di attività estremistica. Alla fine, nel 2004 la madrasa fu chiusa. Ma prima di allora Said Abu Saad era riuscito a finirla e ad andare con un gruppo di diplomati a proseguire l'istruzione in Egitto. Là questi studiò per circa tre anni, imparò l'arabo alla perfezione. Poi si trasferì in Kuwait per continuare a istruirsi.

Tornato in Russia, si sistemò nella casa editrice moscovita “Umma” come traduttore dall'arabo. Allora cominciò a tenere le sue prime lezioni, che acquisirono all'istante un'incredibile popolarità. I temi delle lezioni non mettevano in guardia. “La dignità del digiuno”, “L'inferno”, “Sulla fede e l'infedeltà”. E se i colleghi si decidevano pure a discutere con lui a questo punto, le discussioni avevano esclusivamente un carattere teologico.

La storia della comparsa di Burjatskij nel Caucaso è molto torbida. Lo stesso Dokku Umarov avrebbe chiamato l'angelico (proprio così lo definivano molti di quelli con cui ho parlato) giovane a portare la parola di Allah ai suoi combattenti. Ma in Said già a quel tempo non si era formato solo un coerente punto di vista sul posto di un vero musulmano in questo mondo, ma anche dei problemi con gli uomini delle forze dell'ordine di Mosca. Ed ecco che scomparve per qualche tempo e poi dette di nuovo notizie di se – già nelle fila del fronte inguscio dell'Emirato Caucasico.

Le sue prediche – un po' in russo, un po' in arabo – presero a comparire regolarmente nei siti dei separatisti. Proprio qui, nel Caucaso, non trattenuto da alcun limite, lo sceicco* Said Abu Saad dispiegò il proprio carisma in tutta la sua ampiezza. Cominciò a intervenire non solo su temi teologici (anche se questi prevalevano), toccò anche questioni aspramente politiche sulle disposizioni della Russia nel Caucaso. Uno dei temi spesso rammentati da lui: i servizi segreti non hanno niente a che fare con l'Emirato del Caucaso.

C'erano anche quelli che consideravano l'elevazione di Said Burjatskij artificiosa Spesso lo rimproveravano che si chiamasse invano “sceicco”, che le sue conoscenze fossero superficiali. Gli avversari ideologici gli rimproveravano l'inclinazione al “basso stile”. In effetti Said molto spesso basava le proprie lezioni sulla rilettura di soggetti attinti dai libri sacri. Gli insoddisfatti dicono: “Che storia è? Qualcuno fece un salto, un altro accorse, un terzo fu ucciso. E' come il cinema. E' facile da ascoltare!”

Ma puntando sulla semplicità di ricezione, Said Burjatskij, ottimo narratore, raggiunse gli scopi che prima di lui non avevano potuto raggiungere tanti e tanti predicatori dell'emirato. Mostrò ai giovani che tutta questa jihad non era una roba noiosa. Il che, indubbiamente, aiutò fortemente la popolarizzazione delle idee dei membri della clandestinità.

Proprio Burjatskij preparò i kamikaze per gli attentati al presidente dell'Inguscezia Junus-Bek Evkurov e al presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov.

Said era già stato dichiarato morto. Subito dopo l'esplosione del GOVD [24] di Nazran' [25] il 17 agosto dello scorso anno in rete si diffuse un video in cui questo siede in un “Gazel'” [26] con dell'esplosivo e racconta davanti alla telecamera quale regalo attenda la polizia inguscia. Nei titoli alla fine del filmato si dice quanto segue: “Said in persona alla guida di un'automobile “Gazel'” ha messo in atto l'esplosione della tana di kafir [27] e murtad [28] “GOVD della città di Nazran'””.

Qualche giorno dopo Said, in un altro filmato, vivo, molto insicuro, come quasi vergognandosi, raccontò che c'era stato un errore tecnico. Che questi non era al volante di quel “Gazel'”, ma aveva solo benedetto i fratelli che andavano alla morte. Dopodiché Said scomparve, fra l'altro scomparve in modo brutto, lasciando tutto in disordine. Gli avversari anche prima lo avevano spesso rimproverato: “Perché lodi così la via dello šachid [29], ma tu sei bravo solo a far discorsi?” Adesso avevano preso a parlare rumorosamente anche d'altro: Said Burjatskij come fenomeno era una creatura dei servizi segreti – perciò li rinnegava così rabbiosamente. Chi fosse in realtà, non lo sapremo mai.

I familiari di Burjatskij, a dire il vero, non vivono più in Russia da quando si era dato all'estremismo.

* Sceicco – titolo onorifico di un teologo.

Leggete nelle puntate seguenti
Da dove i militanti hanno preso i lanciagranate “Mucha” [30] e I lanciafiamme “Šmel'[31]
– Come il campo viene equipaggiato di provvigioni
– Di cosa parlano i terroristi quando parlano di guerra

Ol'ga Bobrova


10.03.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/024/18.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Città della Russia settentrionale.

[2] Ex capitale dell'Inguscezia.

[3] Pistole della fabbrica Tokarev di Tula chiamate Tul'skie Tokarevy (Tokarev di Tula).

[4] Così vengono chiamati in Russia gli estremisti islamici in generale.

[5] Boevaja Mašina Pechoty (Macchina da Guerra da Fanteria), mezzo blindato.

[6] Sledstvennyj IZOljator (Carcere per la Detenzione Preventiva).

[7] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio di Sicurezza Federale), il principale servizio segreto russo.

[8] Upravlenie po Bor'be s Organizovannoj Prestupnost'ju (Direzione per la lotta alla criminalità organizzata).

[9] Capitale dell'Ossezia del Nord.

[10] Comunità islamica, da intendersi qui come gruppo di cospiratori.

[11] Capitale della Kabardino-Balcaria.

[12] Nome non ufficiale della durissima colonia penale di Solikamsk, ai piedi degli Urali.

[13] In Russia per dire che i panni sporchi si lavano in famiglia, si dice che la spazzatura non va portata fuori dall'isba (perché per tradizione la si brucia nel camino).

[14] Dagli anni '90 Inguscezia e Ossezia del Nord sono in conflitto per il distretto di confine Prigorodnyj (Periferico) che prima della deportazione degli anni 1944-1957 apparteneva alla repubblica di Cecenia e Inguscezia e poi fu assegnato all'Ossezia.

[15] “Caucaso-Centro”, sito “ufficiale” della guerriglia cecena e poi dell'Emirato.

[16] “Bosco di Pini Argentato”, località nei pressi di Mosca.

[17] Villaggio nei pressi di Magas, nuova capitale dell'Inguscezia.

[18] Capitale della repubblica siberiana meridionale di Buriazia.

[19] Burjatskij significa semplicemente “buriato”.

[20] Il buddismo è la religione maggioritaria della Buriazia.

[21] Scuola superiore buddista (il corsivo è mio).

[22] Le scuole della Federazione Russa non hanno nome, sono semplicemente numerate.

[23] Città della Russia europea sud-orientale.

[24] Gorodskoe Otdelenie Vnutrennich Del (Sezione Cittadina degli Affari Interni), in pratica la polizia cittadina.

[25] Ex capitale dell'Inguscezia.

[26] “Gazzella”, furgone di marca GAZ.

[27] “Miscredenti” (il corsivo è mio).

[28] “Apostati” (il corsivo è mio).

[29] Russificazione di shahid, “martire”.

[30] “Mosca” (intesa come insetto).

[31] “Bombo”.

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