28 maggio 2010

La Russia e il Caucaso

L'anomalia russo-caucasica



Nella “Siberia calda” la società civile c'è. E credete, non sembra male


Il Caucaso è sempre stato una regione difficile della Russia. Qui in un piccolo spazio si sono mischiati religioni, popoli e territori etnici. Qui la protesta sociale passa facilmente a una contrapposizione interetnica e la questione della terra è sempre legata a quella nazionale. Qui l'incessante ribollimento etnico ha un sapore politico. Infine, qui la religione è più che fede in Dio. Qui ci sono delle mine che il centro federale non può disinnescare. Mine che esploderanno quando sarà necessario. Per strano che sembri, non cambierà il Caucaso con le pance piene, ma con le idee che la Russia potrà proporgli. Questa non era ancora mai stata inetta e impotente nella politica caucasica come oggi.

La Casa del Caucaso brucia. Versare sul fuoco l'olio patetico di amicizia fraternità e amore è un fariseismo. In tutto il corso della storia I caucasici hanno dimostrato la loro dedizione alla Russia. Ed è un problema di questa che oggi la Rus' trojka-uccello [1] abbia inciampato nella catena montuosa del Caucaso. Non già perché corra velocemente per gli spazi russi dei Čičikov. Non sa neanche dove la portino i suoi cavalli.

In qualche modo di per se il mio monologo è venuto fuori del genere “dal nostro tavolo al Suo trono” [2]. E la secchezza dei giudizi viene dal fatto che ho preso troppo alla lettera l'orientamento del presidente Medvedev: “il potere non ha bisogno delle leccate degli esperti”.

La Russia combatte con la Russia

Nei giorni in cui la Russia con pathos e grandiosità festeggiava il 65° anniversario della Grande Vittoria, senza essere notati da un grande paese persone vicine e parenti compivano i
sorokoviny [3] delle vittime dell'atto terroristico compiuto nel metrò di Mosca il 29 marzo. E al momento previsto le anime delle persone innocenti uccise hanno acquisito l'eterno rifugio nelle altezze celesti, dove, forse, si sono incontrate con le anime delle due sfortunate giovani che li hanno fatti saltare in aria. Sfortunate, perché per volere di qualcuno sono divenute armi viventi per uccidere Entrambe avevano finito la stessa scuola russa delle loro vittime. Una delle šachidki [4] aveva due lauree e insegnava informatica ai bambini. Come sono capitate su di loro le “cinture da shahid? E in questo c'è la terribile anomalia della storia più recente del Caucaso, sulle fonti della quale ci interroghiamo da tempo e quasi sappiamo la risposta. E' difficile che questa sia interessante per Mosca, ma per i popoli del Caucaso ne va del loro destino. Il nostro futuro è risucchiato nel suo mortale imbuto dal “turbine della forza segreta”. Questa precisa metafora appartiene alla poetessa daghestana Mijasat Muslimov. Se non fosse per questo turbine, allora forse “fanciulle con cuori immaturi non arriverebbero a cingersi di cinture di morte e i bambini, avvicinandosi con guanciotte talvolta paffute al freddo di un'arma, non dimenticherebbero mai la mano della madre che li porta a casa…” Quando i poeti cominciano a interpretare i tempi, vuol dire che la “crepa del mondo” è passata attraverso i loro cuori. Il Caucaso ha già cominciato a parlare con le loro voci: “qui con la tortura del sequestro e della prigione la saldezza dei monti e del fiume hanno avvelenato, ottengono le madri con preghiere i propri figli e lavando le ferite dei figli ingannati con la nostalgia del Corano, come il dolore della terra stanno davanti a me”.

Con il terrorismo bisogna lottare. Lottare spietatamente. Ma la situazione nella regione si crea secondo la nota tradizione “quando si taglia il bosco, volano le schegge”. Rinasce il principio terribile per le sue conseguenze “il figlio risponde per il padre”. Spesso dopo l'ennesima uccisione di un militante, vengono sottoposti a persecuzioni i membri della sua famiglia, i parenti prossimi e lontani. Il marchio di fiancheggiatore di un terrorista si incolla facilmente alle persone che non hanno alcun rapporto con lui. In tal modo il terrorismo si riproduce, perché la gente viene semplicemente spinta in un vicolo cieco. Non di rado mettono mano a questo i mezzi di informazione di massa. Un esempio di estremismo mediatico è la pubblicazione nella “Komsomol'skaja pravda” [5] (9 aprile 2010) delle immagini di 22 donne daghestane in hijab, mentre nella prima colonna c'era il titolo “1000 vedove e sorelle di militanti daghestani sono divenute fiancheggiatrici di terroristi”. In primo luogo, gran parte delle informazioni è falsificata. In secondo luogo, la “colpa” di queste donne è solo nel fatto che per volere del destino siano divenute sorelle e mogli di militanti. In terzo luogo, aveva diritto un giornale con una tiratura di 35 milioni di copie di dichiararle fuorilegge prima che lo facesse un tribunale? Il risultato della provocazione giornalistica è stato la persecuzione di queste donne. Molte di queste hanno bambini, tra cui figli maschi. Quale scelta faranno in futuro non è difficile da indovinare. Il capo della commissione inquirente Bastyrkin ha proposto di creare sul territorio della Russia un ghetto separato. Altrimenti come spiegare il suo appello per una dattiloscopia individuale coatta degli abitanti del Caucaso del Nord e anche la reimmatricolazione di tutti i mezzi di trasporto? Quali altre folli iniziative nasceranno in caso di nuovi atti terroristici nella capitale?

Non tutto è chiaro fino in fondo nella tragedia di Mosca, ma una cosa è evidente – nel Caucaso del Nord gorgoglia un brodo sanguinoso di destini umani. Quante vittime ancora richiederà? Su questo sfondo è così penoso e cinico il flusso di esteriorità verbali che nasconde la vera essenza delle cose e l'acuta comprensione dell'insensatezza delle vite perdute, inghiottite dal Moloch di una grande politica inetta.

Sono passati due mesi dalla tragedia di Mosca. Sono risuonate paure vere e ostentate. Ed è divenuto chiaro – il brutto deve ancora venire. Anche se tutti i servizi segreti russi facessero miracoli di professionalità, tutto ciò che accade nel Caucaso accadrà, gli atti terroristici continueranno. Dopo Mosca ci sono già state esplosioni a Kizljar [6], Karabulak [7], Nal'čik [8]… Ma queste non hanno risuonato neanche nella regione. E' quando esplodono a Mosca che fanno rumore. Ma un atto terroristico sulle montagne è un reportage nel notiziario e qualche monologo politico. Fanno passare le stesse facce, pronunciano gli stessi discorsi, fanno risuonare i soliti miti. E di nuovo il Caucaso resterà solo con le proprie disgrazie e le proprie domande, per cui non c'è risposta a Mosca. E questo, magari, è la cosa più importante che gli atti terroristici nel centro della capitale hanno messo a nudo.

Rafforzare, consolidare, riformare… Non passeranno, non ci impauriranno… Tutta retorica della forza, difensivo-offensiva. Questa delinea nettamente il ritratto del nemico e il suo territorio di dislocazione. Il luogo da cui viene la tempesta si è fissato saldamente nella coscienza dei russi. Dopo un atto terroristico alle porte dell'ingresso di casa mia comparve un cartello, ben scritto e incollato a morte: “Ricorda! Ogni caucasico è un potenziale terrorista, che in ogni momento può far esplodere una bomba e tu non potrai più rivedere le persone a te vicine”. Parole significative sottolineate in rosso. Il nostro quartiere non è un dormitorio. Davanti al condominio brillano i fuochi della Gazprom – un colosso della grande politica. E alla periferia di Mosca hanno già dato fuoco agli ostelli con i “neri” [9]. Quante misure di pulizia sanitaria del genere ci attendono? Ma terribili non sono gli skinheads a Mosca o i “fratelli del bosco” nel Caucaso. Quelli che li hanno generati richiameranno le loro reclute al momento necessario. E' terribile lo sfacelo nei cervelli della società, soprattutto nei cervelli dei gruppi sociali delle montagne, per cui la Russia ha smesso di essere la Patria. Tra questa e il Caucaso matura una divisione di civiltà. Nella cultura russa ci sono sempre meno agenti che influiscono nella regione e la fuga dei russi dalle repubbliche accelera soltanto questo processo. All'inizio del terzo millennio torniamo al punto di partenza della nostra storia comune – all'inizio della guerra caucasica. Allora, nel XIX secolo, nel Caucaso del Nord si scontrarono due progetti di civiltà o due modelli di riforma della vita sulle montagne – l'Islam e la cultura russa. La vittoria di quest'ultima fu garantita dai capitani Tušin [10], dai cosacchi, vicini per spirito ai montanari e dai pazienti soldati russi. Se allora nella regione si fossero mossi gli attuali “patrioti” difficilmente la Russia avrebbe vinto. C'è la garanzia che in condizioni di crisi la protesta sociale nella regione non prenderà una forma analoga? E' sempre più evidente che l'idea musulmana diventi un'alternativa al progetto russo.

Ma c'è questo progetto? La circoncisione fatta al Caucaso del Nord conferma soltanto lo smarrimento di Mosca. Attraverso gli adesso separati complessi cosacchi l'impero ha integrato i montanari nell'entità statale russa. La storia di Stavropol', Rostov e Krasnodar [11] ne è testimonianza. L'Adighezia si prepara all'unione con il territorio di Krasnodar, poiché malgrado la geografia l'hanno separata dal Caucaso del Nord. Finora il Caucaso del Nord era considerato una striscia di terra tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Adesso l'hanno tagliata fino a Stavropol'. Ecco tutto il progetto.

Ma in un modo o in un altro organizzare la Casa del Caucaso senza i suoi padroni non è possibile. I loro veri volti dovrà alla fine vederli il paese. I veri volti del Caucaso sono la stessa società civile che il presidente russo invoca. Credete, c'è e non sembra male. Inoltre pensa. E se le squadre dei canali federali riceveranno il compito adeguato, la Russia vedrà un enorme massa di persone di “nazionalità caucasica”, che hanno qualcosa da rappresentare per un grande paese e non senza utilità per esso.

Al recente convegno a Istra [12] con i membri dei consigli del presidente per la cultura, la scienza, l'arte e l'istruzione il capo dello stato ha consigliato di usare più spesso in qualità di eroi proprio i rappresentanti di quelle sfere, come “portatori di ideali e valori…” Lo ha consigliato troppo delicatamente, mostrando indulgenza per il cinematografo nazionale “E' un mondo a parte, che, essenzialmente, non è regolato dallo stato. E non è necessario che lo stato scenda in questa sfera, ma, non di meno, lo stato deve indicare alcuni vettori di sviluppo”. Ma se lo stato, che da a questo cinematografo miliardi [13], non intende “scendere in questa sfera”, come fare con l'annunciata strategia di modernizzazione del paese, dove come punto particolare si indica la “creazione di un'unica nazione russa”, dove, spero, entrino fra gli altri anche le etnie del Caucaso del Nord. Solo con tutta la potenza della macchina ideologica statale si può distruggere quell'immagine del Caucaso dannosa per la stessa Russia formatasi per decenni con l'aiuto di quella stessa macchina statale. Perché la cosiddetta televisione commerciale e la maggior parte dei mezzi di comunicazione di massa stampati hanno diverse forme di proprietà statale. Inoltre il reset di tutti i mezzi di informazione di massa per quanto riguarda l'immagine del paese è un compito strategico. L'Occidente l'ha capito da tempo. Tutta la storia della formazione della ВВС è una testimonianza della riunione del popolo inglese in un'unica comunità di mezzi di informazione di massa. Protagonisti della politica della corona inglese nell'etere radiofonico (poi in quello televisivo) sono divenuti il minatore del Galles e la casalinga della contea del Kent. E per quanti hanno si è data da fare Hollywood perché oggi l'afroamericano Obama divenisse presidente degli USA?

E' tempo di determinare chi debba svolgere la missione di rappresentanza della nazione nello spazio pubblico. Per i russi ciò è importante perché proprio questi sono il nucleo che forma lo stato. Questo jadro [14] che ci mostrano oggi (in particolare in TV) è una qualche jadrëna mat' [15]. E' un pieno screditamento dell'idea russa, un'umiliazione del popolo russo, secondo una mentalità da predestinato. E' il creatore del “melting pot”, che c'è già con successo da molti secoli. Così chi e perché ha dato al viso russo un'espressione così penosa e a quello caucasico una così feroce?

Già da un paio di decine d'anni del dopo perestrojka le idee sul patriottismo nel cinematografo (e non solo) vengono elaborate sul tema caucasico. Da molto tempo abbiamo sostituito l'immagine dei fascisti tedeschi e degli “spiriti” [16] afghani. Non di una nicchia esotica ha bisogno oggi il Caucaso nello spazio informativo: burqa, cavalli, pugnali e montanari del genere “anche noi siamo persone, anche noi amiamo” [17]… Abbiamo bisogno di una presenza rispondente a tutti i requisiti nello spazio politico e culturale dell'intera Russia. La nostra visione dei problemi dall'interno è più profonda e più precisa. Con l'altezzosità da grande potenza o con la sfiducia politica si può spiegare che il Caucaso del Nord nella Camera Sociale [18] sia rappresentato da Maksim Ševčenko [19]? Cos'è, la dimostrazione del nostro mancato sviluppo culturale o della nostra inaffidabilità civile? In sette repubbliche non si è trovato un degno candidato per questo ruolo! Ed effettivamente, a guardare i mezzi di informazione di massa, la missione rappresentativa della nostra regione è svolta dai militanti e dalla polizia, tra questa dai funzionari corrotti. A dire il vero, le loro dimensioni, a differenza di quelle dei colleghi federali sono briciole della torta del denaro pubblico. Non c'è una corruzione caucasica oltre i limiti – ce n'è una dell'intera Russia di dimensioni gigantesche. I montanari in questo senso non hanno alcuna esclusiva. Ma la nostra chiacchierata struttura a clan ha qualcosa di diverso da quella dell'intera Russia: tradotta in lingua sociologica indica il modo di strutturarsi della società. Stirpi, tejpy [20], sostengono la solidarietà etnica. Le tradizioni determinano i rapporti con i bambini e con gli anziani, la gerarchia delle funzioni dell'uomo e della donna, il mutuo soccorso sociale. La famiglia da noi non ha perso il ruolo di istituto sociale. Questa come prima ha mantenuto le proprie funzioni di trasmissione dell'esperienza spirituale. Con tutte le deformazioni della cultura nazionale, è ancora grande il ruolo dei più anziani, non si è rotto il legame tra le generazioni. L'elite cittadina (industriale) non ha tagliato le proprie radici contadine, le case delle stirpi nei villaggi sono conservate accuratamente. Tutto ciò con un uso esperto può divenire una leva potente per guidare i gruppi sociali del Caucaso. Ma noi sentiamo sempre dagli etnografi della capitale: “queste non si inscrivono nella nostra cultura”. Peraltro i concetti penali e di diritto si danno come norme di civiltà. Non ci sono ladri con uno specifico etnico e gli assassini compiono le loro porcherie senza coloriti nazionali. Il truffatore e il teppista sono ugualmente disgustosi con qualsiasi taglio di occhi. Non il conflitto di culture, ma lo scontro di città e campagna crea il rifiuto del comportamento marginale (tra cui anche quello dei miei compagni di etnia caucasici) nel normale, comune russo. Ma difficilmente su questo si costruisce una zona di contatto. Prima è necessario determinare se esistano differenze di principio tra la cultura russa e quella del Caucaso del Nord (montanara), cosa è stato perduto e conservato da entrambe. Forse allora torneremo alla passata esperienza della nostra storia comune, quando il Caucaso “perciò attirava così forte molti russi, che li aiutò a trovare, capire se stessi, scoprire di nuovo il senso, l'essenza di principi come amicizia, onore, libertà”. Dove adesso ci sono intellettuali, come l'autore di questi versi Natan Èjdel'man, per cui la storia del Caucaso e la cultura del Caucaso sono parte della storia e della cultura russe. I suoi studi caucasici devono stare sul tavolo degli istruttori politici come manuale, come istruzioni per l'uso. Dispiace che il recente giubileo dello studioso non si divenuto un avvenimento culturale nella regione e nel centro del paese. Quanto mancano oggi guide così delicate in altri mondi culturali. Eppure un secolo fa le ricerche di risposte a eterne domande russe si facevano sul suolo del Caucaso. “Siberia calda” chiamavano il nostro territorio amante della libertà, qui la dissidenza russa in esilio ricevette l'ebbrezza dello spirito libero: i decabristi, gli insorti polacchi, i poeti e gli scrittori caduti in disgrazia. La loro potente iniezione intellettuale ravvivò il pensiero sociale del Caucaso. Da molto tempo non ci sono più Puškin, Lermontov, Tolstoj. Non sono con noi persone come Èjdel'man. Non ci sono personalità. Volti! Solo brutti musi e fisionomie. E continue scene di massa politiche. Lo spazio pubblico è riempito di bugie. La gente ha perso il senso di qualcosa di vero, di grande. Per il caldo sangue caucasico la stagnazione e il vuoto sono esplosivi. C'è bisogno di un'idea da servire! In nome di cosa! E allora il management efficace diverrà effettivamente efficace.

Il Caucaso per l'impero russo non fu mai una colonia nel vero senso della parola. Fu piuttosto integrato nel sistema statale dell'intera Russia. Come notò Lenin, la Russia inizialmente conquistò il Caucaso e poi intervenne nell'economia. Peraltro la cultura russa fu usata come potente meccanismo di assimilazione della regione.

La Russia democratica ha ereditato nella politica del Caucaso il peggio della pratica imperiale. Il potere zarista cercò sempre una lingua comune con i capi, relazionandosi con gli strati bassi delle montagne come con il proprio popolo – senza rispetto. E verso la nobiltà vicina mostrò sfiducia e altezzosità. Non gli permisero di accedere al più alto livello, ma dopo averli usati, spesso li tradirono. Un simile atteggiamento verso l'elite politica locale rimandò la caduta dell'imamato di Šamil' [21]: i suoi compagni che erano passati ai russi tornarono sotto le insegne verdi dell'Islam, offesi dal disprezzo zarista. Un'informazione utile per la riflessione. Oggi la Russia nel Caucaso del Nord ha sempre meno guide della propria politica, fra l'altro nell'elite al governo. Qui si sono piuttosto riuniti dei giocatori che hanno accettato le regole poste dal centro federale. Il presidente non ha un legame diretto con il popolo. Questi deve obbligatoriamente sapere di cosa vive il piccolo uomo su cui questo fragile mondo caucasico si regge ancora. E infine in questo dialogo potere-società, se qualche volta ha luogo, deve prender parte l'aristocrazia dello Spirito, che nello spazio del Caucaso ha sempre tenuto un posto particolare. La comparsa in Russia di un partito democratico, vero, e non decorativo, è attesa più di tutto nel Caucaso del Nord. La civiltà montanara stretta in una morsa dalla verticale [22] perde l'organicità dello sviluppo, la naturale (tradizionale!) esigenza di democrazia. Non trovando canali nel campo legale, cerca possibili vie d'uscita. Nello spazio pubblico risuonano già domande scomode per Mosca e finora non sono seguite risposte ad esse. Tutte queste sono sul destino della patria – “chi ha calpestato le sue trecce nella sabbia e con una stria di sangue scrive il libro nero della follia e della morte dei suoi figli?” [23] A dare il cambio a Kajsyn Kuliev e Rasul Gamzatov vengono altri poeti. Un tempo doloroso li ha scelti dalla corrente, perché l'epos della storia più recente del Caucaso acquisisse i suoi cantori. La Parola Epica ha già cominciato a risuonare. Questa è più potente di qualsiasi assalto politologico:

Io sento il rombo delle fratture della terra e il rumore delle pietre risvegliate,
Il gracchiare gutturale di Babilonia e il mormorio delle radici strappate.
La sorda furia dei mucchi di pietre e il silenzio delle vecchie lastre.
Fuma la cenere delle resurrezioni nella dormiente eternità prigioniera.
Gioca il ragazzo con la verticale e respira il tempo nell'ombelico,
Tornerà la parola come un boomerang e porrà una cicatrice alla tempia.
E il sangue delle ferite rapprese se ne andrà dalla terra nel fondo dei mari,
Per gettare il fardello della penosa gloria degli uomini della steppa che giocano a far gli zar!

Questi versi meritano di essere citati in forma completa. Sono stati scritti poco tempo fa. Il loro autore è una donna, in essi c'è il vero Caucaso. Né “altro”, né “pacifico”, né “russo”, come si usa oggi marcare il nostro territorio, ma vero – interrogante, addolorato, creativo. Con questo Caucaso bisogna imparare a condurre un dialogo. La storia della dissidenza russa ne è conferma, è cominciata dalle riunioni nelle cucine, poi la Parola si è spostata sulle pagine di riviste tipo il “Metropol'” [24]… Cos'è successo in seguito al “sabotaggio ideologico” condotto lo ricordiamo. Tutta la letteratura è l'illustrazione dell'incarnazione di un'idea nella pratica. Il Bazarov di Turgenev rifiutava tutto ciò che era vecchio, il suo nichilismo generò Rachmetov, che Černyševskij pose a dormire sui chiodi, preparandolo alla rivoluzione, il Pavel Valsov di Gor'kij capeggiò tutta la folla distruttiva. I Bazarov e i Rachmetov del Caucaso del Nord già agiscono ognuno nel suo campo. E i Pavel Vlasov maturano ancora. Quali slogan saranno scritti sulle loro insegne, lo sapremo molto presto. E, forse, in una singola repubblica. Il Daghestan è nelle prime file del gruppo a rischio. La repubblica ha frontiere aperte sugli stati sovrani transcaucasici, precedenti storici di creazione di entità statali (l'imamato, la Repubblica Montanara del 1918), un'elite al governo che conosce le regole della trattativa politica con il centro. E la trattativa può essere del tutto adeguata, tanto più che la crescita delle proteste sociali è pronosticata in Siberia, nell'Estremo Oriente, a Kaliningrad… Può succedere che per il Caucaso del Nord sarà: “uno spettro si aggira per la Russia, lo spettro di Pikalëvo [25]…” E qui il Kirgizistan ha ricordato come si infiammi facilmente il “gallo rosso” dell'ira popolare. E' stata messa in conto la reazione della regione al calo critico di tutte le funzioni vitali dello stato russo? Evidentemente no! Altrimenti la strategia nel Caucaso non sarebbe così grossolana. Il Suslov [26] della direzione collegiale si è rivelato impotente nei confronti delle dimensioni del Caucaso. Questi è tanto lontano dall'uso pragmatico della multiformità del Caucaso, dove ci sono, tanti popoli, tanti caratteri nazionali, quanti modelli per amministrarli. Agitare la frusta qui non è sicuro, ma bisogna tenerla pronta. Per il bene di tutti. La politica della frusta e del pan pepato [27] è perversa e inefficace. Allora che fare? Per quanto sembri strano, qui sono applicabili gli usuali istituti democratici perduti dalla Russia: un dialogo civile, politici carismatici ad alto indice di fiducia, una sana concorrenza nel mondo degli affari, un movimento competitivo (e non basato su accordi) nella verticale del potere. Questi sono anche i normali meccanismi di funzionamento della “maggioranza ragionevole”, a cogliere l'esistenza della quale gli esperti della capitale difficilmente matureranno. Nella zona a cui fanno attenzione c'è sempre una “minoranza aggressiva” che spara e fa esplodere. Di qui la triste miseria delle azioni di tecnologia politica con cui si supplisce a un progetto ideologica così indispensabile alla regione. C'è bisogno di una potente idea russa unificante. La costruzione di un futuro comune deve avere un piano di azione comune. Il Caucaso vibra di patriottismo, la cui energia è nei giovani e nei vecchi. Come farla convivere con l'attuale stato dello Spirito russo? “In Russia la nazione è andata in vacanza, ora dorme. Dio ha detto che non c'è. Grandi scopi non sono ancora stati generati anche se, a mio parere, i precedenti sono esauriti”. (A. Azuan, "Novaja gazeta", 9.12.2009)

Noi finiamo di vivere, di portare, di mangiare i resti dell'internazionalismo Del tempo per raccogliere tutti per organizzare la Russia non importa alla mia generazione. L'attuale – i nostri figli e nipoti – si trova in una situazione al limite, dove il passato sovietico è entrato in conflitto con la storia più recente. Che fare non è chiaro. Ma non si può precisamente formare la loro pro-russità con i Seliger [28] né con “incubatori” creati dall'elite. L'ideologia dei giovani già matura. In essa c'è un'estraniazione dalla Russia come centro di civiltà e dalle proprie autorità nella regione. E questo è più terribile degli atti terroristici. La nuova generazione, che ha ricevuto l'istruzione nelle migliori università europee e russe, è armata non di lanciagranate, ma di una strategia di innovazione – informazione, conoscenze fondamentali e posizione politica. Questi professano l'Islam dell'ijitihad – la conoscenza di se e del posto della propria religione nel nuovo mondo globale. E questo aiuta di più del tritolo e del wahhabismo [29] marginale. La voce del sangue, tanto forte nella mentalità del Caucaso del Nord, li richiamerà immancabilmente qualche volta in patria. Torneranno nelle repubbliche con una nuova comprensione del significato del Caucaso nella geopolitica mondiale, del suo essere richiesto dall'Occidente e dall'Oriente. Dove volgeranno le loro passioni politiche? A questo bisogna pensare oggi e sbrigarsi a trovare una lingua comune con loro.

Unisci e impera!

Questo è l'unico principio produttivo della strategia del Caucaso. Questo deve avere immediatamente un'incarnazione pratica, sia pure per motivi di sano pragmatismo, se il potere federale conta sul Caucaso del Nord come avamposto meridionale dello stato.

La regione è elettrizzata dai contrasti – interetnici, religiosi, sociali. Essenzialmente, nelle repubbliche è già cominciata la contrapposizione sociale, la differenza è solo nel materiale combustibile. In tale situazione l'Islam può divenire l'unica idea unificante per tutti. Un'altra guerra caucasica, tanto più su base religiosa, la Russia non la reggerà. Nessuna operazione dell'esercito o pattuglia di frontiera fermerà la reazione di disintegrazione in questo etno-reattore. Tutte le possibili concezioni sulla primogenitura, sull'originarietà di un territorio, sul diritto alla soddisfazione etnica la accelerano soltanto. Alla base della maggior parte delle recriminazioni interetniche c'è la brama di giustizia storica – il ritorno al “territorio originario”. E' possibile soddisfarla in una regione ritagliata decine di volte dai tempi dell'inizio della colonizzazione del territorio da parte dell'Impero Russo, poi dall'amministrazione sovietica e della deportazione dei popoli. I nodi etno-politici formatisi con l'arrivo della Russia nel Caucaso non solo non sono sciolti, ma sono stretti ancora più saldamente. Minimizzare l'acutezza della memoria storica è un dovere per Mosca. La stessa regione non ce la farà. Già non ce la fa. Anche se ha una tradizione di coesistenza pacifica. Nella storia pre-russa il Caucaso non ebbe recriminazioni territoriali, né di status etnico. Ci furono scorrerie, scontri armati, ma la diplomazia popolare elaborò potenti regolatori dell'ordine nella casa del Caucaso. Uno di questi fu il masliat [30] come istituto di riconciliazione. Nella società una persona dev'essere uguale a un'altra – tale principio era alla sua base. L'ingiusto è sempre aggressivo, perciò a far concessioni per primo va il giusto. Il forte deve cedere. Questa si chiamava democrazia popolare. Funzionerà oggi?

E' importante capire la cosa principale: il Caucaso è uno spazio integro, politico, economico e socio-culturale. Tutti i suoi popoli sono come vasi comunicanti. Questo Caucaso, evidentemente, spaventa la Russia contemporanea. E l'ha sempre spaventata. Perciò il principio “dividi e impera” è divenuto fondamentale in politica. Il noto indirizzo di Caterina II ai propri generali risaliva alla tradizione romana di divide et imperia: “Il disaccordo tra i montanari facilita la nostra impresa (la sottomissione). Per questa causa non vanno risparmiati soldi”. Lo storico russo del XIX secolo P.G. Butkov, valutata una simile strategia imperiale, notava: “Si è osservata la regola degli antichi romani di far litigare tra loro i diversi popoli caucasici per l'utilità del territorio caucasico, perché questi, indebolendo le proprie forze ci lascino maggiormente in pace”. Ma in Russia adesso c'è la democrazia, sia pure sovrana. Inoltre questa regione ribelle determina la politica interna del paese, che da tempo vive secondo “leggi caucasiche”. La chiacchierata verticale, l'abolizione delle elezioni dei capi dei soggetti, le onnipotenti leggi restrittive, tra cui quella sui mezzi di informazione di massa – tutto questo horror russo si è originato sui monti del Caucaso. Ancora mai come oggi il Caucaso ha avuto tale influenza sull'atmosfera socio-politica del paese. Di conseguenza, è necessario non indebolire le forze dei “diversi popoli caucasici”, ma consolidarle, raccogliendoli in un'unica casa del Caucaso, “perché questi ci lascino maggiormente in pace”. Finora invece la Russia democratica si comporta come un impero, più precisamente come un “impero sovrano”. Pone nelle repubbliche i propri procuratori, scrive ricette per le malattie caucasiche e paga perfino le cure. E senza effetto. Così può utilizzare i rimedi popolari? L'altezzosità dei democratici nei confronti dei membri di altre etnie è l'ossimoro russo. L'impero ne aveva il diritto, curava e accarezzava la provincia, perché capiva chiaramente la destinazione delle proprie periferie – o avamposti o donatori in campo economico. Ma qui – né l'uno, né l'altro. E altro che vuoti guadagni il centro federale non propone. Ma un vuoto guadagni in caucasico è quando si parla molto e non si fa niente.

La Russia è un paese dove non si adempiono le direttive del Presidente. Se solo una volta si fosse portato in fondo uno dei progetti per il Caucaso, forse non ci sarebbero stati gli atti terroristici nel metrò di Mosca. Il potere nella regione è la Russia. Ma questo potere trasforma la Russia nel simbolo dell'illegalità. Il presidente perde il popolo, il Centro la gente, il partito l'elettorato.

Nel sito ufficiale del partito che governa il paese si è letto il discorso di un deputato alla Duma di Stato di “ER” [31], il politologo Sergej Markov: “E' passato un mese dagli atti terroristici nel metrò di Mosca. Ci sono molti cambiamenti La politica della Russia nel Caucaso è cambiata. Siamo passati a una nuova tappa. A quella giusta. L'idea principale è la lotta alla disoccupazione. Per questo è stato designato Chloponin [32]… La seconda idea è la lotta al vuoto ideologico. Ciò vuol dire sia il sostegno all'Islam tradizionale, sia il sostegno all'istruzione. Bisogna chiudere le case di tolleranza e ridurre la vendita di vodka. Trasmettendo i porno sui canali del Caucaso del Nord facciamo aumentare il numero di terroristi”.

Gli autori di simili capolavori nell'ambito caucasico sembrano lillipuziani nel paese di Gulliver. Capiscono I costruttori della politica del Caucaso che, come disse Faina Ranevskaja [33], “fanno uno sputo nell'eternità”. Nessuno di loro ha raggiunto il livello dei generali che hanno sottomesso il Caucaso e dei governatori che lo hanno amministrato. Toccherà davvero cominciare tutto daccapo?

Sulieta Kusova
direttrice del Centro per i problemi etno-confessionali nei mezzi di informazione di massa presso l'Unione dei giornalisti della Federazione Russa, co-presidente della “Kavkazskij Dom” [34]

21.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/053/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Rus' è l'antico nome della Russia. Gogol' nelle “Anime morte” la rappresenta come una trojka (intesa come tiro a tre cavalli)-uccello lanciata come in volo alla guida del protagonista Čičikov.

[2] Gioco di parole tra stol, “tavola” e prestol, “trono”.

[3] Riti di commemorazione compiuti dagli ortodossi 40 (sorok) giorni dopo la morte di una persona, quando si compie il suo percorso ultraterreno.

[4] Russificazione e “femminilizzazione” dell'arabo shahid, “martire”, cioè kamikaze (il corsivo, qui e altrove, è mio).

[5] “La verità del Komsomol”, un tempo organo del Komsomol, l'organizzazione giovanile comunista, adesso giornale di livello tutt'altro che eccelso.

[6] Città del Daghestan settentrionale.

[7] Città dell'Inguscezia settentrionale.

[8] Capitale della repubblica autonoma di Kabardino-Balkaria.

[9] Cioè caucasici.

[10] Uno di quelli che in “Guerra e Pace” di Tolstoj incarnano semplicemente il popolo russo.

[11] Città della Russia meridionale.

[12] Città della regione di Mosca.

[13] Un miliardo di rubli sono oltre 25,6 milioni di euro.

[14] Nucleo (lo lascio in russo per salvare il gioco di parole).

[15] “Madre massiccia”, eufemismo per ëbanaja mat', “madre fottuta”.

[16] Così venivano chiamati certi guerriglieri.

[17] Dalla canzone “Madagaskar” di epoca sovietica.

[18] Corpo intermedio tra le istituzioni e la politica, di scarsa importanza reale.

[19] Maksim Leonardovič Ševčenko, giornalista russo non caucasico (il cognome è ucraino).

[20] Clan ceceni e ingusci.

[21] Imam ceceno che tenne a lungo in scacco i russi nel XIX secolo.

[22] La “verticale del potere”, la struttura politica creata da Putin, in cui i titolari del potere esecutivo (tranne il presidente della Federazione Russa) sono nominati dai loro superiori, mentre il popolo elegge assemblee legislative con pochi poteri.

[23] Versi della poetessa daghestana Marijan Šejchova.

[24] “Metropoli”, rivista letteraria clandestina uscita nel 1979.

[25] Città della regione di San Pietroburgo, i cui cementifici sono andati in crisi, causando licenziamenti, agitazioni e repressioni.

[26] Aleksandr Alekseevič Suslov, condottiero delle guerre russo-caucasiche del XIX secolo.

[27] Versione russa del bastone e della carota.

[28] Si intendono i raduni dei giovani putiniani presso il lago Seliger, nella Russia centro-settentrionale.

[29] In Russia wahhabismo sta per estremismo islamico in generale.

[30] Mediazione (nella lingua àvara del Daghestan).

[31] Edinaja Rossija (Russia Unita), il “partito del potere”.

[32] Aleksandr Gennadievič Chloponin, plenipotenziario del presidente nel distretto federale del Caucaso del Nord.

[33] Faina Georgievna (Grigor'evna) Ranevskaja (nome d'arte di Faina Girševna Fel'dman), celebre attrice sovietica.

[34] “Casa del Caucaso”, associazione socio-culturale.

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