10 novembre 2012

Un membro del Consiglio di Coordinamento dell'opposizione russa entra nel consiglio presidenziale per i diritti umani e non le manda a dire...

Il Caucaso e i diritti umani. Agenda per uno sviluppo pacifico

Ingushetia.Ru, 08.11.2012, 14.15

La nuova composizione del Consiglio per i Diritti Umani presso il Presidente della Federazione Russa (si chiama in modo più complesso e lungo
[1], ma ci siamo già tutti abituati così) è praticamente formata. Martedì mi sono incontrato con il capo del Consiglio Michail Fedotov e ho ricevuto da lui l'invito ufficiale a entrarvi.

Naturalmente ho concordato, ma concordando, ho esposto a Michail Aleksandrovi
č la mia visione dell'agenda delle attività del Consiglio nel Caucaso.

Voglio raccontare cosa, come a me pare, bisogna obbligatoriamente fare nella regione anche ai lettori di "Kavkazskaja politika"
[2].
Primo. Il principale problema politico, sociale e umanitario del Caucaso contemporaneo è la quasi totale assenza di istituti della società civile e l'incapacità di un consolidamento sistematico di quelli che ci sono.

Nelle organizzazioni per la difesa dei diritti umani – "Memorial"
[3], il "Gruppo di Helsinki" [4], una serie di organizzazioni regionali – c'è qualche persona brillante… Ed è praticamente tutto.

Riunendosi insieme, gli attivisti per i diritti umani caucasici e le persone impegnate nel sociale in modo indipendente sono qualche decina.

E anche queste persone sono perseguitate da malfattori ignoti (anche se tutto il Caucaso indica con il dito in direzione dei supposti criminali) in varie regioni a vario grado di intensità – dai pestaggi agli omicidi, come nel caso di Chad
žimurat Kamalov o Natal'ja Ėstemirova [5].

La mancanza di un consolidamento a livello di tutto il Caucaso delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, e di quelle civili e sociali esclude la possibilità di un lavoro organizzato ricco di idee e sistematico.

Bisogna superare ciò – creare un Forum Civile del Caucaso o un altro spazio simile su base stabilmente attiva con rappresentanti in tutte le regioni.
Secondo. Lo sfondo dell'attività terroristica – tanto dei rappresentanti della clandestinità armata, quando delle strutture armate – non permette di realizzare in piena misura i diritti civili e costituzionali dei cittadini che vivono nella regione.

Esecuzioni extragiudiziali, notizie di torture e di persecuzioni di credenti, uccisioni illegali di imam, insegnanti, impiegati statali – tutto ciò è diventato "norma di vita" della regione.

L'attività di mediazione, la partecipazione degli attivisti per i diritti umani e attivisti sociali nel processo di trattative, l'organizzazione di questo processo (a cui si oppongono tanto i sostenitori dell'"emirato", quanto alcuni federali) – è ciò che oggi praticamente manca del tutto e senza cui la vita nel Caucaso non può organizzarsi.

E' un'attività pericolosa – da entrambe le parti i suoi partecipanti saranno accompagnati da parole di odio e minacce di rappresaglie (da una parte per "aiuto ai wahhabiti
[6]", dall'altra per "collaborazione con tagut [7] e kjafiry [8]").

Ma non ci sono alternative – finché il futuro sarà nelle mani di persone accanite e armate, questo futuro non esiste.

Efficaci strutture sociali di mediazione che operino sulla base della Costituzione o sulla base di idee religiose o di rapporti basati su accordi è una necessità urgente. In queste devono entrare figure sociali autorevoli – giornalisti, attivisti per i diritti umani, giuristi, sindacalisti, personalità religiose.

Ma vediamo che le parti in lotta tra loro non possono e non vogliono risolvere il problema del dialogo, vogliono solo la guerra. A noi, la società, questo non va bene e dobbiamo prendere l'iniziativa nelle nostre mani.
Terzo. Le operazioni antiterroristiche (KTO [9])… Sono diventate tanto usuali che ad esse la gente non reagisce già più, i mezzi di comunicazione di massa vi fanno un'attenzione minima.

Ma nel corso di ogni KTO muoiono persone, ogni KTO è accompagnata da rapporti su cadaveri di giovani uomini, talvolta di donne. E di tanto in tanto anche di bambini…

Una volta l'anno il ministro degli Interni o il capo dello FSB
[10] con aria soddisfatta fanno rapporto al presidente della Federazione Russa su qualche centinaio di "guerriglieri eliminati".

La ruota della morte gira e gira… Nel frattempo nella società sorgono dubbi sulla legittimità dell'uso della forza nel corso delle KTO.

La gente pone domande: ma avete fatto tutto, cittadini agenti delle strutture armate, per prendere i sospetti (non c'è stato infatti, di regola, né un arresto, né un indagine, né un processo, né una sentenza) vivi, dimostrare la loro colpevolezza e permettergli di giustificarsi nell'ambito di una procedura legale?

In risposta ci raccontano terribili storie di terroristi che si possono solo bruciare o fare a pezzi con le loro case e i loro appartamenti, ma in alcun modo prendere vivi.

Ma noi vediamo ragazzi e ragazze uccisi, che già non possono smentire né confermare niente – come Mariam (
Čerenkova) di Dagestanskie Ogni [11], su cui gli agenti delle strutture armate, interrompendosi l'un l'altro, ci hanno raccontato (sul suo cadavere) che era una terribile "šachidka" [12], ma come prima vediamo davanti a noi una madre 21enne di un bambino di sette mesi, uccisa solo perché la cintura per il telefono nel corso della KTO è stata presa per una cintura con l'esplosivo.

E così il controllo sociale sullo svolgimento delle KTO perché le autorità facciano tutti gli sforzi per salvaguardare la vita dei cittadini della Federazione Russa per lo svolgimento delle misure legali per la dimostrazione della loro colpevolezza o per la loro assoluzione – ecco il compito più importante.

Per questo sono necessarie persone esperte e tranquille (perché facciano luce su dove sta la verità e dove sta la menzogna in una situazione di guerra e non seminino il panico), che stiano incondizionatamente dalla parte della collaborazione con il mondo civile e dello sviluppo.

Sono necessari giuristi, giornalisti e attivisti per i diritti umani.

Sono necessari credenti, sono necessari rappresentanti dello stato capaci di intendere e di volere, che capiscano che senza un simile controllo sociale la messe di sangue sarà infinita.

La violenza produce violenza – ogni odio si arresta con parole e fatti.

Quarto
. Indagini e carceri.

Centinaia, migliaia di giovani del Caucaso negli ultimi anni sono passati per indagini e carceri.

La stragrande maggioranza di loro riferisce nei dettagli di torture e di ogni metodo inammissibile e illegale che è stato applicato nei loro confronti allo scopo di ottenere da loro la resa di determinate deposizioni.

Tra l'altro non in una situazione operativa in cui contano i minuti e forse un'informazione urgente, sia pure procurata con la violenza, su una bomba che è stata piazzata è capace di salvare la vita delle persone.

Ma metodicamente, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese ci sono torture, pestaggi, umiliazioni – il loro scopo è la fabbricazione e la chiusura dei casi.

Gli inquirenti, che non hanno prove e non cercano di procurarsele, sanno che comunque il tribunale crederà a loro e ai racconti degli imputati su elettroshock, pacchi sulla testa, schiacciamento di genitali, pestaggi con bottiglie piene d'acqua a metà (ematomi interni, invisibili a un occhio inesperto), minacce di violenza sessuale e simili gesti di ferocia no.

Da sette anni dura il processo di Nal'
čik [13] sul caso della rivolta del 13.10.05. Alcuni imputati sono morti, alcuni sono stati riconosciuti affetti da malattie mortali e posti agli arresti domiciliari. In questo tempo ad alcuni sono nati figli, sono comparse mogli. Questo processo pluriennale non è forse di per se una tortura disgustosa, come non hanno conosciute le tirannie e i dispotismi più terrificanti?

La creazione di un sistema efficace di controllo di qualsiasi denuncia nel corso delle indagini o della detenzione di un imputato – ecco il compito più importante!

Ci giunge una lettera dalle zone
[14] – le persone si cuciono le bocche, si cuciono l'uno all'altro in segno di protesta contro l'abuso e la violenza da parte dell'amministrazione.

Cosa vogliamo, rappresaglie ed eliminazioni di persone che pure hanno compiuto crimini? O la cessazione della guerra civile terroristica? Queste indagini, questi tribunali, questi carceri possono sia pure in grado microscopico essere adatti a questo compito?

La gente preferisce morire pur di non capitare in questo inferno "giuridico" senza legge né giustizia!
Quinto. Il riadattamento di persone che hanno compiuto, si sono ravvedute, hanno riconosciuto e altro bla-bla-bla…

Oggi il riadattamento esistente in Daghestan, in Inguscezia e in forma caricaturale nella Repubblica di Kabardino-Balkaria è semplicemente un elemento delle misure investigative.

Scrivi un documento, scrivi una confessione e ti ridurranno la pena – sussurrano all'orecchio del detenuto e dell'arrestato. Di regolano lo ingannano, riferendosi al fatto che "i federali guidano"…

Cioè cercano di paragonare la cessazione dell'attività terroristica e il riconoscimento della necessità di mettersi sulla via della vita pacifica da parte di una persona alle resa di deposizioni contro di se e i propri compagni.

Condannando a morte una persona (se ha acconsentito e ha consegnato tutti, si sforzeranno comunque di ucciderlo e nessuno ha mai visto la difesa dei testimoni nel Caucaso), o rompendo la sua personalità (se non ha neanche qualcuno da consegnare, ma semplicemente ha cominciato a riflettere se confermare la versione su che malfattore sia – là ha sparato, là ha ricevuto un ordine…), le autorità non compiono alcun riadattamento – così fanno rapporto sull'organizzazione del processo di pace.

L'esempio dell'Irlanda del Nord, dove i terroristi cattolici che hanno fatto esplodere macchine in quartieri popolosi di città inglesi e hanno fatto saltare in aria alberghi con decine di persone oggi siedono nei parlamenti e il paese con questo è diventato solo più più forte non li convince.

E questo esempio è univoco – gli ex leader dell'IRA che hanno rinunciato ai massacri sanguinosi sono costruttori più efficaci della pace della legalità di tutta la macchina militare e poliziesca britannica con tutti i suo James Bond insieme.

In Russia questo pensiero (nonostante l'unica esperienza efficace di regolazione pacifica compiuta secondo uno schema simile nella Repubblica Cecena) causa shock e trepidazione.

Sono certo che nelle carceri e in libertà (alla macchia) è pieno di musulmani che sono pronti, non per paura ma in conseguenza delle proprie convinzioni a condannare il terrore e a darsi a una costruzione sociale pacifica.

Nessuno gli offre tale possibilità – secondo il soggetto devono andare dai giornalisti rotti, con gli occhi sfuggenti e biascicare qualcosa tipo "ci siamo sbagliati", "scusate" e "non lo farò più".

Ma la maggior parte preferisca la morte a questo scenario.

Siamo obbligati a creare un autentico riadattamento come base del processo di pace e della costruzione civile – qualsiasi persona a cui venga voglia di rompere con il terrore deve avere la possibilità non solo di dichiararlo pubblicamente senza timore di capitare nel tritacarne delle indagini, ma anche di inserirsi in un'attività sociale pubblica legale.

Non ci sono alternative a questo.
Sesto. Il Caucaso è un luogo di mezzi di comunicazione di massa mostruosamente sottosviluppati. Più precisamente: a seconda delle regioni. Ma anche là, dove i mezzi di informazione di massa in qualche modo ci sono, gli omicidi di giornalisti (come Chadžimurat Kamalov , la cui morte nessuno perdonerà, né dimenticherà) è norma di vita, più precisamente di morte.

La mancanza di un campo mediatico sviluppato, le sporche PR dei giochi dei servizi segreti che organizzano false fusioni, la pubblicazione di intercettazioni e così via, la dipendenza dei mezzi di comunicazione di massa da investitori che in parte rappresentano clan criminali e burocratici (o loro oppositori, fra l'altro della stessa natura) – ecco lo sfondo su cui è impossibile qualsiasi costruzione di una società civile.

Ci è indispensabile un'Unione dei Giornalisti Pancaucasica – un'organizzazione sociale efficace, capace di difendere o anche di porre questioni in difesa dei propri colleghi dagli abusi del potere e della criminalità (talvolta sono concetti che si fondono), del terrore e di qualsiasi forma di pressione sulla stampa.

L'Unione dei Giornalisti della Russia, impaludatasi nella lotta per gli immobili a Mosca, nel Caucaso non si sente e non si vede.

Ecco, tali compiti vedo come i più importanti nella mia attività nell'organico del Consiglio per i Diritti Umani.

Senza il vostro appoggio, senza un'ampia partecipazione sociale non verremo a capo di tutto questo.
Ma siamo obbligati a venirne a capo, perché Dio è con noi.
Maksim Ševčenko [15]

KavPolit
[16]

http://ingushetiyaru.org/news/35769/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] "Consiglio per lo Sviluppo della Società Civile e i Diritti Umani presso il Presidente della Federazione Russa".

[2] "Politica Caucasica", giornale on-line.

[3] Associazione per la difesa dei diritti umani nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche.

[4] Associazione nata per chiedere all'URSS e poi alla Russia il rispetto della parte riguardante i diritti umani degli accordi di Helsinki del 1975.

[5] Natal'ja Chusainovna Ėstemirova, giornalista e attivista per i diritti umani.

[6] Leggasi "terroristi islamici".

[7] In arabo tāġūt, "idolatria".

[8] In arabo kāfir è "infedele".

[9] Dalla dicitura russa KontrTerrorističeskie Operacii.

[10] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.

[11] "Fuochi del Daghestan", città del Daghestan meridionale.

[12] Femminile di šachid, dall'arabo shahid, "martire", cioè terrorista kamikaze.

[13] Capitale della Kabardino-Balkaria.

[14] "Zone" erano detti i campi del GULag.

[15] Maksim Leonardovič Ševčenko, giornalista televisivo e membro del Consiglio di Coordinamento dell'opposizione russa.

[16] Abbreviazione di “Kavkazskaja Politika” (vedi nota 2).

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