30 giugno 2013

Perché il Caucaso russo è un territorio senza legalità

Un territorio a limitato vigore delle leggi

Ingushetia.Ru 17.06.2013 15:06
Nella coscienza della società russa si è formato un duro stereotipo: dice, il Caucaso del Nord è un territorio particolare, in cui in qualche posto parzialmente, in qualche posto anche per nulla vigono le leggi russe. Questa idea in un certo grado è giusta, ma quelli che così ritengono a volte non sanno le vere ragioni della situazione che si è creata.
Nel Caucaso le norme del diritto sono infrante non certo perché le persona qui siano meno obbedienti alle leggi che da altre parti, ma in primo luogo perché chi è chiamato a garantire l'osservanza della legge la viola nel modo più scandaloso. Si capisce, non è solo un problema caucasico, ma qui per gli abusi di chi ha il potere la gente soffre più della popolazione delle altre regioni della Russia.
C'è un trend segreto, ma che si può seguire distintamente da parte dello stato russo: gli abitanti del Caucaso del Nord, anche se sono formalmente cittadini del paese, sono persone di categoria particolare, nei confronti dei quali è permesso ciò che è inaccettabile, per esempio, nella Russia centrale.
Testimonianza di questo è il pieno strapotere dei militari nel Caucaso del Nord, gli omicidi extragiudiziali di cittadini innocenti e il dichiararli terroristi senza prove dopo la morte, la fabbricazione di procedimenti penali a Mosca e in altre grandi città, dove si può far figurare qualcuno tra i sospetti semplicemente per l'appartenenza etnica e religiosa.
Gli abusi che compiono i militari federali inviati nelle repubbliche del Caucaso, a cominciare già dalla prima guerra in Cecenia e il fatto che gli organi inquirenti guardino attraverso le dita le azioni illegali dei federali e degli agenti locali delle strutture armate – tutto ciò si è trasformato qui in una pratica quotidiana. Ma, com'è noto da tempo, una pratica provata ovunque e che ha dimostrato la propria efficacia, perlomeno dal punto di vista di chi l'ha stabilita là, può diffondersi pienamente e diventare di ogni luogo.
Confermano ciò le repressioni, a cui ora sono sottoposti i partecipanti alla protesta civile e pacifica a Mosca, anche se la coscienza imperiale della società russa, tra cui anche della maggior parte delle persone dedite ai valori democratici, certamente non desidera ammetterlo.
Di numero in numero ci tocca scrivere di sparizioni e omicidi di persone non colpevoli di niente durante lo svolgimento delle cosiddette operazioni speciali.
Il 6 maggio sono passati esattamente cinque mesi dal sequestro del 29enne allenatore inguscio del club sportivo Kaloj Achmed Buzurtanov nella cittadina di Majskoe del distretto Prigorodnyj dell'Ossezia del Nord. Le forze dell'ordine e la leadership dell'Inguscezia fin dal giorno della sparizione di Buzurtanov hanno affermato di non avere idea né di cosa sia successo, né di dove sia. Tuttavia, incontrandosi con i suoi colleghi poco più di una settimana dopo l'accaduto, il capo dell'Inguscezia Junus-Bek Evkurov ha alluso al fatto di avere sbobinature di telefonate del sequestrato, che testimonierebbero i contatti dell'allenatore con i guerriglieri. Del destino di Achmed Buzurtanov finora non è noto alcunché.
Premiare con l'etichetta di guerrigliero o di favoreggiatore di guerriglieri persone a cui non è data la possibilità di dimostrare il contrario, sapendo che le loro vittime, sottoposte a torture o morte, non smentiranno nulla è il metodo preferito degli agenti delle strutture armate. Ed ecco che di questo metodo si serve il capo dell'Inguscezia: denigra con facilità una persona sequestrata, forse già uccisa, senza farsi carico di portare alcuna prova.
Tra l'altro a Evkurov si conserva ancora una qualche aureola di governatore aperto, che si incontra con gli attivisti per i diritti umani e con gli operatori sociali, beve il tè con loro, conversa fiduciosamente e dopo questi dicono che fa tutto ciò che può, solo, ecco, tra noi, non tutto, dice, è sotto il suo controllo, in quanto le strutture armate sono sottoposte al centro e non a lui, capo della repubblica.
Che dire, è un soggetto vincente e verosimile. Ma lo stesso Evkurov, generale del GRU [1], eroe di Priština e della Cecenia, rigetta questo trattamento della situazione. Così, in un'intervista al giornale "Gazeta.Ru" [2] del 24 aprile in risposta alla domanda: "I Suoi poteri sono sufficienti per controllare efficacemente il Ministero degli Interni e lo FSB [3] dell'Inguscezia?", Evkurov dichiarò: "Quando dico che non sono sottoposti a me, ciò non significa che le strutture armate sul territorio della repubblica operano senza informate le autorità, senza accordo. Noi teniamo sotto controllo tutte le operazioni speciali. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, dell'operazione speciale (del 4 aprile nel villaggio di Dolakovo [4], su questo si veda il materiale sotto – nota dell'autore) sapevo in precedenza. Non sapevo gli indirizzi, ma sapevo che sarebbe stata a Dolakovo. Sapevo chi avrebbero cercato là, perfino che uno non sarebbe figurato nel risultato. Dirò di più: dell'inizio e del termine dell'operazione mi fanno rapporto, perché io qui sono il capo".
"Porca putt.., non è la casa giusta..."
L'8 aprile, ancora sotto il manto della notte che se ne andava, alle cinque del mattino, una delle vie del piccolo villaggio inguscio di Dolakovo fu assediata da mezzi militari e da un reparto di agenti delle strutture armate armati fino ai denti, come se fosse un oggetto strategico inaccessibile che bisognava prendere con un blitz.
Il 31enne Chavaž Ozdoev se ne andava sempre al lavoro da casa sua al numero 35 di via Kombileevskaja prima dell'alba – bisognava riscaldare la caldaia nella scuola locale, dove lavorava come fuochista, perché all'inizio delle lezioni facesse caldo nelle classi.
E in questo giorno sfortunato, come al solito, uscendo dal cortile, era riuscito a voltarsi e a chiudere a chiavistello il cancello dietro di se, quando là risuonò una scarica di mitra. Chavaž (...) fu colpito alle spalle e ucciso sul posto. Suo fratello minore Adam Ozdoev, saltato fuori al suono degli spari, visti i militari con le armi e Chavaž disteso morto a terra, prese a correre in direzione opposta al cancello, dove vide suo cugino Artur Pliev. Questi si era alzato per la preghiera mattutina, ma, sentito il rumore, si era affrettato dai parenti.


Adam riuscì a gridare ad Artur che non si avvicinasse al portone, ma corresse dalla parte opposta, nell'orto, cosa che entrambi fecero. In quel momento risuonarono gli spari. Adam, ferito, cadde, ma riuscì a rialzarsi e corse più lontano, seguirono nuovi spari e Artur cadde morto.
Zareta Ozdoeva fu testimone della sparatoria sui suoi fratelli.
Racconta di essersi lanciata verso il portone, anche se i militari avevano preso a gridarle e a imprecare, chiedendo di non avvicinarsi. Tuttavia la ragazza, evidentemente in stato di shock, non obbedì. Avvicinatasi precipitosamente di corsa, aprì il portone e chiese: "Chi siete e cosa fate?". Invece di rispondere uno degli agenti delle strutture armate, indicando l'ucciso, chiese: "E' Mestoev?"
"No, è mio fratello Chavaž Ozdoev", – disse Zareta. In seguito, a suo dire, questi disse che Chavaž gli aveva sparato con un mitra, ma la ragazza in risposta chiese che guardassero suo fratello: "Non aveva armi, giaceva supino e le sue mani erano alzate e questo confermava che gli avevano sparato alle spalle, prova di questo erano anche i fori da pallottola nella schiena e in una gamba e in testa gli era stato sparato il colpo di grazia, presso l'orecchio sinistro. In tutto gli agenti delle strutture armate spararono da noi nel cortile non più di una ventina di colpi", – Zareta racconta in modo circostanziato ciò che avvenne in quel mattino da incubo per la loro famiglia.
Secondo Zareta Ozdoeva, quando questa volle girare il corpo di suo fratello per mostrare che era disarmato, gli agenti delle strutture armate le proibirono categoricamente di avvicinarsi. E in seguito, come afferma la sorella dell'ucciso, gli assassini trascinarono il corpo. In seguito su Internet comparve un video, in cui Chavaž Ozdoev giace già in tutt'altra posa e accanto a lui sta una pistola con il silenziatore.
Compiuti due omicidi, i militari intesero irrompere in casa Ozdoev, ma Zareta ostacolò i loro piani. Li persuase a svolgere una perquisizione in casa e a convincersi che là non c'era niente di pericoloso per loro. Questi temettero di andare dentro la casa e si accordarono solo a condizione che la ragazza andasse avanti di fatto in qualità di scudo umano.
Secondo Zareta, le dettero in mano una piccola telecamera e sotto l'obbiettivo laser dei mitra passarono per tutti i vani della casa.
"Uno di loro si metteva periodicamente in contatto con qualcuno e faceva rapporto che tutto era pulito, – racconta Zareta Ozdoeva. – Quando la fila giunse ai vani sotterranei, si rifiutarono di entrare e vollero gettare qualcosa in cantina, ma io insistetti di nuovo e con la telecamera in mano per mia iniziativa, eseguendo i loro ordini, ispezionai ogni angolo e ogni muro. Girammo tutti i vani, ma quando ci avvicinammo al garage, uno degli agenti delle strutture armate, facendo una smorfia orribile, imprecò e disse alla radio letteralmente quanto segue: "Porca putt..., non è la casa giusta! Ci serviva la seconda casa dall'angolo sinistro del quartiere e questa è la seconda dall'angolo destro".
In quel momento un rombo giunse fino a casa Ozdoev: "colpivano" proprio là, a sinistra.
Come si chiarì più tardi, facevano esplodere casa Mankiev. La madre malata degli Ozdoev e la sorella furono portate fuori dal loro cortile e fino alla 16 non le fecero entrare in casa. Per tutto quel tempo gli ospiti non invitati armati di tutto punto fecero da padroni là e la ripulirono di tutto ciò che aveva un valore. Noteremo: gli agenti delle strutture armate, che per errore avevano sparato a persone non colpevoli di nulla e che solo un'ora prima non avevano osato entrare nell'abitazione delle proprie vittime – avevano appena rischiato, nascondendosi con i mitra in mano alle spalle di una ragazza! – adesso, convintisi che non c'era pericolo, si erano accinti all'istante allo sciacallaggio. E merita notare che se ne occuparono molto, senza imbarazzarsi neanche un po', che la casa "non era giusta"...
Secondo la dichiarazione di Zareta Ozdoeva, che è indirizzata al capo dell'Inguscezia, come pure al Procuratore della Repubblica, al capo della Direzione Inquirente del Comitato Inquirente, all'incaricato per i diritti umani inguscio e alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, da casa loro portarono via praticamente tutto ciò che aveva un minimo valore:
due televisori al plasma; due computer fissi con tutti gli accessori (compresa 1 stampante e l'UPS); due notebook, uno dei quali era il computer di servizio di Artur; 4 aspirapolvere; un lettore DVD; 10 telefoni (7 di questi li hanno restituiti dopo 2 giorni, tenendosene 3); i risparmi di Chavaž nella misura di 200 mila rubli [5]; 40 mila rubli [6] appartenenti ad Artur e tolti dalla sua automobile VAZ-2107 [7]; ornamenti di famiglia in oro (un collier di brillanti, un completo di brillanti – orecchini e un anello, 5 anelli, 3 paia di orecchini, un antico braccialetto del 17° secolo – regalo di famiglia, orologi appartenuti al nonno degli Ozdoev); ornamenti di gioielleria della zia che stavano in cassaforte (4 anelli, 2 collane di perle di colore bianco e nero, 4 paia di orecchini, 2 ciondoli d'oro); strumenti da costruzione; una motosega; un trapano elettrico e un avvitatore; una cassa con strumenti per la riparazione di automobili; un argano; un completo di gomme invernali su dischi per una VAZ-21099; una pelliccia di visone lunga; 3 tovaglie di seta; 130 mq di parquet di quercia impacchettato; vari documenti.
"Ma la cosa più stupefacente, – dice Zareta, – è stata scoprire che gli agenti delle strutture armate, a tutta evidenza, si nutrono male, forse fanno perfino la fame, anche se dall'aspetto non lo diresti: sono tutti alti e abbastanza pasciuti. Dopo la loro partenza abbiamo scoperto che da sotto cinque tacchinelle che covavano sui trespoli sono state rubate le uova, da cui cinque giorni dopo sarebbero dovuti uscire i pulcini".
Gli Ozdoev affermano che tutti i partecipanti all'"operazione speciale" con cui gli è toccato comunicare erano ubriachi – avevano l'alito da avvinazzati.
Più tardi dei testimoni hanno riferito agli Ozdoev che il fratello minore Adam (peraltro questi lavorava nella stessa scuola di villaggio di Dolakovo come insegnante di informatica), che era stato ferito e portato all'Ospedale Centrale di Nazran' [8] accompagnato da due agenti delle strutture armate, dopo essere stato fasciato era stato portato via dagli stessi agenti. L'avevano portato via nonostante che il ferito fosse semi-svenuto, delirasse e chiamasse suo fratello ucciso. E dove abbiano portato Adam, dove sia adesso, i familiari non possono ancora chiarirlo…
Ajšat Ozdoeva (...) è invalida, non può spostarsi senza un aiuto esterno. Vent'anni fa fu costretta a fuggire dal distretto Prigorodnyj dell'Ossezia del Nord durante il conflitto osseto-inguscio, gettando via tutto ciò che aveva accumulato in molti anni, salvando in primo luogo i figli. Li crebbe da sola – rimase vedova quando i figli erano ancora piccoli. E quando finalmente li ha cresciuti (i figli programmavano di metter su famiglia in breve tempo), in un momento li ha persi entrambi e un nipote.


Il nipote ucciso di Ajšat, Artur Pliev del villaggio di Plievo [9], solo due settimane prima si era impiegato come capo contabile nella stessa scuola dove lavoravano i cugini Adam e Chavaž. Viveva in casa di sua zia, cercava un appartamento in affitto più vicino al lavoro…
Nonostante il dolore disumano abbattutosi su questa donna, essa conserva non solo l'innata generosità e dignità, ma cerca di giudicare logicamente, sobriamente. Ma proprio nessuna logica aiuterà a trovare una risposta alla domanda principale, che qui pongono i familiari di tutti gli uccisi o sequestrati senza giudizio: "Perché?"
"I miei figli sono cresciuti davanti ai miei occhi, erano sempre in vista. Tutti i vicini, gli amici e i conoscenti sapevano di cosa si occupavano, tutti vedevano come andavano al lavoro e ne tornavano", – racconta Ajšat, asciugando lacrime che escono come da sole dai suoi occhi pieni di dolore.
– Se fossero stati colpevoli di qualche violazione, tanto più di qualche crimine, il potere non avrebbe dovuto forse avvertire, riferirlo a noi genitori? Se ci fosse stato qualcosa di simile, forse non sarebbe stato necessario giudicarli secondo la legge? – domanda con sincera incomprensione.
Ajšat non sa a chi rivolgersi per avere giustizia. In piena disperazione ha detto che non le resta altro che andare a Mosca dal capo della chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill e chiedere il suo aiuto. Forse il suo intervento metterà fine all'illegalità? Essa ha smesso di credere che lo faranno le autorità federali e regionali.
Non di meno nel corso della nostra prolungata conversazione mi è parso che nel profondo dell'anima di questa donna rotta dal dolore si scaldasse la debole speranza che il possibile incontro con Junus-Bek Evkurov portasse almeno qualche sollievo. Penso che si aspettasse aiuto da lui nella ricerca del figlio minore, che è stato sequestrato mentre era ferito. Credeva in questa chance, nonostante l'amara offesa, infatti il capo della repubblica non ha trovato necessario neanche porgere delle scuse per l'omicidio di suo figlio e suo nipote per errore – sì, proprio tali errori compiono le strutture armate della repubblica a lui affidata. Errori, il cui prezzo sono vite umane.
L'onore vale più della vita
Bamatgirej Mankiev (...), in un passato non lontano deputato al parlamento, ministro dell'Agricoltura dell'Inguscezia, adesso è un operatore sociale stimato nella repubblica. Al mattino presto l'8 aprile a Bamatgirej durante il namaz [10] mattutino telefonò il fratello e riferì che intere vie erano circondate da mezzi militari.
– Cominciai a telefonare al capo dell'amministrazione di Dolakovo per chiarire cosa accadesse, – ricorda Mankiev. – Ma questi disse: "Non ci hanno informato, non sappiamo niente, non siamo al corrente. Non mi permettono di andare là".

Le notizie su ciò che accadeva in casa Ozdoev nel frattempo si diffusero rapidamente per il villaggio. E nella stessa via Kombileevskaja, nella seconda casa dal lato opposto, la stessa con cui si erano confusi (ricordate il messaggio che trasmise via radio quel militare da casa Ozdoev?), viveva il figlio di Bamatgirej, Jakub Mankiev.
– E in quel momento, – dice Bamatgirej, – mi telefonò un vicino di mio figlio e riferì: "I militari vogliono entrare in casa di Jakub, ma Jakub non li fa entrare. Vieni subito!"
Mi avvicinai facendo un giro. Dico: "Sono suo padre, di che si tratta?" Questi sono armati, sparano sulla casa. "Andrò io, sistemerò" – dico. Per un po' di tempo cessarono la sparatoria. Mi avvicinai alla casa, chiamai mio figlio, mi fece entrare Gli chiedo: "Perché non apri la porta?" Ed egli dice: "Abbiamo un ospite qui". – "Che ospite?" Mi portò in una stanza, là siede un ragazzo giovane. Volto rasato, tondo, così chiaro – è evidente che non è stato al sole, al vento. Chiedo: "Chi sei?" – "Sono Mestoev". Gli dico: "Sei mio ospite, non ho bisogno che tu abbia cose spiacevoli. Ascoltami: nella repubblica non sono l'ultimo, mi sforzerò perché sistemino giustamente la tua questione, in gioventù succede di tutto". Questi, a quanto risulta, ha un procedimento penale: omicidio per vendetta di sangue. Lo convinsi: "Vieni con me, arrenditi". Risponde: "Non andrò da lui. So che lo costringeranno a fare denuncia". Allora dico a mio figlio: "Dai, vieni tu con me". E lui mi dice: "Padre, l'ho accolto, è mio ospite, non potrò andarmene e lasciarlo solo a combattere, qui per me sarà mille volte più facile che là. Non mi sono, – dice, – annoiato di vivere, sono nel pieno delle forze, sono un giovane ragazzo sano, tutto ciò che vale in questa vita ce l'ho – l'istruzione, il lavoro. Ma per me al di sopra di tutto c'è l'onore. Abbandonare un ospite, andarsene… Meglio che resti qui". Mi disse ancora: "Padre, in vita mia non ho mai fatto alcun male a nessuno, sii certo di questo. Ma che io sia qui o là, è lo stesso: se è destino che muoia, morirò con onore. Questi non ha fatto irruzione qui con la forza, mi ha chiesto: "Si può?" Ho detto: "Si può". Così è andato tutto".
Qui è necessario chiarire: la difesa dell'ospite è un'usanza plurisecolare dei montanari, in particolare dei ceceni e degli ingusci. Secondo questa regola, se in casa tua in cerca di difesa giungesse di corsa l'assassino di tuo padre, saresti obbligato a difenderlo in quel momento. La violazione di questa usanza sarebbe un disonore per tutta la stirpe di chi ha agito così anche per qualche generazione successiva.

Quando Bamatgirej Mankiev capì che suo figlio non avrebbe consegnato il proprio ospite, uscì verso i militari che circondavano la casa e si avvicinò a quello che era il capo del loro gruppo. Ciò che accadde in seguito, lo racconta così:
"Questo capo mi prese il telefono e parlò con mio figlio: "Jakub, – dice, – ti abbiamo controllato, non ci sono rimostranze nei tuoi confronti, sei una persona pulita in modo cristallino, giovane, bella, energica, istruita. Hai una bella famiglia, una buona situazione materiale, un padre autorevole. Ascolta tuo padre, esci. Ti do tre minuti. Ritelefonerò".
Ma neanche la nuova chiamata dal telefono del padre mutò nulla. Jakub restò inflessibile: "Non violerò le tradizioni dei montanari. Non posso andarmene e lasciare l'ospite. Se l'ospite uscirà, allora uscirò anch'io".
Il padre di Jakub chiese ai militari di dargli tempo, intendeva portare i familiari di quel ragazzo, sperava, era perfino convinto che per mezzo di trattative sarebbe riuscito a risolvere pacificamente la situazione. C'era bisogno solo di un rinvio, "tali questioni non si risolvono in dieci minuti e neanche in un'ora", – chiarisce con amarezza.
Ma, secondo la testimonianza di Bamatgirej, non gli dettero la possibilità di fare niente. Questi è convinto che i militari fin dall'inizio non fossero interessati a questo.
– Qualsiasi armamentario ci fosse nell'esercito russo fu puntato sulla casa di mio figlio, – ricorda.
Non gli fecero neanche finire la conversazione con suo figlio e il suo ospite.
"Risuonò l'ordine "Fuoco!" e cominciarono a sparare sulla casa dai BTR [11]. Mi misero da parte", – dice.
Uccisi Mankiev e Mestoev, i militari fecero saltare in aria la casa. In seguito, come in casa Ozdoev, si servirono per benino: rastrellarono dall'abitazione distrutta tutto ciò che avesse un minimo valore. Ma questi sciacalli di stato non si limitarono a questo: evidentemente, prendendoci gusto, rapinarono insieme anche la casa dei vicini dei Mankiev. Cacciarono preventivamente di là i padroni, poi caricarono sui mezzi militari tutto ciò che aveva un valore - televisori, computer, presero i soldi e perfino il corredo della nuora dei padroni (loro figlio si era sposato due settimane prima), comprese le scarpe da donna.
Bamatgirej Mankiev ritiene insensato appellarsi a qualcuno per chiedere giustizia. E' certo che nessuno risponderà dell'omicidio di suo figlio. Jakub il 14 aprile avrebbe compiuto 27 anni. Era riuscito a discutere la tesi da candidato, aveva un buon lavoro, tutte le prospettive di crescita di carriera e una vita bella e fortunata. Ma solo perché qualcuno aveva bisogno, per dimostrare il proprio zelo in servizio, di un determinato numero di cadaveri (beh, anche di rapinare…), è stata stroncata la vita di un giovane, che avrebbe potuto fare molto bene alle persone vicine e alla società e i suoi tre figli piccoli sono rimasti orfani e la sua giovane moglie vedova.
Gli Ozdoev e Mankiev affermano unanimemente che i militari hanno attaccato il villaggio senza farsi molto vedere e che là non è risultato essere nessuno delle forze dell'ordine della repubblica. Secondo Zareta, quando si lanciò da uno all'altro, cercando di trovare il comandante, chiese: "Spiegatemi di che si tratta, cos'è successo, perché due miei fratelli sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco in cortile e il terzo è stato portato non si sa dove? Perché mi avete sconquassato tutto in casa?", in risposta ripeterono ottusamente: "Non sappiamo niente, è lo FSB di Mosca". Là non si sa da dove comparvero ancora delle automobili – dice Zareta, erano delle Priora [12] argentate senza targa e con i vetri oscurati. Poi vide che presero ad attaccarci le targhe.

Mankiev dice che cercò là, tra questi per così dire militari, qualcuno che capisse la lingua inguscia, ma non lo trovò. "Accuso di tutto una persona – Evkurov! Quello che ha mandato questi cani rabbiosi contro il proprio popolo! – dichiara Bamatgirej e nella sua voce si sente una certezza incrollabile. – Ecco chi è responsabile di tutto!"
Il 18 aprile il capo dell'Inguscezia Junus-Bek Evkurov ricevette Ajšat Ozdoeva. Come ci ha riferito Zareta Ozdoeva, Evkurov propose alla madre infelice di portargli suo figlio Adam sparito, che questa nasconderebbe da qualche parte. Il potente funzionario in questo caso avrebbe deliberato (ma grazie!) di riabilitarlo. All'incontro del capo dell'Inguscezia con Ajšat Ozdoeva era presente anche il militare che aveva comandato l'"operazione speciale" a Dolakovo, l'agente dell'UFSB [13] della Federazione Russa per la Repubblica di Inguscezia Pavel Černov.
In risposta alla domanda di Evkurov di riferire com'era andata la cosa, questi dichiarò che era toccato uccidere Chavaž in quanto aveva aperto il fuoco sui federali con un mitra. Sentito questo, la madre non resse ed esclamò: "Perché mente, non si vergogna?" Dopodiché, secondo i familiari, Evkurov ordinò di portar via Ajšat dall'ufficio.
Zareta ha detto che da quell'incontro la madre tornò a pezzi e la sua salute, comunque minata, peggiorò ancora e adesso causa seri pericoli.
E così tutto si è volto in modo più che prevedibile: le informazioni degli agenti delle strutture armate, che hanno compiuto uno spargimento di sangue e una rapina, non vengono messe in dubbio, anche se questi, dopo aver sparato a un uomo disarmato, fotografano in seguito il suo cadavere con una pistola e dopo due o tre settimane questa pistola spuntata da chissà dove a una persona pacifica in modo altrettanto magico si trasforma in mitra.
Purtroppo Evkurov non ha tempo di addentrarsi in tutti questi prodigi sospetti. Nella stessa intervista a "Gazeta.Ru" definì convinto gli Ozdoev "favoreggiatori di membri delle organizzazioni clandestine armate" e affermò che "è gente armata". Come nel caso di Achmed Buzurtanov, il capo della repubblica dichiarò che sugli uccisi "si è svolto un lavoro investigativo, sono state intercettate le loro conversazioni" e si è lamentato che "di solito non ci credono quando diciamo che queste persone programmavano un atto terroristico".
Inoltre Evkurov ripete la stessa versione, dopo aver conosciuto la quale Ajšat Ozdoeva è stata privata della sua ultima speranza: "Uno dei fratelli (Adam, ferito e in seguito portato via dall'ospedale dagli agenti delle strutture armate – n.d.a.) è fuggito, i familiari sanno dove si trova, ma dicono che l'hanno sequestrato".
Abdulla DUDUEV,
prima rivista indipendente del Caucaso "DO
Š", n° 2-2013 .
Ringraziamo il capo dell'organizzazione "Mašr" Magomed Mucol'gov per l'aiuto nella preparazione del materiale.
http://www.ingushetiyaru.org/news/36370/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Glavnoe Razvedyvatel'noe Upravlenie (Direzione Centrale dell'Intelligence).
[2] "Giornale.Ru", giornale online russo.
[3] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio di Sicurezza Federale), il principale servizio segreto russo.
[4] Villaggio dell'Inguscezia nord-occidentale.
[5] Circa 4640 euro.
[6] Circa 930 euro.
[7] Modello della VAZ (Volžskij Avtomobil'nyj Zavod, "Fabbrica di Automobili del Volga").
[8] Ex capitale dell'Inguscezia.
[9] Villaggio dell'Inguscezia settentrionale.
[10] Preghiera islamica (il corsivo è mio).
[11] Mezzi blindati russi.
[12] Modello della Lada non esportato in Occidente.
[13] Upravlenie Federal'noj Služby Bezopasnosti (Direzione del Servizio di Sicurezza Federale).

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