La spia tedesca e la pietà che vince l'odio
di Andrea Monda da Avvenire 25 aprile 2007
Ogni tanto i giudici degli Oscar del cinema indovinano. Il film del tedesco Florian Henckel von Donnersmarck «Le vite degli altri» è davvero un bel film, struggente e dolente ma anche pieno di profonda consolazione. Mentre guardavo la parabola di questo agente della Stasi che inizia a spiare con disprezzo la vita di uno scrittore e finisce per commuoversi e diventarne l'angelo custode, ecco che una serie di scene, battute, frasi di altri film e romanzi hanno cominciato ad
affollare la mia mente. Innanzitutto mi sono ricordato brano tratto da uno dei grandi romanzi del '900, «Il Potere e la Gloria» di Graham Greene e in particolare la scena in cui il prete protagonista si trova in prigione insieme a una massa di persone tutte ammucchiate al buio.
C'è una donna, una pia donna tutta casa e chiesa che si scandalizza perché un uomo e una donna si stanno accoppiando, quasi animalescamente, in un angolo della grande cella. La donna si lamenta con il prete che, però non riesce a risponderle, a consolarla. Scrive Greene: «Egli non poteva vederla nell'oscurità, ma poteva ricordare una quantità di volti dei tempi passati che si adattavano alla sua voce.
Considerando con attenzione un uomo o una donna, si poteva sempre cominciare a provarne pietà... Era una qualità insita nell'immagine di Dio... Quando si erano vedute le rughe agli angoli degli occhi, la forma della bocca, il modo in cui crescevano i capelli, era impossibile odiare. L'odio era semplicemente una mancanza di immaginazione. Di nuovo egli cominciò a risentire una responsabilità enorme per quella pia donna…». Il senso del film tedesco infatti mi sembra possa essere lo stesso: se guardi il volto di un uomo non puoi restare indifferente.
Quindi mi è venuto in mente un altro bel film, «Collateral», con Tom Cruise che fa la parte del killer, cioè uccide dietro compenso alcune persone che nemmeno conosce. C'è un dialogo che più o meno suona così, quando uno gli chiede: «Come fai a uccidere persone che nemmeno conosci?», il killer risponde: «E come si fa a uccidere persone che già conosci?». Poi ho pensato al bellissimo film «Tucker» di Francis Coppola: c'è una battuta del film quando lo zio Abe, amico e sostenitore di Tucker, gli dice: «A forza di stare accanto a te mi hai contagiato il tuo sogno». Ecco, il film tedesco dice proprio questo: un uomo si trova accanto (anzi, nell'appartamento di sopra) a un altro uomo e inevitabilmente si trova ad esserne «contagiato». Infine mi è venuto in mente un passo del Vangelo: il giovane ricco. Sta scritto infatti che quando il giovane chiede a Gesù cosa debba fare per ottenere la vita eterna, Gesù «fissatolo, lo amò». Mi sembra che in queste tre parole ci sia il senso di tutto: non si può amare senza fissare, non si può fissare senza amare. La contemplazione è l'azione più difficile ma l'unica che dà senso alle nostre altrimenti assurde
esistenze. Le vite degli altri è un film che prende spunto dal tragico non-senso del regime poliziesco della Germania Est prima della caduta del Muro, ma conduce lo spettatore verso qualcosa di più profondo, a quel sentimento di pietà che nasce dalla contemplazione della bellezza, non a caso nella scena-chiave ascoltiamo, insieme al protagonista, una musica struggente e il commenta è: «Sai cosa diceva Lenin dell'Appassionata di Beethoven? "Se continuo ad ascoltarla non finirò la rivoluzione". Può qualcuno che ha ascoltato, veramente ascoltato, questa musica essere davvero una cattiva persona?».
30 aprile 2007
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