Il Foglio 31.3.2007
L’EUGENIA DEI DUE MONDI
Dal 12 maggio con Pannella a quello con Ruini. Roccella, portavoce del Dies familiae, radicale figlia di radicale e femminista che non sa essere ex.
di Marianna Rizzini
La militante “E.” è in piazza. Piazza Navona, a Roma. E’ sera, è il 12 maggio. Marco Pannella, leader radicale, ha fatto stampare pile di giornaletti preveggenti con titolo sparato: “Vittoria del no”, no all’abrogazione della legge sul divorzio. Sono pronti da qualche giorno, con tanto di articoli scritti in fiduciosa ma incosciente certezza del risultato. La militante “E.” cammina contenta. Abbiamo vinto. I giornaletti vanno a ruba, meno male. Così magari rimpinguiamo le casse del partito. E’ grande festa, oggi.
Una pausa attiva prima del prossimo presidio radicale e del prossimo collettivo femminista. Ci sono gli amici e le amiche e si discute e ci si vuole bene e ci si ama e tutti sono stati un po’ con tutti ma si combatte insieme. E’ la nostra battaglia. Per le donne. Movimento per la liberazione della donna. “E.” non ha neanche vent’anni ma non c’è tempo da perdere. Gli esami all’università, vabbè, si faranno. Ora no. Militanti lo si è sempre e per sempre. E’ come un grande amore capriccioso. Chiama e non puoi non esserci. E’ il 1974 e le donne aspettano leggi: lavoro, parità. Laggiù, quattro anni dopo, c’è un’altra legge. La 194, maternità, aborto. Ancora piazza, megafono, autodenuncia, persino un arresto.
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La militante “E.” è di nuovo in piazza. San Giovanni, a Roma. E’ arrivata per prima ed è sempre il 12 maggio. Parla con tutti ma non ha il megafono, stavolta. Pannella non c’è. Ci sono molte mamme, papà. Ragazzi. Cappelli da scout. Donne che non hanno divorziato e non vogliono divorziare e anche se andrà male non divorzieranno perché per loro si chiama famiglia punto e basta. La militante “E.” è ancora lì per le donne, dice. In mezzo a vescovi, preti, suore, professori, associazioni e tonitruanti truppe cielline.
Gliel’ha detto bello chiaro, a tutti: “Laica”, combatto da laica di famiglia laica. Battezzata in extremis da una zia siciliana, a cinque anni suonati, in un borgo dove i cattolici erano in minoranza perché tra quelle poche case – con molto latte di capra, troppe mosche e solo tre macchine in tutto il paese – spopolavano i valdesi. “Sono laica”. Ma loro – prelati, professori e ciellini – l’hanno voluta ugualmente, la militante “E.”, come “testimonial” della famiglia e per la famiglia. E’ il 2007 e il disegno di legge sulle convivenze, i Dico, boccheggia sui tavoli di una commissione parlamentare. La militante “E.” i Dico non li vuole. Vanno contro le donne, dice. “Contro la ricchezza e il potere della diversità femminile. Contro la famiglia”. E oggi, invece, è il Family day, meglio, il Dies familiae.
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Nel nome del padre, Franco Roccella, che è stato uno dei fondatori del Partito radicale – e a voler essere superficialmente coerenti con la Weltanshaung familiare – Eugenia Roccella, giornalista e ricercatrice universitaria, non dovrebbe essere al Dies familiae del 12 maggio 2007. Nel nome del padre invece ci sarà, convinta com’è che una sotterranea continuità leghi questo 12 maggio a quello di trentatré anni or sono. “Papà oggi sarebbe d’accordo con me”, dice la militante Roccella, che si sente coerente con il proprio passato. Per gli altri invece, è una, bina e pure trina. Ma come? Eri lì per il divorzio e oggi sei qui contro i Dico con tutto quel can can di Note vescovili?
Ma come? Lottavi per l’aborto e oggi sei contro la Ru486? Ma come? Sei per la legge 40, tu, proprio tu, un’ex radicale, un’ex femminista che non è neppure tanto ex, perché la militanza è per sempre, e un’ex radicale è come gli ex comunisti, che sempre un po’ comunisti restano? “Mettiti d’accordo con te stessa”, le ha detto una cara amica radicale. “Ma io sono in accordo con me stessa”, ha risposto lei. “Sono con le donne contro un’idea di donna-macchina e un’idea di uguaglianza che penalizza la donna perché la fa vincere solo se si declina al maschile”, ha detto. L’amica non s’è convinta.
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Che è “una, bina e trina”, Eugenia Roccella, lo dicono i burloni alludendo alla discrasia tra la militante di allora e quella odierna, e vaglielo a far capire ai laici relativisti che la coerenza c’è e questo è solo uno scherzo di date, due 12 maggio a specchio rovesciato. Poi c’è quell’abitudine a lavorare in triade, una e trina come le Charlie’s Angels: Eugenia più Assuntina Morresi, scienziata cattolica, più Lucetta Scaraffia, professoressa universitaria. Le chiamano “le Roccelle”. In terzetto o a coppie incrociate hanno scritto vari libri, sempre almeno in due come i parolieri di Sanremo: “La favola dell’aborto facile” di Roccella-Morresi; e “Contro il cristianesimo, L’Onu e l’Ue come nuova ideologia” di Roccella-Scaraffia (con appendice di Morresi).
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“Un Pacs l’ho stipulato”. Funziona così: Assuntina, la scienziata di Cl, è una katerpillar della Rete. Trova qualsiasi cosa. E milita parecchio. Voleva mettere nel curriculum addirittura le maternità, per sottolineare la “diversità”. Roccella ha riconosciuto in lei una pari vis militante e ora tiene i contatti internazionali per entrambe. Morresi trova, Roccella divulga. E’ un Pacs nato con la complicità della notte. Le due lavorano a tarda ora, in case separate. Eugenia sta al computer fino alle cinque del mattino e si sveglia a mezzogiorno. E la famiglia? “E’ unita e forte”. Stesso marito da sempre, figli seguitissimi, nonni e zii adorati. Epperò lei, Roccella, ha orari bohémienne. Deve aver preso dalla mamma, che era attrice ma faceva la pittrice e ha attraversato tre fasi artistiche restando sempre se stessa: prima le astrazioni post femministe – facce di bambole, ferri da stiro, gambe di Cicciobello – poi le ombre, poi le nuvole, sempre più eteree “man mano che la malattia la spegneva”, dice il figlio di Eugenia illustrando i quadri della nonna.
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Nel nome del padre sembra difficile far quadrare il quadro. Franco Roccella è stato l’anima dell’Unione goliardica, culla universitaria del pensiero liberal- libertario del Dopoguerra. E’ stato radicale con grande passione, grande conflitto e molto amore-odio verso Pannella. Anni e anni di Torre Argentina, poi uno strappo e un avvicinamento di Franco al Psi. Poi il ritorno di fiamma, il Parlamento, un’altra crisi e la rottura definitiva. E se senti i radicali ti dicono che Franco non aveva capito, se senti Eugenia ti dice che lui capiva tutto, capiva eccome. Ma che importa. Radicali lo si è per sempre. E’ la Weltanshaung di famiglia. Oggi infatti, nonostante sia circondata da prelati, Eugenia si sente dire dalle amiche: “Madonna quanto sei radicale”. E se uno scettico le chiede conto di qualche aporia, Roccella risponde: “L’essere radicale è un metodo. Resta per sempre”. C’è lo zampino di papà. L’ha scritto lui: “Non l’unità delle forze laiche, ma l’unità laica delle forze”. E’ una frase che Pannella cita sempre. Sono le parole che permettono a Eugenia – dice Eugenia – di sentirsi in accordo con se stessa. E’ stato Franco a scriverlo, racconta il senatore Lino Jannuzzi, vecchio compagno di battaglie. Franco e Lino erano amici. Impomatati, vestiti bene, belli come Clark Gable, te li vedi lì seduti con una copia del Mondo in mano, come nella foto che Eugenia tiene in salotto. Franco è autore degli slogan più famosi dell’Unione goliardica: “Goliardia è cultura e intelligenza, è amore per la libertà e coscienza della propria responsabilità”. Li scriveva lui, ha spiegato un giorno Jannuzzi a Eugenia, “perché noi eravamo rozzi e incolti”. E quindi tutti a casa Roccella. Pannella ci svoltava spesso un piatto di pasta. D’altro canto ogni Natale i Roccella si piazzavano a casa Pannella per mangiare il tacchino con le castagne cucinato dalla mamma francese di Marco. Eugenia a Marco “vuole sempre bene”, dice, “ma non so se lui mi vuole ancora bene”. Il dubbio le viene a ragion veduta, cioè dopo aver combattutto con foga un’intera campagna per il referendum sulla procreazione assistita dalla parte della legge 40 (quindi contro Pannella), dopo aver mosso guerra alla pillola Ru486 (di nuovo contro Pannella) e dopo aver scritto articoli sul caso Welby un bel po’ distanti dalla linea pannelliana. Ma il pensiero radicale fa parte di lei, dice. Da quando sua madre la portava ai congressi e lei aveva solo quattordici anni ma guardava con curiosità “quei quattro gatti che discutevano infervorati”. E poi a diciott’anni anni se ne andava in giro per assemblee, e i marxisti li ascoltava, sì, ma le uniche parole che le piacevano erano quelle, isolate, degli ancor più isolati difensori dei dissidenti sovietici. E quando ci ripensa pensa pure che per fortuna in casa le avevano inoculato “un potente antidoto antimarxista antidogmatico”. Non fosse stato per quell’antidoto radicale magari sarebbe diventata come Nanni Moretti, suo compagno di classe al liceo Lucrezio Caro. E allora altro che Dies familae.
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I laici non credono nel destino. Non dovrebbe crederci neppure Roccella, che si dice laica a fianco dei cattolici. Eppure Eugenia ha la tentazione di crederci, al destino, quando pensa che il suo padrino di battesimo era Sergio Stanzani, “senatore” radicale, e la sua madrina di cresima era Liliana Pannella, sorella di Marco. Diavoli e acque sante erano già lì, in contiguità e continuità.
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“Testimonial” no. Portavoce, casomai. Roccella, assieme a Savino Pezzotta, sarà portavoce e non “testimonial” del Dies familiae del 12 maggio, specificano i comunicati ufficiali. Ma è inutile. Da una settimana Roccella è perseguitata da quell’epiteto, “testimonial”, che fa tanto scuderia di Lele Mora, un epiteto diffusosi misteriosamente nelle redazioni dei giornali all’indomani della sua investitura. E pensare che l’unica volta in cui si è sentita un po’ velina è stato in un giorno di rivoluzione al liceo Tasso. Sfortuna volle che fosse il suo quindicesimo compleanno. Eugenia si era vestita con una bella gonna nuova per uscire con un ragazzo. Ma lui le ha detto: “Guarda ti devi buttare dalla finestra perché sennò la polizia arriva qui e ci mena”. Lei si è buttata, ma addio gonna nuova, addio compleanno, maledetta rivoluzione.
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C’è una ragazza molto bella, a Bologna. Recita al Teatro universitario. Wanda, così si chiama, Wanda Raheli. Con quel nome dannunziano e i capelli neri sente di avere un bel futuro davanti a sé. Un giorno si innamora ed è per sempre. Anche se lui è riottoso alle dedizioni totali. Wanda lascia tutto, lo segue, viaggiano, vanno a Roma. Lui si chiama Franco, intellettuale di riferimento dell’Unione goliardica. Wanda ci prova, a fare la mogliettina, ma proprio non ci riesce. Lui è fuggitivo, lei aerea. Nasce una figlia e finisce subito in Sicilia dai nonni. Ci resta sei anni. Sei anni di idillio agreste in terra di mafioserie truculente. “Non ho avuto genitori”, dice oggi Eugenia Roccella, la “testimonial” che ha scelto di essere prima di tutto famiglia. “A un certo punto mi sono allontanata dalla politica per essere madre, moglie, figlia e nipote. Non è stata una rinuncia. Sono felice”. E forse quei due genitori tormentati non sono stati così male: “Non erano presenti ma erano affettuosi”. Non è colpa loro. “Però quando sono tornata a Roma erano troppo egocentrici per avere una relazione di cura con un figlio. Mi hanno mandato alla scuola americana”. Eugenia stava fuori tutto il giorno, respirava libertà e non proferiva parola. La madre, convocata dai professori allarmati dai silenzi della piccola, se la cavò con un signorile: “Non sa l’inglese”. Meno male che c’era la zia. Wanda e Franco servivano ad altro. Avevano certi amici che ti facevano venire voglia di carpire il segreto di quelle belle vite scapestrate, quantomeno per accaparrarsi compagni simili, nella vita: Elsa Morante, Ingeborg Bachmann. E la “gente di cinema” che Jannuzzi portava alle feste, mentre Pannella raccattava soldi illustri per qualche colletta. E allora si capisce. Si capisce come Eugenia sia stata in grado, su due piedi, di scrivere fotoromanzi, lavoro precario per una mamma con figli piccoli: “Facilissimo”. Boh. Che cosa si possono mai dire due facce bellocce su pagina traslucida? Roccella ci metteva solo una settimana a inventarselo, due milioni a sceneggiatura e il resto del mese libero. Bastava estrarre dalla memoria uno dei personaggi di casa sua, e lavorare sul canovaccio.
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E’ come per i romanzi gialli, non ci hai capito niente ma la soluzione era già lì. Sei tu che non l’hai visto, l’indizio. E ora è inutile chiedersi perché e per come Roccella riesca a sentirsi una, unica e in continuità con se stessa. La soluzione si chiama “La letteratura rosa”. E’ un saggio scritto da Eugenia nel 1998. Eccoli, gli indizi: “Il romanzo rosa, liquidato con ironica condiscendenza, è stato capace di adattarsi via via al mutamento dei bisogni e dei desideri delle donne… “… la codificazione operata da Liala sposta l’accento dalla vocazione alla maternità e al sacrificio verso la seduzione e il narcisismo…”; “il corpo femminile, oggetto centrale di una difficile dialettica con la morale dominante…”; “la donna, espropriata del corpo, sia sul piano della sessualità che della capacità riproduttiva…”. In mezzo a Liala, a Cenerentola e all’esegesi del “mito dell’amore impossibile” che “apre la crisi del matrimonio nel mondo occidentale”, in quel libro c’era già tutto ciò che lega i due 12 maggio della militante “E.”.
Ringrazio A.N. per questo contributo
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