Occhio, quel Kakà gioca con loro
di Berlicche (dialogo tra uno zio diavolo e il nipote Malacoda) da TEMPI del 14 giugno 2007
Mio caro Malacoda, vedi di metterti sulle tracce di questo Kakà, un brasiliano che fa il calciatore in Italia, uno che si professa molto credente. Ma non è questo che mi disturba, sono tanti i calciatori che si fanno il segno della croce prima di entrare in campo, gli allenatori che agitano acqua benedetta, si tratta a volte di una forma di fede che fa sorridere per la sua ingenuità e spesso sa di scaramanzia mascherata. Non mi preoccupa neanche il fatto che questo vada oltre un generico «io credo in Dio. è lui che mi dà la forza di fare quello che faccio. se gioco bene è perché Dio lo vuole», quanto piuttosto che pensi che questa sua fede abbia delle conseguenze. Non sono rimasto colpito dal fatto che abbia detto di essere arrivato vergine al matrimonio, e che questo sia successo realmente (cerca di capirmi, la botta mediatica è stata enorme, e per noi tremenda, ma un valore può sempre essere trasformato in una moda), quello che realmente mi infastidisce è vedere nel 2007 un giovane che pensi che la fede sia incidente sulla vita, ritenga che Dio, oltre che ispirarlo, possa anche chiedergli qualcosa. Il pericolo per noi non sono le supposte conseguenze etiche della fede, ma il suo non essere più afasica. Non è la coerenza morale di Kakà che ci deve allarmare, ma la sua cogenza logica. Non so se lo faccia in modo riflesso, ma quando dice «la Bibbia insegna che il vero amore si raggiunge solo con le nozze», torna a legare ciò che eravamo riusciti a separare per secoli: l'essere e la presenza. In modo molto pratico, stanco di cercare argomenti per dimostrare che Dio non c'è, l'uomo moderno si era accucciato nella rassicurante ipotesi che Dio se c'è non c'entra, c'è ma non è presente, si può, anzi si deve vivere "come se non ci fosse". Come sa chiunque sia andato in macchina con la fidanzata con seduti dietro i genitori di lei, come sa chiunque abbia giocato a pallone con il padre a bordo campo, come sa chiunque abbia parlato in pubblico davanti al suo maestro. la sola presenza, anche silenziosa, cambia il modo di vivere. A prescindere dalla sua coerenza - ma la coerenza non è mai stata una virtù, semmai un miracolo e per questo doppiamente pericolosa - uno che dice che Dio "insegna" dimostra un atteggiamento dal nostro punto di vista nefasto. Perché vuol dire che c'è qualcosa da imparare, che lo spontaneismo non è un valore (semmai lo è la spontaneità con cui si aderisce all'insegnamento). Perché vuol dire che l'uomo non è regola a se stesso e questo è contro tutto il nostro dannarci a favore della dannazione universale.
P. S. Datti comunque da fare perché questo Kakà non capisca che il vero nome dell'amore è fedeltà, una virtù che non necessita della reciprocità, come dimostra la storia di Dio con quel popolo che ritiene suo, e come ogni madre e ogni padre capiscono a loro spese. Casto possiamo sopportarlo, fedele sarebbe troppo.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
Ringrazio A.N. per questo contributo
21 giugno 2007
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