09 dicembre 2007

Un'analisi storica

BILANCIO DEL CULTO DELL'ATEISMO

Perché il Papa parla delle "più grandi crudeltà e violazioni della
giustizia"…
di Francesco Agnoli da Il Foglio 4 dicembre

L'enciclica del Papa sulla speranza e sulle malvagità dell'ateismo, è
destinata sicuramente a fare rumore. Eppure, senza bisogno di un Papa,
l'avrebbe potuta scrivere, almeno in alcune sue parti, qualsiasi
storico onesto e scrupoloso. Perché il concetto di fondo, e cioè la
nascita delle più grandi tragedie della storia dall'ateismo è un dato
di fatto difficilmente smentibile. L'ateismo di cui parla il Papa, non
è certo l'ateismo "tragico", come lo avrebbe definito Augusto Del Noce,
proprio ad esempio di tanti uomini dell'Ottocento, da Baudelaire a
Verlaine, passando per Huysmans, Oscar Wilde, Giovanni Pascoli, Eugenio
Montale, Ungaretti eccetera. Questo "ateismo", ancora esistente, come è
ovvio, è in realtà la ricerca di un senso, la volontà di "capire" e di
penetrare nelle profondità della vita, senza riuscirci, o forse,
meglio, senza riuscirci interamente. Nasce da domande fondamentali,
impossibili da evadere, che potevano magari rimanere senza risposta, ma
che non cessavano comunque di "torturare" il cuore, come dimostrano le
crisi religiose di tutti questi personaggi, alcuni dei quali approdati
poi a una fede forte e convinta.
Questi grandi autori che ho citato rappresentano la crisi delle
certezze religiose di un tempo, ma non la sostituzione di esse con una
ideologia, atea nell'apparenza, perché negatrice di Dio, ma religiosa
nei modi e nelle manifestazioni. L'ateismo di cui parla il Papa e di
cui lo storico dovrebbe analizzare i risultati, come ha fatto ad
esempio recentemente Michael Burleigh nel suo "In nome di Dio"
(Rizzoli), è l'ateismo assoluto che nega Dio e che cerca di organizzare
il mondo senza di lui, costruendo, come possibile, già qui il paradiso
sulla terra. E' l'ateismo, per intenderci, del comunismo e del nazismo
e di tutte le ideologie atee nate a partire dal Settecento, cioè dalla
crisi della fede. L'ateismo, insomma, che assume connotati tali da
diventare una vera e propria religione civile, secolare, con i suoi
dogmi e la sua ortodossia, una religione di salvezza, terrena e non
soprannaturale. Da questo sistema di pensiero nascono i più grandi
dittatori della storia: Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, le cui radici
sono tutte nell'ateismo socialista da lui rivendicato per moltissimi
anni, Pol Pot, Mao, Ceausescu, Hoxha, Tito, Milosevic…
E' innegabile: il Novecento, anzitutto, è il secolo dell'ateismo
assoluto, ed è, non a caso, il secolo degli stermini di massa, delle
guerre mondiali, e delle più grandi catastrofi umane della storia.
L'ateismo così come si viene a configurare tra Ottocento e Novecento
è, a ben vedere, una forma di religiosità immanente, che ha generato
uno a uno tutti gli ingredienti delle dittature totalitarie: il
razzismo biologico (religione della razza), il nazionalismo (religione
della patria), il social-darwinismo, l'eugenetica, e il social-
comunismo. Prendete questi ingredienti – accomunati tutti dalla
negazione più o meno esplicita di un Dio trascendente, dell'uomo come
sua creatura, dotata di un'anima immortale, e del peccato originale
come limite dell'uomo – mescolateli e avrete le ideologie di morte del
secolo appena concluso. Tutte incredibilmente simili. Cambiano
solamente i dosaggi: un po' meno socialismo e un po' più razzismo ed
eugenetica nel nazionalsocialismo, analoghe dosi di nazionalismo e un
po' meno eugenetica, nel comunismo, ovunque la politica e lo stato al
di sopra di tutto, al posto di Dio. Sempre, a fondamento, un'idea, la
negazione della Caduta originaria e la mondanizzazione della
Redenzione: l'uomo può fare senza Dio, per costruire un mondo
razzialmente puro, economicamente giusto, eugeneticamente sano,
socialmente equilibrato… un mondo perfetto, divino, utopico,
paradisiaco.
Si vede bene, insomma, che di una fede si tratta: una fede tanto più
intransigente e totalitaria quanto più concentrata sul qui e ora, e
cioè esigente nell'immediato. Non c'è spazio per il perdono, dinanzi
all'ingiustizia; né per la rassegnazione e la sopportazione, in quanto
questi valori religiosi sottintendono una giustizia superiore, divina:
il regno della giustizia è di questo mondo, e il potere si assume il
compito di realizzarla, interamente. Così la gramigna non verrà
separata dal buon grano, come nella parabola evangelica, alla fine dei
tempi, come in ogni concezione di una giustizia trascendente, ma
subito, appena possibile, dal dittatore di turno.
L'uomo, per fare un altro riferimento a un dogma religioso, non solo
cattolico, non è macchiato dal peccato originale, che giustifica l'
esistenza dell'imperfezione, dell'ingiustizia, e quindi anche della
necessità della misericordia, sulla terra, ma è chiamato alla
perfezione assoluta nell'aldiquà, e può raggiungerla, a patto che l'
ideologia incaricata di farlo venga realizzata politicamente,
economicamente, socialmente, a qualsiasi costo. Se il paradiso è a
portata di mano, infatti, non là, ma qua, sarebbe delittuoso non
realizzarlo. Se il compimento del desiderio dell'uomo di Bene e di
Giustizia è attuabile solo e soltanto, in toto, in questa vita, è da
pazzi non perseguirlo con ogni mezzo.
L'uomo, le masse ideologizzate e secolarizzate del Novecento chiedono
dunque alla politica, al partito, allo stato, al dittatore, ciò che
chiedevano, un tempo, a Dio, anzi di più: tutto, ma subito.
La creazione del mondo perfetto, dell'"uomo nuovo", per le ideologie,
dunque, urge, incalza, preme: necessita al più presto l'eliminazione,
tramite ghigliottine, gulag, lager e polizie segrete, Ovra, Gestapo,
Ceka e Kgb, di coloro che ostano, che impediscono, che non comprendono,
che complottano, che conducono la "controrivoluzione", che, secondo l'
articolo 58 del Codice penale sovietico, riedizione della "legge dei
sospetti" di Danton, sono solo sospettati di farlo…: in una parola di
quanti meritano l'inferno, anch'esso, come il paradiso, trasferito
paradossalmente nell'aldiquà. E' per questo, per fare un esempio, che
la guerra – o la violenza, che è lo stesso – sempre considerata un
male, per quanto talora inevitabile (guerra di difesa), diviene un bene
in se stessa: il vento che spazza lo stagno, di Hegel, la guerra che
porrà fine alle guerre, per alcuni interventisti italiani della Prima
guerra, "la sola igiene del mondo" per i futuristi, una esigenza di
natura, per i socialdarwinisti, uno splendido cozzare di popoli, per i
nazionalisti, la fine del passato oscuro e l'inizio di una nuova era,
per tutti i rivoluzionari, da Mussolini a Mao.
Sempre per lo stesso motivo, ogni ideologia si afferma come un "mondo
nuovo", un "ordine nuovo", un'era diversa, che data la sua origine non
dall'evento salvifico della nascita di Cristo, ma, come avviene dalla
Rivoluzione francese in poi, passando per il fascismo e il nazismo,
dall'ascesa al potere, essa sì salvifica, dell'ideologia ateistica di
turno. Al culmine del delirio, sotto l'ateissimo regime comunista di
Pol Pot, causa di due milioni di morti su sette milioni di abitanti, in
poco più di tre anni (1975- 1979), si arriverà a ordinare per legge non
solo il rogo dei libri del passato, ma financo delle fotografie dei
privati, affinché fosse cancellato anche il ricordo fotografico di come
era il mondo prima dell'avvento del regime comunista dell'Angkar.
In questo senso, evidentemente, la religiosità ateistica,
profondamente secolare, temporale, non ha nulla a che vedere con quella
autentica, che non è essenzialmente azione ma contemplazione; non
manipolazione ma rispetto; non insofferenza e distruzione dei limiti ma
loro riconoscimento e accettazione; non trasformazione della società,
tramite una alchimistica tecnica politica, ma tramite la conversione
dei cuori; non tensione alla eliminazione del male e del peccato, in
generale, ma soluzione di un particolare male storico, o individuale.
Ma come la religiosità trascendente è totale, nel senso che orienta
tutto l'uomo, la sua anima, le sue azioni, a Dio, rimettendo ogni cosa
terrena al suo posto, dalla ricchezza, al potere, al dolore, dando a
ognuna il suo peso, assolutamente relativo, così la religiosità
immanente è tentativamente totalitaria: avendo negato a priori l'
essenza dell'uomo, l'anima, e Dio, identifica tutto l'esistente in ciò
che è materiale e terreno e quindi coerentemente ritiene come soluzione
di tutto la sola politica, che tutto controlla: la politica totalitaria
dei regimi totalitari. Ha scritto giustamente Eric Voegelin: "Tutti i
movimenti gnostici (tra cui anche comunismo e nazismo, ndr) mirano a
recidere i legami dell'essere con la sua origine, cioè con l'essere
divino e trascendente, per proporre un ordine dell'essere immanente al
mondo, la cui perfezione sarebbe a portata dell'azione umana. Si tratta
di modificare la struttura del mondo (avvertita come inadeguata) in
maniera così radicale che da quella modifica emerga un mondo nuovo, di
piena soddisfazione… Il mondo tuttavia resta quale a noi è dato e non
rientra nelle facoltà umane la possibilità di cambiarne la struttura"
("Il mito del mondo nuovo").
Similmente Augusto del Noce affermava: "Per varie che possano essere
le forme rivoluzionarie… il loro lato comune è la correlazione tra l'
elevazione della politica a religione e la negazione del
soprannaturale… alla liberazione religiosa si sostituisce la
liberazione politica… il problema del male viene trasposto dal piano
psicologico e teologico a quello politico e sociologico: i dogmi della
Caduta e della Redenzione vengono trasferiti sul piano dell'esperienza
storica" ("Il problema dell'ateismo"). Ma analizziamo brevemente il
nazismo, che delle ideologie totalitarie può essere considerato,
insieme al comunismo, il vertice e il compimento. Scomponiamo
brevemente i fattori che lo hanno contraddistinto. Anzitutto il
nazionalismo, responsabile anche dello scoppio della Prima guerra
mondiale, che con i suoi dieci milioni di morti, venti milioni di
feriti, mutilati e nevrotici, e sette milioni di prigionieri e
dispersi, rappresenta la più grande tragedia della storia sino a quel
momento, senza alcuna possibilità di confronto.
Ebbene il nazionalismo è un figlio della Rivoluzione francese,
antitetico alla concezione cattolica, e cioè universale, che aveva
caratterizzato l'Europa dell'Antico Regime. Nel Sacro Romano Impero,
infatti, popoli diversi convivevano insieme, con lingue, storie e
costumi differenti, in nome della comunità di ideali religiosi:
cattolico a ogni popolo e ad ogni razza.
E' a tutti noto che la Prima guerra mondiale nacque dalle frizioni tra
i nazionalismi tedesco, inglese, serbo, russo, inglese…
Mi limiterò, per brevità, a qualche cenno al nazionalismo italiano,
che fu interpretato da personaggi assolutamente nemici della chiesa, e
di ogni religiosità, come Francesco Crispi, alla fine dell'Ottocento, e
Benito Mussolini, anticlericale anarchico e socialista, ai primi del
Novecento, e poi duce del fascismo, di quella concezione dello stato,
cioè, per la quale "tutto è nello stato e nulla di umano e di
spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato" (evidente
parodia laica del "Credo"). Gli interventisti, contro cui Benedetto XV
si battè in ogni modo, prima con la diplomazia e poi denunciando "l'
inutile strage", furono tutti uomini delle élites, avversi alla visione
cattolica dominante nel paese: il già citato Mussolini, Gabriele D'
Annunzio, il socialista nazionalisteggiante Cesare Battisti, i
nazionalisti Giovanni Papini ed Enrico Corradini, i futuristi di
Marinetti, che predicavano lo "svaticanamento" d'Italia… Molti di
questi, esattamente come nel resto d'Europa, utilizzarono il
socialdarwinismo materialista per sacralizzare la selezione naturale e
la lotta per la vita come legge della storia. Scrive Hagen Schulze, nel
suo "Aquile e leoni. Stato e nazione in Europa": "Alla base di tale
concezione c'era la legge della natura, secondo la quale la lotta era
di tutti contro tutti, la pace una illusione dei deboli, nel migliore
dei casi un momento di respiro nel conflitto perenne per l'esistenza; a
sopravvivere sono destinati solo gli esseri moralmente e fisicamente
superiori. Per tutti i raggruppamenti politici e sociali valeva l'
assioma che l'umanità non aveva come scopo la pace; ciò era vero per il
concetto marxista (cioè ateo, ndr) della lotta di classe, come per l'
idea nazional-popolare di un eterno antagonismo tra popoli e per la
nuova ideologia emergente del conflitto tra le razze… politica vuol
dire guerra, e la guerra è necessaria per bruciare i mali dell'epoca…
non si tratta di una visione estremistica, ma è quanto si ricava dalla
lettura di giornali e periodici, sia seri che a larga diffusione,
pubblicati nell'arco di tempo tra il 1880 e il 1914 e che offrono al
moderno osservatore una fonte inesauribile di dati relativi alla
struttura fondamentalmente darwinistico-sociale del nazionalismo
popolare del tempo nell'area anglosassone, in Francia, in Germania o in
Italia. Quando, durante la guerra contro i boeri il maresciallo
britannico Roberts dichiarava che la lotta spietata tra le nazioni non
era altro che una necessità biologica… ciò non era che un'eco di quanto
scrivevano numerosi altri autori del tempo", spesso biologi darwinisti
prestati alla politica, come ha ben raccontato il celebre paleontologo
evoluzionista Stephen Jay Gould nel suo "I pilastri del tempo".
Per tornare in Italia, Giovanni Papini, prima che la vita lo portasse
a convertirsi e a rinnegare il suo passato, sulla rivista nazionalista
Lacerba, nel 1914 scriveva: "Finalmente è arrivato il giorno dell'ira
dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la
decima delle anime per la ripulitura della terra… Siamo troppi. La
guerra è una operazione maltusiana. C'è un troppo di qua e un troppo di
là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto
perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla tavola". Ed
Enrico Corradini, interpretando la stessa concezione ateistica e
socialdarwinista, sul Regno del 28 febbraio 1904, allo scoppio del
conflitto russo giapponese, descriveva la guerra come "un grandioso e
terribile fenomeno della natura, un cozzo di forze avverse primordiali
ed eterne, irrefrenabili. E tali sono appunto le forze che conducono
alle guerre le nazioni e le razze. Perciò dinanzi ad esse l'uomo civile
è abolito e ritorna l'uomo sincero allo stato di natura".
I frutti del nazionalismo, già condannato da diversi Papi,
inutilmente, nelle loro encicliche, avrebbe dunque portato dapprima
alla guerra e poi, nel dopoguerra, al fascismo, al nazismo e al
"socialismo nazionalista" di Stalin, secondo la celebre definizione di
Trotzkij.
L'altra componente del nazionalsocialismo fu il razzismo. Non è qui il
luogo per ripercorrere una ideologia che è comunque basata,
essenzialmente, sul materialismo biologico: "Sangue e suolo" era lo
slogan dei nazisti, proprio a significare una prevalenza degli elementi
naturali, materiali, fisici, sull'anima immortale (che veniva
esplicitamente negata). Effettivamente il razzismo non era mai esistito
nella storia dell'Europa cattolica, prima delle rivoluzioni culturali.
Come ha ben raccontato Leo Poliakov nel suo "Il mito ariano" (Editori
Riuniti), vi è una stretta correlazione tra il pensiero materialista e
la genesi del razzismo; correlazione fondamentale tra negazione della
comune figliolanza degli uomini, tutti creati da Dio, e l'idea che gli
uomini siano invece originati da ceppi diversi, più o meno "nobili",
più o meno evoluti. Mentre lo scienziato cattolico Louis Pasteur, alla
fine dell'Ottocento, rivendicava l'uguaglianza degli uomini di fronte a
Dio, loro creatore, le ideologie atee sostenevano che la storia Adamo
ed Eva, con le sue implicazioni logiche, e cioè la fratellanza
universale in senso cattolico, era una evidente falsità, perché in
realtà la scienza dimostrerebbe l'ineguaglianza delle razze in base
alla misurazione dei crani, degli arti, e al tentativo di ridurre l'
uomo alla sua fisicità.
Basti pensare a Voltaire, il famoso "apostolo della tolleranza".
Secondo costui l'idea cattolica secondo cui l'umanità deriva tutta da
Adamo ed Eva, per cui siamo tutti "fratelli", è una emerita sciocchezza
assolutamente antiscientifica. Al monogenismo biblico, che esclude di
per sé qualsiasi razzismo, sostituì il poligenismo, cioè l'idea
"secondo cui i diversi gruppi umani discendevano da numerosi e
differenti antenati" (Francesco Maria Feltri).
Il razzismo si nutrirà, anche dopo queste prime teorizzazioni, di una
visione assolutamente atea, teoricamente o praticamente, della vita,
una visione in cui non vi è alcuno spazio per un Dio creatore di tutti
i popoli, ma solo per l'esistenza di popoli "superiori" e di popoli
"inferiori", di sangue, di luoghi, di colore della pelle, di
predisposizioni naturali e genetiche e di ambienti operanti sull'uomo
al di sopra della sua libertà. Lo storico Gianni Gentile, parlando dell'
imperialismo, afferma: "La cultura scientifica di stampo positivistico
(cioè ateo, ndr) nella seconda metà dell'Ottocento aveva elaborato una
teoria delle razze, secondo la quale a ogni razza venivano attribuite
diverse basi biologiche che determinavano i vari comportamenti, anche
dal punto di vista morale e dei costumi. Questa impostazione
pseudoscientifica consentiva di stabilire una gerarchia che poneva la
razza bianca al di sopra delle altre razze".
Strettamente connessa al razzismo, troviamo l'eugenetica, che altro
non è che l'antico sogno, utopico, e cioè ateistico, di creare una
umanità perfetta, assolutamente sana, senza macchia, che evidentemente
non ha bisogno di un Dio salvatore e di una Redenzione. L'eugenetica è
presente già nella Repubblica ideale, sostanzialmente comunista, di
Platone, nella "Città del sole" di Tommaso Campanella, anch'essa
organizzata secondo criteri comunisti; nel sogno di alcuni maghi del
Cinquecento, che credevano di poter applicare la selezione adottata per
i cavalli, anche all'uomo. Soprattutto, l'eugenetica moderna, riporta
ancora al nome del sedicente scienziato, ateo, Francis Galton, che nel
1883 coniò la parola "eugenics", spiegando al mondo che tramite
matrimoni selettivi e sterilizzazioni forzate si sarebbe creato l'"uomo
nuovo", sano e felice.
Non tanti anni più tardi Adolf Hitler, nel "Mein Kampf", dopo aver
spiegato che "lo stato, la nazione, dovrà impedire ai malati o ai
difettosi" di procreare, aggiungeva: "Basterebbe per seicento anni non
permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l'
umanità da una immane sfortuna e portarla a una condizione di sanità
oggi pressoché incredibile". Del resto Rudolf Hess era solito definire
il nazismo una "biologia applicata", mentre lo studioso Lifton ha
definito il nazismo come una "biocrazia": "Il progetto nazista si
ispirava a una visione di controllo assoluto del processo evolutivo sul
futuro umano biologico. Facendo ampio uso del termine darwiniano
'selezione' i nazisti cercarono di arrogarsi le funzioni della natura
(selezione naturale) e di Dio nell'orchestrare le proprie selezioni, la
loro versione della evoluzione umana".
Infine, in questa breve analisi, non si possono trascurare le radici
anche socialiste, sia del fascismo, sia del nazionalsocialismo, sia,
evidentemente del comunismo. Il marxismo ateo, che influenzò tutti i
tre i totalitarismi, con gradazioni diverse (ma non è questo il luogo
per analizzare questo punto), rappresenta anch'esso, come ha
giustamente scritto Karl Löwith, una "forma secolarizzata del pensiero
biblico": "La lotta finale dei due campi ostili della borghesia e del
proletariato corrisponde alla fede cristiana in una lotta finale tra
Cristo e l'Anticristo nell'ultima epoca della storia, il compito del
proletariato corrisponde alla missione storica del popolo eletto, la
funzione redentrice universale della classe più degradata è concepita
sul modello religioso della Croce e della Resurrezione, la
trasformazione ultima del regno della necessità nel regno della libertà
corrisponde alla trasformazione della città terrena nella città di
Dio". Cosa abbia partorito la religione atea del marxismo, lo sappiamo
tutti: dalla Russia, alla Cina, alla Cambogia, al Vietnam, ai paesi
dell'America latina, si parla, almeno , di cento milioni di morti,
secondo cifre, quelle del "Libro nero del comunismo" assolutamente
prudenziali. Robert Conquest, nel suo "Il grande terrore", accenna a
venti milioni di vittime solo durante il periodo staliniano, guerra
esclusa. Gino Rocca, nel suo "Stalin", parla di cinque milioni di morti
solo nelle grandi purghe staliniane tra il 1937 e il 1938; Aleksandr
Solzenitsyn parla di sessantasei milioni di morti in Russia tra il 1917
e il 1959, nel suo "Arcipelago gulag". Per nessuna epoca della storia,
prima dell'affermarsi dell'ateismo assoluto, si possono solo
lontanamente pensare le stragi e le malvagità create da nazismo e
comunismo, e dalle loro appendici ideologiche (razzismo, eugenetica,
socialdarwinismo). E' una evidenza storica che nessuno può negare.

IL FOGLIO 4 dicembre 2007



Ringrazio A.N. per questo contrubuto

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