UNA LETTERA DAL PARADISO di Giuseppe Pontiggia.
Ricevo milioni di lettere, ma e' la prima volta che ne scrivo una. Vorrei denunciare una situazione che e' diventata precaria. Sono sommerso dalla corrispondenza. I bambini si moltiplicano in ogni parte della terra, nonostante le carestie, le malattie e le guerre. Inoltre mi inviano, soprattutto dai Paesi ad alto sviluppo, richieste natalizie sempre piu' complicate. Si accumula cosi' un arretrato che getta me nell'inquietudine e loro nella delusione. Capita infatti che il regalo arrivi con qualche ritardo e l'eta' in questi casi e' decisiva. Lo ha sperimentato anche l'industria del giocattolo. Certi Lego sofisticati risultano troppo difficili per i bambini: sanno usarli solo quando sono cresciuti e hanno perso interesse per i Lego. Centrare l'eta' giusta e' ormai un problema. I miei destinatari anticipano di solito la precocita' e differiscono la maturita' . Molti non diventano adulti neanche dopo i trent'anni e continuano a inviarmi le lettere che mi spedivano nell'infanzia. Questo ha creato un ingorgo che definirei cosmico per non confonderlo con quello planetario. Mi viene in mente la risposta del presidente della Repubblica tedesca Paul Hindenburg a un giornalista che lo intervistava: "Che cosa ne pensa della morte, maresciallo?" - "La attendo con grande serenita' d'animo" aveva risposto Hindenburg. Poi aveva indicato la montagna delle lettere giacenti sulla sua scrivania e aveva aggiunto: "Vorrei che sulla mia tomba, oltre al nome e alla data di nascita, fosse scritto: "Non riceve piu' posta". Nessuno come me puo' capirlo, solo che i suoi guai sono finiti con la morte, mentre per me sono cominciati allora. Non immediatamente, a dire la verita' , perche' per qualche secolo, a partire dal IV, sono stato venerato solo come vescovo di Mira in Asia Minore. E soccorrevo i marinai nei naufragi, i derubati e gli oppressi, i perseguitati e le vergini indifese (una categoria che oggi e' diminuita). Ma dopo il trafugamento, anzi - per usare un termine meno crudo - la traslazione delle mie ossa a Bari sul finire dell'anno Mille, sono diventato il patrono di quella citta' e di innumerevoli altre in tutta Europa, soprattutto quella settentrionale. E proprio qui, per una catena di equivoci che, per non dispiacere al Signore, chiamera' provvidenziali, sono cominciate le mie disavventure. Da San Nicola o meglio Nicolao sono diventato Santa Claus: il mantello vescovile si e' tramutato in un manto rosso, la mitra in un cappuccio a punta, mentre ho conservato la barba bianca bizantina, solo che adesso e' diventata piu' fluente, addirittura immensa, da Guinness celeste. E il mio carattere protettivo e soccorrevole, unito ai miei natali decembrini, mi ha trasformato nel santo dei bambini, senza le discriminazioni della Befana tra buoni e cattivi: mi sembrano un po' in contrasto con l'idea della festa. Comunque, per carita' cristiana, voglio astenermi dai giudizi. Il lavoro nei primi secoli era fortunatamente limitato a una piccola parte del pianeta. E, nei rigori del clima settentrionale, mi riscaldava il calore popolare, che intravedeva in me un erede di divinita' pagane. Era un fraintendimeto a cui noi Santi siamo abituati. Lo accettavo come altri che avevo accettato al Sud: ad esempio di essere adorato anziche' venerato e di essere considerato non un avvocato presso Dio, ma un suo plenipotenziario in libera uscita, prodigo di miracoli in proprio. Il Signore su questo punto chiude un occhio, perché bada all'intenzione. E' comprensibilmente superiore a ogni forma di gelosia e di competizione e, a differenza dei minuscoli leader della terra, delega non appena e' possibile. Questo aspetto, se consente a noi Santi una certa autonomia, non e' privo di risvolti inquietanti: Lui mi ascolta quando intercedo per un miracolo (anche se le sue decisioni talora mi sconcertano), ma non mi da udienza per i doni. Io ho cercato, come si dice a Bari e a Napoli, di arrangiarmi. Consulto i cataloghi ragionati dei giocattoli per seguire la loro evoluzione. L'onniscienza pero' non rientra nella nostra dotazione e questo, con l'andare dei secoli, ha finito per incidere. Prima i giochi sulla terra erano piuttosto elementari, ma la Rivoluzione Industriale ci ha inferto il primo colpo. Giocattoli meccanici ed elettrici hanno moltiplicato il prezzo dei modelli e dilatato la distanza tra chi li possedeva e chi li sognava. Poi la Rivoluzione Telematica ci ha assegnato il colpo decisivo. L'ndustria cambia videogiochi ogni semestre e, quanto alle bambole parlanti, si stanno consorziando in un sindacato. L'aggiornamento non e' piu' una necessita', e' una utopia. Solo gli utenti piu' piccoli la realizzano, sotto gli occhi esterrefatti degli ascendenti piu' anziani, che rifiutano di manovrare i loro giochi, e dei genitori, che ci hanno provato ma inutilmente. Nei Paesi piu' progrediti i bambini non sanno piu' saltare con la corda, avendo perso la padronanza del corpo (un dato che preoccupa i pedagogisti e ha annientato i produttori di corde), ma in compenso digitano per ore con un accanimento instancabile. Solo le lettere dei bambini nei Paesi sottosviluppati mi ricordano l'Europa dei miei tempi. Mi suscitano pero', piu' che la nostalgia, una sensazione di angoscia e di ingiustizia. Distribuire doni natalizi, a una umanita' cosi' tribolata e discriminata, e' un impegno quasi eroico anche per un Santo. Le mie forze non bastano. Chiedo, dunque, per disservizi e ritardi, comprensione. Perfino il Papa ha parlato di silenzio di Dio. Ma io alle lettere dei bambini devo rispondere con un dono. Sono sempre stati, nei secoli, il futuro della Terra.12 dicembre 2008
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