06 gennaio 2009

Perché il Caucaso non sembra destinato ad aver pace

La Russia si prepara alla guerra nel Caucaso (“Zerkalo.az” [1], Azerbaijan)

R. Mirkadyrov [2], 05.01.2009 00:38

Per questo si cerca di non permettere la risoluzione del conflitto armeno-azero.

“Nei prossimi decenni nel mondo si acuirà la concorrenza per le risorse energetiche e non si esclude neanche uno scontro armato”. Di questo si parla nella “Strategia di sicurezza nazionale della Russia fino al 2020", preparata dal Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa sotto la guida dell’ex capo dello FSB [3] Nikolaj Patrušev. Lo comunica “1news.az” [4].

Gli autori del rapporto non vedono seri problemi interni in Russia e dedicano particolare attenzione agli aspetti esterni della sicurezza, comunica la ВВС. Secondo gli esperti del Consiglio di Sicurezza russo, regioni potenzialmente conflittuali sono il bacino del Caspio, l’Asia Centrale e l’Artico. “Non è esclusa la soluzione dei problemi insorgenti con l’uso della forza”, – affermano gli esperti.

Nel rapporto si nota anche un indirizzo antioccidentale e antiamericano. Così gli esperti riferiscono delle aspirazioni di “una serie di importanti paesi stranieri” di ottenere “una schiacciante supremazia in ambito militare, prima di tutto in quello degli armamenti atomici strategici, nella formazioni di un sistema globale di difesa antimissile e nella militarizzazione del cosmo”, e anche dell’“inaccettabile per la Russia” spostamento della NATO ad est e dei tentativi di dare a questa alleanza funzioni globali.

Nella “Strategia” si dice anche che la Russia mirerà alla costruzione di una partnership strategica paritaria con gli USA sulla base di interessi coincidenti e tenendo conto dell’influenza chiave delle relazioni russo-americane sulla situazione internazionale nel suo complesso.

Si attende che il progetto “Strategia” venga esaminata durante una seduta in presenza del presidente della Federazione Russa il 20 febbraio del prossimo anno.

E così lasciamo stare l’Artico. Alla fine, questo è un territorio “di nessuno”, per il quale USA e Russia lotteranno senza intermediari. Ma il fatto che il Consiglio di Sicurezza russo veda come potenziali regioni di conflitto il bacino del Caspio e l’Asia Centrale, dove non si esclude “la soluzione dei problemi insorgenti con l’uso della forza”, provoca grande interesse.

Infatti, a differenza dell’Artico, in queste regioni sia de facto, sia de jure esistono stati sovrani, che secondo le norme di diritto internazionale esistenti possono determinare in modo del tutto indipendente le proprie priorità di politica economica interna ed estera. In queste condizioni si può considerare una cosa del tutto naturale la rivalità tra Russia e USA per le risorse energetiche di queste regioni. Insomma è tutto molto semplice – a queste grandi potenze è indispensabile fare proposte ai paesi della regione che siano più attraenti di quelle dei concorrenti. Tali sono le regole della rivalità civile, quando il diritto di scelta resta a quelli a cui viene fatta la proposta. In breve [5], proprio come dire che ogni persona tende la mano e il cuore.

Tuttavia allora sorge la domanda: perché il Consiglio di Sicurezza russo considera queste regioni come sedi di conflitti, la cui soluzione può richiedere l’uso della forza. Una domanda ancora più seria, che richiede una risposta è: quale paese provocherà questi conflitti con l’uso della forza? Infatti gli stessi paesi della regione difficilmente sono interessati a tali conflitti.

Si tratta del fatto che la Russia, come si dice, non riesce a fare un matrimonio per amore con il vicino estero [6]. In primo luogo, considerando il vicino estero il proprio feudo, la Russia non ha praticamente mai fatto proposte che fosse possibile rifiutare. In breve, se si rigetta un momento soggettivo, cioè la vicinanza “spirituale”, racchiusa nell’essenza autoritaria della maggior parte dei paesi del vicino estero e della Russia, il nostro vicino settentrionale, dal punto di vista degli interessi nazionali e statali oggettivi, non è uno “sposo” attraente.

In secondo luogo, dopo l’inizio della crisi economica mondiale, per cui tra le grandi potenze soffre più di tutti proprio la Russia, questa è semplicemente incapace di fare simili proposte. E il risultato già si fa vedere.

La tradizionale visita di fine anno del presidente del consiglio di amministrazione della “Gazprom” Aleksej Miller in Turkmenistan si è svolta senza che questi venisse ricevuto dalla più alta carica dello stato, scrive il “Vremja novostej” [7].

Considerando che in Asia Centrale le questioni sulle condizioni della fornitura del gas si decidono solo al più alto livello, si può trarre una conclusione: a sei giorni dalla scadenza del contratto vigente le parti sono lontane dal raggiungere un accordo sulle nuove forniture. Qualcosa del genere sarebbe stato impossibile da immaginare ancora 6 mesi fa.

Ad Aşgabat Miller non si è incontrato neanche con il primo ministro, ma con il vice-premier responsabile della TÈK [8] Tachberdy Tagiyev e con il direttore della compagnia nazionale del gas “Turkmengaz” Yashgeldy Kakayev. Si sono accordati sulle condizioni fondamentali dei compiti tecnici per la costruzione del tratto turkmeno del gasdotto caspico e per lo stabilimento del complesso per la preparazione del gas al trasporto nei campi di estrazione di “Južnyj Iolotan’” [9].

Ancora in estate Aleksej Miller ha firmato un accordo con il presidente Berdymuhammedov sulla partecipazione del consorzio russo ai progetti di investimento nell’ambito del gas sul territorio del Turkmenistan. In questo si è parlato di come la “Gazprom” finanzierà l’ampliamento del gasdotto caspico, la costruzione di nuovi corridoi dai campi di estrazione orientali del Turkmenistan e l’apertura di nuovi campi di estrazione.

Ma alla vigilia si è chiarito che in primo luogo non si tratta dei difficilmente raggiungibili e dubbi giacimenti sulla piattaforma del Caspio, ma dello “Južnj Iolotan’”, che Aşgabat offre come un nuovo Klondike nel deserto del Karakum [10]. Secondo i dati della compagnia britannica GCA, la dimensione ottimale del primo campo di estrazione, cioè quello che si trova sulla piattaforma del Caspio è di 6000 miliardi di metri cubi e quella del secondo – di 700 miliardi di metri cubi in tutto. In breve, la differenza di riserve è di quasi dieci volte, fra l’altro non in favore dei campi di estrazione proposti alla Russia.

Ecco perché al Consiglio di Sicurezza Russo sono semplicemente necessari ad ogni costo nelle regioni summenzionate dei conflitti, per la risoluzione dei quali non si esclude l’uso della forza. Infatti questa variante è già stata approvata durante il conflitto georgiano-russo di agosto. E’ sufficiente ricordare che dopo il conflitto georgiano-russo sono sorti seri dubbi riguardo alla possibilità di garantire la sicurezza delle arterie di trasporto e di comunicazione, che attraversano il territorio di questo paese.

Ma l’appetito vien mangiando. Già durante l’incontro con i rappresentanti delle principali compagnie televisive russe alla vigilia di Capodanno il presidente Dmitrij Medvedev ha dichiarato che ritiene possibile l’uso della forza per regolare seri problemi tra gli stati, se gli interessi della Russia lo richiedono.

Proprio essendo consapevoli di questa realtà, è indispensabile valutare le prospettive di risoluzione del conflitto armeno-azero sul Nagornyj Karabach [11]. Partendo da quanto detto in precedenza, si può giungere alla conclusione che alla Russia convenga l’esistenza di questo “conflitto congelato”. Proprio per questo la Russia invita a non affrettarsi e si pronuncia contro l’imposizione alle parti di un qualche tipo di risoluzione. La cosa importante per la Russia è che le parti abbiano firmato un impegno per la risoluzione pacifica del conflitto. Lo scopo è semplice: non permettere lo “scongelamento” per volontà o per iniziativa di una delle parti in conflitto. Il conflitto potrà e dovrà essere “scongelato” solo quando questo sarà utile e necessario alla stessa Russia, per minare la realizzazione di progetti energetici regionali che non le convengono. Nel frattempo potrà intervenire come “forza di pace”, che punisce l’aggressore mettendolo a ferro e fuoco [12], e al tempo stesso rafforzare la propria influenza nella regione.

Fra l’altro, la Russia ha parzialmente raggiunto il proprio scopo. Si tratta del fatto che nella Dichiarazione di Mosca [13], che è un documento impegnativo non dal punto di vista giuridico, ma politico e su cui c’è anche la firma del presidente russo, le parti si sono accordate per risolvere il conflitto con mezzi pacifici.

L’accelerata risoluzione del conflitto è utile agli USA e all’Unione Europea, fra l’altro per la realizzazione di questi progetti nel campo delle comunicazioni, dei trasporti e dell’energia. Questi non lo nascondono neanche.

Nonostante le non semplici relazioni con l’Armenia, anche la Turchia è oggettivamente interessata alla risoluzione del conflitto sul Nagornyj Karabach.

Il direttore del Centro di studi strategici internazionali turco Sedat Laçiner spiega l’influenza dell’Azerbaijan sulla politica regionale della Turchia con fattori economici e geo-strategici. “Il fatto che l’Azerbaijan sia una fonte di risorse energetiche e la porta ai paesi di lingue turciche dell’Asia Centrale rende indispensabile alla Turchia tener conto della posizione dell’Azerbaijan nella politica regionale”, – ha detto Laçiner a “Trend News” [14] venerdì parlando al telefono da Ankara.

L’esperto indipendente azero Vafa Guluzade ha detto pure che la Turchia nella propria politica nella regione agisce nell’ambito degli interessi di forze globali e che le sue priorità politiche nella regione sono determinate da queste forze globali. Il politologo ritiene che la Turchia abbia una politica regionale indipendente a livello locale, ma che l’Azerbaijan non giochi alcun ruolo neanche nel determinare questa politica locale. “L’Azerbaijan non influenza in alcun modo la politica locale della Turchia nella regione. Come può un paese piccolo come l’Azerbaijan influenzare la politica regionale di Ankara?”, – ha detto l’ex consigliere del presidente per le questioni di politica estera venerdì a “Trend News”.

Al momento la Turchia si sforza di giocare un ruolo importante nella regione caucasica. Facendo sforzi per la risoluzione dei conflitti etnici nel Caucaso, la Turchia rafforza pure i tentativi diplomatici per portare sul mercato mondiale il gasdotto “Nabucco”, che dovrà attraversare il Caucaso, sul proprio territorio. Per la soluzione di tutte queste questioni la Turchia collabora con l’Azerbaijan, il suo alleato più importante nella regione.

Quindi, anche se si mette da parte la teoria delle “relazioni fraterne” tra i due paesi, la Turchia, partendo dai propri interessi geopolitici, geo-economici e, tra l’altro, energetici, è interessata alla stabilità nella regione, cioè alla risoluzione del conflitto armeno-azero, che in qualsiasi momento può creare una situazione di forza maggiore.

Restano le stesse parti in conflitto, cioè Armenia e Azerbaijan. Naturalmente, dal punto di vista degli interessi nazionali e statali, alla risoluzione del conflitto, dovrebbero essere interessati prima di tutto questi paesi. Tuttavia non è così semplice.

In un’intervista esclusiva all’agenzia armena “Mediamax” il vice consigliere del Segretario di Stato degli USA, co-presidente del “gruppo di Minsk” [15] dell’OSCE Matthew Brise nota che il principale risultato del processo di risoluzione nel 2008 è stata la nascita di rapporti costruttivi tra i presidenti Sarkisian e Aliev [16]: “Le parti hanno compiuto progressi essenziali e per completare il lavoro dovranno preparare le proprie società a difficili compromessi, che porteranno pace, stabilità e progresso. All’inizio del 2009 i co-presidenti visiteranno la regione allo scopo di preparare l’incontro tra i presidenti”. Ecco che qui il problema sta nella volontà politica. I leader politici devono avere la volontà di “preparare le proprie società a difficili compromessi, che porteranno pace, stabilità e progresso”. Il fatto è che questo può costare loro la carriera politica, soprattutto se si considera che la Russia ha importanti leve per la destabilizzazione della situazione interna di entrambi i paesi, ma soprattutto dell’Armenia.

http://www.ingushetia.org/news/17513.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Giornale online dell’Azerbaijan.

[2] Rauf Mirkadyrov, giornalista azero noto per il suo impegno sociale e politico.

[3] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.

[4] Agenzia di informazioni azera.

[5] Letteralmente, “in una parola”.

[6] Per “vicino estero” si intendono le ex repubbliche sovietiche confinanti con la Russia.

[7] “Tempo delle notizie”, giornale russo di informazioni.

[8] TeploÈnergetičeskaja Kompanija (Compagnia TermoElettrica – evidentemente di Stato).

[9] “Iolotan’ meridionale”, nel sud del Turkmenistan.

[10] Nel centro del Turkmenistan.

[11] Enclave armena nel territorio dell’Azerbaijan per la quale armeni e azeri sono in conflitto (a vari livelli di intensità) dal 1991.

[12] Letteralmente “con il fuoco e con la spada”.

[13] Dichiarazione di intenti firmata a Mosca nel novembre 2008 dai presidenti di Russia, Armenia e Azerbaijan per una risoluzione del conflitto del Nagornyj Karabach.

[14] Agenzia di informazioni finanziarie.

[15] Il “gruppo di Minsk” è un organismo creato dall’OSCE per la risoluzione del conflitto del Nagornyj Karabach.

[16] Presidenti rispettivamente di Armenia e Azerbaijan.

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