21 ottobre 2013

La Russia di Putin dimentica Lenin?

"Novaja gazeta", 18-10-2013, 15.05.00
Lenin è morto, Mussolini è vivo

La scomparsa di Vladimir Il'ič dalla memoria nazionale è un brutto sintomo

Non avete cominciato a riflettere, ma sostanzialmente dov'è scomparso Vladimir Il'ič? Nella Russia dominata dai dibattiti storici, che finora non si è orientata nel proprio "imprevedibile passato" [1], silenziosamente e senza farsi notare se n'è andato nella periferia della coscienza storica della società il creatore della maggiore rottura nella storia moderna del paese. No, certo, per i sostenitori della dottrina comunista e per i suoi più furiosi avversari Lenin resta un simbolo, in un caso luminoso e positivo, nell'altro esattamente il contrario. Ma attuale [2] la guida della "rivoluzione degli operai e dei contadini", come pure dell'"usurpazione del potere da parte dei bolscevichi" non è più.

Anche se Lenin, secondo gli esiti di un recente sondaggio, è entrato nel numero dei leader del XX secolo più letti dai russi, ciò è accaduto piuttosto per forza d'inerzia. Alla fin fine, quasi tutti abbiamo studiato nelle scuole sovietiche e, riflettendo sulla storia non possiamo passare oltre Lenin: questi è come una delle figure totemiche dell'infanzia sovietica. Un altro "nonno dalla furba strizzata d'occhi", da qualche parte accanto a Nonno Gelo [3] e Nonno Mazaj [4].

L'inattualità di Lenin è ancor più stupefacente alla luce del fatto che la politicizzazione della società russa negli ultimi due anni cresce con evidenza. E Lenin, probabilmente, è il politico russo di maggior talento degli ultimi 100 anni, se non di più. Portare al potere in pochi mesi in un paese enorme un partito che – nella situazione della primavera 1917, quando la sua guida tornò dall'estero – era ancora abbastanza marginale. Mantenere il potere, vincendo una colossale Guerra Civile. Compiere una serie di manovre politiche rischiose, ma alla fin fine fortunate (il Trattato di Brest-Litovsk [5], la NĖP [6]), che portarono al consolidamento della signoria bolscevica. Riuscire quasi a esportare la rivoluzione in Europa (la disfatta dell'Armata Rossa presso Varsavia è forse il maggiore insuccesso di Lenin, ma nei decisivi giorni estivi del 1920 tutto là era appeso a un capello e poteva finire in qualsiasi modo). La lista è tanto imponente che di qualcosa di simile – astraiamoci dalle valutazioni morali – nello scorso secolo in Europa poté vantarsi forse solo Hitler. Ma per quello tutto finì com'è noto, mentre per Il'ič del tutto felicemente: diventò il padre fondatore di un imperio se non millenario, comunque di 70 anni, anche se non vide la rivoluzione mondiale. In questo senso più fortunato di Lenin fu solo Mao: il suo impero, anche se in qualche grado mutato, è ancora vivo.

Forse nella parola "rivoluzione" sta anche l'enigma dell'attuale atteggiamento dei russi verso Il'ič. Lenin fu non solo l'incarnazione, ma anche il domatore della rivoluzione. Cavalcò la rivolta russa iniziata nel febbraio 1917 nelle file per il pane di Pietrogrado [7] e la portò al risultato che fu, dal suo punto di vista, ottimale. Tra l'altro i bolscevichi usarono la sete spontanea di giustizia sociale che aveva preso gli "strati bassi" russi e la misero al proprio servizio. E' necessario notare un altro loro originale successo: la Russia fu l'unico paese d'Europa, dove, nello scontro del socialismo con il nazionalismo caratteristico dell'inizio del ХХ secolo, uscì vincitore il socialismo – a dire il vero molto originale, come pure lo stesso paese in cui vinse.
Non si può dire che la giustizia sociale e la rivoluzione siano concetti del tutto estranei alla Russia attuale. Sì, non ci sono più file per il pane, ma ci sono altre disgrazie e altre non meno acute manifestazioni di ingiustizia. Tuttavia finora non si osserva una rivoluzionarietà di massa.
Le azioni politiche di protesta si svolgono in modo ostentatamente pacifico (la piazza Bolotnaja [8] il 6 maggio dello scorso anno è una mosca cinicamente gonfiata dalle autorità fino alle dimensioni di un elefante). Laddove la violenza comunque avviene, come giorni fa a Birjulëvo [9], sfocia in pogrom. E non è necessario essere Lenin per capire quanto è diverso un pogrom dalla rivoluzione. Il primo scoppia rapidamente, non ha leader evidenti, né scopi politici indicati con precisione. Con la seconda è tutto il contrario e può durare anni. In Russia sono comparsi non pochi autori di pogrom, ma finora ci sono ben pochi rivoluzionari. Il modo di parlare di Naval'nyj [10], al momento attuale la più chiara figura dell'opposizione, dopo le elezioni di Mosca è l'apoteosi della non rivoluzionarietà, della riluttanza a uscire dall'ambito delle regole del gioco stabilite dal potere, anche se sembrano scandalosamente ingiuste. Naval'nyj è un democratico parlamentare pronto in un paese dove finora non c'è una democrazia parlamentare. Lenin non lo approverebbe e lo iscriverebbe tra i "borghesi da compromesso" (cosa che, peraltro, fa anche Limonov [11], diventando una sfortunata parodia di Lenin).

L'attuale situazione è ingannevole in quanto non trasparente. Finora è impossibile capire se sia conseguenza della paura delle rivoluzioni. Se così fosse, significherebbe che si sono tratte lezioni dalla storia e che la società ha raggiunto una determinata maturità. Ma c'è anche un'altra possibilità: l'attuale situazione è semplicemente il risultato del fatto che al momento attuale "ci sono pochi veri rivoltosi" [12]. Se compariranno, ci sarà anche la rivoluzione. Una cosa è chiara: a differenza del 1917, al centro delle attuali discussioni russe i problemi nazionali ci sono in grado assai maggiore di quelli sociali. (Anche se i primi in realtà sono conseguenza dei secondi.) Lenin con il suo internazionalismo del tutto sincero, a differenza di quello di Putin, in questa situazione non sarebbe a suo agio. Negli immigrati vedrebbe prima di tutto degli sfruttati e non degli elementi nemici di un'altra stirpe.

Però, forse, molto a suo agio si troverebbe un altro politico di talento, capace di abbinare ciò che sembrerebbe incompatibile – l'odio da pogrom, l'acceso orgoglio nazionale, la sete di giustizia sociale, la duratura energia della rivoluzione e il rispetto formale per le istituzioni statali. Lo fece ancora durante la vita di Lenin, nell'ottobre 1922, indirizzando una folla di sostenitori in camicia nera verso la capitale del proprio paese e spaventando a morte il re, che si affrettò ad affidargli il potere.

Lenin è morto, Mussolini è vivo.

Autore: Jaroslav Šimov


Indirizzo della pagina: http://www.novayagazeta.ru/society/60538.html


[1] Allusione allo spettacolo dell'attore e scrittore Michail Nikolaevič Zadornov "Un grande paese con un imprevedibile passato".

[2] Rilievo grafico dell'autore.

[3] Sorta di Babbo Natale russo.

[4] Protagonista del poema "Nonno Mazaj e le lepri" del poeta progressista del XIX secolo Nikolaj Alekseevič Nekrasov.

[5] Il trattato che siglava la sconfitta degli Imperi centrali e l'uscita della Russia dalla Prima Guerra Mondiale.

[6] Novaja Ėkonomičeskaja Politika, il parziale ritorno al capitalismo per rilanciare l'economia del neonato stato sovietico.

[7] Nome dato a San Pietroburgo poco prima della Prima Guerra Mondiale.

[8] "Del Pantano" (quello che c'era prima), piazza del centro di Mosca.

[9] Quartiere della zona meridionale di Mosca, dove i nazionalisti hanno attaccato i commercianti immigrati.

[10] Aleksej Anatol'evič Naval'nyj, avvocato e blogger.

[11] Ėduard Limonov (vero nome Ėduard Veniaminovič Savenko), leader del Partito Nazional-Bolscevico.

[12] Verso della canzone Pis'mo v redakciju televizionnoj peredači (Lettera alla redazione di una trasmissione televisiva) del cantautore sovietico Vladimir Semënovič Vysockij.


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