13 novembre 2008

Utopie linguistiche?

Perché parlare l'inglese come lingua comune europea? Gran parte dell'Europa ha avuto in un lontanissimo passato una lingua comune, l'indoeuropeo, chiamato così perché parlato da popoli dell'Europa e di parte dell'India. Da questa lingua comune derivano la maggior parte delle attuali lingue dell'Europa (tra cui la lingua in cui scrivo adesso) e di parte dell'Asia. Il piccolo problema di questa lingua è che è scomparsa ben prima dell'adozione della scrittura e quindi non ha lasciato testimonianze e c'è anche chi dubita della sua esistenza... Come si spiegherebbe però l'evidente origine comune di molti termini delle cosiddette lingue indoeuropee? Ma allo stato attuale delle cose l'indoeuropeo è una ricostruzione operata da studiosi.

Però... Però c'è chi pensa di fare di nuovo dell'indoeuropeo una lingua comune e viva. Carlos Quiles e María Teresa Batalla, due studenti spagnoli dell'Università dell'Estremadura, hanno creato il gruppo Dnghu (termine indoeuropeo per "lingua", da cui derivano il latino arcaico dingua e il latino medio e tardo lingua) che propone di fare dell'indoeuropeo - ribattezzato Europaio - la lingua comune dell'Unione Europea.

A chi parla di un revival decisamente utopico, rispondono facendo paragoni con l'ebraico, rinato alla fine dell'800, dopo essere stato per secoli una "lingua morta". Il problema è che il patrimonio indoeuropeo non è fatto di fonti scritte, ma, come ho già detto, di ricostruzioni... E poi, per restare in ambito UE, estoni, finlandesi e ungheresi - popoli ugro-finnici e non indoeuropei (per non parlare dei baschi, probabilmente pre-indoeuropei) - non potrebbero riconoscersi in una lingua pan-indoeuropea. E allora perché non tentare di ravvivare l'ancor più ipotetica lingua alla base delle lingue indoeuropee, uraliche, altaiche, afroasiatiche, caucasiche meridionali, dravidiche e del sumero, il nostratico?

Nessun commento: